Andando alla radice dell’implementazione, dopo averne visto gli effetti, potete capire che la vostra struttura mentale esorcizza quel che non vuole proprio accettare, conoscere o mostrare.
Un partecipante: I suoi scacchi?
Una voce: Quelli la mente registra e non sempre cerca di eluderli; a volte sono talmente palesi che voi tentate di modificare l’azione per evitare o attenuare un nuovo scacco. La mente, al di là della sua ripetitività e tenacia a esorcizzare, è fissata su delle certezze che poi trovano totali smentite nella realtà; le smentite si scontrano col suo sistema d’ordine che mette in moto una pratica per esorcizzarle. Pensiero e pratica in ogni struttura mentale vanno strettamente a braccetto.
[…] L’azione in sé non è mai in direzione di uno scopo. La vita è neutra: presenta, e non c’è nulla da aggiungere. Mentre l’umano non fa che implementare su ciò che è. Lui non capisce che, posto dalla vita di fronte a ciò che è, la sola azione sta nella scoperta. Mentre lui, nel suo bisogno di implementare le azioni, si industria per “portare a compimento” ciò che è e per “regolare” la mutevolezza. Cioè lui vuole aggiungere la sua impronta a ciò che è già completo in sé, dare continuità a ciò che nasce e muore, che è effimero, e dare una regola alla non-costanza. L’umano si sforza proprio di completare la completezza, mentre è semplicemente da riconoscere.
Implementare dunque la naturalità che si presenta. E implementate agendo, oppure dentro la mente: sognando, immaginando, costruendo castelli, scommettendovi, sperando. Comunque implementando quel che giudicate incompleto, parziale o conflittuale. Perché l’uomo implementa anche quando si prefigge di togliere; ad esempio vuole liberarsi da un difetto, o da un suo meccanismo che lo ostacola e che non gli piace, o da chiusure caratteriali. Per raggiungere questo scopo, l’azione non può essere che implementante.
Tratto da: Scomparire a se stessi (Il morire a se stessi è il morire dell’agente, Download libero)
Scomparire a se stessi, tutti i post del ciclo
Via della conoscenza. Questo è un viaggio a ritroso dentro noi stessi. Un viaggio in cui incontreremo delle strettoie create dalla via della Conoscenza e fatte di radicalità, di provocazioni, di negazioni, di paradossi e di metafore. L’agente siamo tutti noi che ci attribuiamo la paternità delle azioni che si compiono attraverso di noi, ma delle quali siamo i semplici portatori. Saranno messi in luce, e ci si presenteranno davanti, strada facendo, i nostri meccanismi, i nostri concetti e le nostre strutture mentali, e la voce che ci guiderà terrà la barra dritta, impedendoci di deviare.
La via della Conoscenza è una non-via e un non-insegnamento, perché è un contro-processo dei processi della mente. Non suggerisce pratiche e non dà mete, ma è la negazione delle pratiche e delle mete. Non porta alla conoscenza, ma svuota da tutte le conoscenze costruite sul cammino interiore intorno a un “io,” distinto, che cerca una propria evoluzione non capendo che tutto è già unità.
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