Come tutti, ho cominciato a volermi bene quando ho accettato di essere quel che sono, quando ho tirato un sospiro di sollievo a non dover/voler essere altro.
In questo riconoscimento semplice di me ha giocato un ruolo gigantesco il riconoscimento semplice degli altri come analoghi; dal sentirsi specialissima al sentirsi una briciola fra altre briciole, piccola vite in un ingranaggio, increspatura sull’acqua, ma anche un fiato d’amore fra altri.
C’è un elemento, un dato, che puoi osservare attentamente: quell’accoglierti come sei, nel limite e nella possibilità, è stato possibile per una ragione; prima che accadesse in te si è radicata una convinzione che pian piano è divenuta una comprensione: “Sono nel fiume della vita e ho compreso che qualunque cosa accada il fiume mi porta, e mentre lambisco un’insenatura, cozzo contro un tronco, rischio di rimanere impigliata nelle radici degli alberi della riva, fluisco leggera nella corrente, mentre tutto questo accade, vengo trasformata”.
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In altre parole: esiste la possibilità di accogliere se stessi in maniera sana, reale, duratura, trasformante, solo nella fiducia. Senza fiducia non c’è fiume, non c’è orizzonte, c’è il limite che diviene macigno ostacolante, o che produce lo sforzo di mettersi addosso una maschera che poco ha a che fare con ciò che nella vita si è chiamati a sperimentare.
L’amore per sé ha le radici nel diritto a esistere e questo assume una articolazione nello spazio, nel tempo, nella manifestazione, se è sorretto dalla comprensione che così mi ha fatto la vita e così essendo, se non porterò me incontro all’altro, chi lo farà?
“Così essendo”. Passiamo attraverso il vittimismo, il rifiuto di noi, il tirar calci e alla fine, spesso esausti, impariamo a dire: “Sono così, con questo debbo fare i conti!”.
Questa è una delle prime e fondamentali rese dell’essere umano: dopo essersi arreso a sé, o perlomeno dopo aver cominciato ad arrendersi, incontrerà l’altro e la resa sarà ancora più complessa; poi incontrerà la vita con il suo respiro, e anche lì sarà una sfida complessa.
Possiamo leggere tutta la vita dell’umano come un arrendersi che ci viene proposto senza sosta e che fuggiamo, rifiutiamo e, infine, accogliamo. L’umano oscilla tra rifiuto e accoglienza, paura e fiducia, fuga e offerta di sé: tutto questo inizia dalla relazione con il proprio limite e l’immagine di sé che ha preso forma nel crescere.
È possibile alleggerire quando si è compreso che l’ambito della propria vita, delle relazioni più strette, è un’officina nella quale lavoriamo, la coscienza lavora, ciò che non ha compreso.
Questo è fondamentale e quasi mai l’umano lo considera nella giusta visione: vivere è imparare; è affrontare il non conosciuto e, superata la paura, conoscerlo; è misurarsi con il non compreso e, esperienza dopo esperienza, comprenderlo.
Vivere è il processo della conoscenza, della consapevolezza, della comprensione.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
In questo periodo, questo post di adatta tantissimo a me.
Vedo la vita in queste parole, ma anche il ripercorrere ogni momento tutto questo cammino. Ti alzi la mattina arruffato e minaccioso contro quello che si presenta. Poi ti accorgi che qualcosa sta operando e ti arrendi con fiducia.