La realtà è divenire ed essere e niente di tutto questo. C’è la rappresentazione che avviene nel tempo e nello spazio; c’è l’essere che è eterno presente, stare, risiedere. E c’è altro: prima del film, prima dei fotogrammi dell’essere, prima del sentire.
Qual è la realtà? Tutta evidentemente. Ogni frammento che diviene, ogni stare, ogni altro da ciò, è realtà. L’umano è limitato e coglie frammenti, raramente può cogliere l’insieme di divenire/essere/altro. Ma è un’esperienza che non gli è preclusa: in sincerità, non saprei come articolarne la narrazione e ci porterebbe molto lontano.
Ciò che conta è che noi si sia consapevoli della parzialità della nostra percezione del reale e di come possiamo indagare la sua natura.
La disconnessione è un modo per:
– conoscere la natura della mente/identità;
– conoscere la relazione coscienza/identità;
– conoscere il divenire e sperimentare l’essere;
– aprirsi sul mistero dell’Assoluto.
A- Disconnessione: una definizione
- Non coltivare ciò che si presenta, lasciare che sorga e che vada.
- Non collegare fatto a fatto; pensiero a emozione ad azione; pensiero a pensiero; azione ad azione.
- Non collegare passato a presente a futuro.
- Non collegare il significato di un accadere al giudizio che la mente ha già dato altre volte su quel fatto.
- Non confrontare un fatto con l’esperienza del fatto stesso.
B- Disconnessione: una precondizione, la consapevolezza
Se non c’è consapevolezza non ci può essere disconnessione; se non vedo dove è appoggiata la mia attenzione, con che cosa sono identificato, cosa mi ha invaso e dove mi sono lasciato condurre, non ho la possibilità di lasciarlo andare e in quello rimango invischiato.
La consapevolezza è la capacità di sviluppare l’osservatore in sé, lo specchio interiore, quella superficie su cui viene riflesso il film in ogni attimo del suo scorrere.
La consapevolezza richiede lo strabismo: un occhio vive la scena, l’altro la osserva. Un livello della propria attenzione costantemente monitora l’accadere.
Quel “costantemente” è relativo: ciascuno fa quel che gli è possibile, quello che ha maturato attraverso le esperienze, quel che si concede. In una fase matura, niente sfugge all’occhio vigile e consapevole.
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L’umano vive molte delle sue stagioni nella identificazione con i suoi istinti, o le sue emozioni, o i suoi pensieri connessi a istinti ed emozioni: l’identificazione con i vari piani dell’identità non permette lo sviluppo di una consapevolezza evoluta ma solo di un embrione di consapevolezza.
Affinché ci sia consapevolezza deve entrare in campo la coscienza e il suo fare da specchio: tutto l’essere dell’identità, il suo fluire e il suo inciampare, scorrono davanti allo specchio del sentire e, da quello specchiarsi, sorge la calma o il conflitto, il pungolo a provare ancora o la quiete del compreso. Quando l’identificazione integra la coscienza allora diviene quello di cui parlavamo in precedenza nel paragrafo dedicato: ci sono vicinanza e lontananza simultanee.
La consapevolezza non è solo l’osservatore in azione, è anche la verifica dell’allineamento tra coscienza e identità, tra intenzione e rappresentazione: il monitoraggio dell’accadere rappresentato dall’identità viene confrontato con l’intenzione della coscienza. Se la scena rappresentata è conforme all’intenzione, c’è quiete; se non è conforme, c’è disagio, o conflitto, o frustrazione. Quest’ultima condizione darà luogo al ripetersi della scena dal momento che i dati estratti non sono conformi alla richiesta.
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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.
Ripasso molto utile.