Il passato-presente-futuro costitutivi dell’immagine di sé [sentiero69]

La mia storia nasce da un punto, attraversa il presente, si proietta sul futuro: se mi togli da questa successione non posso più definirmi io. La vita dell’umano è una collana fatta di tante perline infilate una dopo l’altra, una dietro l’altra: il presente è solo una perlina più vivida nell’insieme delle perline e della loro sequenza.

Se togliamo la sequenza non c’è più quel qualcosa che chiamiamo vita individuale e il soggetto che la vive, scompaiono entrambi. L’umano è il passato ma è anche la proiezione sul futuro, su di una possibilità: se gli togli il futuro lo coarti, lo chiudi di fronte a un orizzonte che gli è necessario, che lui ritiene necessario, e lo scaraventi in una condizione non naturale, per cui non ha elaborato strumenti e capacità di gestione.

L’umano si interpreta come colui che diviene e che può: il potere si dispiega nel tempo e il tempo scorre dal passato al futuro. “Non togliermi il futuro!” è un’espressione altrettanto importante che “Non togliermi il passato!”. Non togliermi il senso del divenire perché è lì che mi sostanzio come vivente.

L’uomo vive il sogno, la proiezione, l’atto in potenza. Puoi togliergli la facoltà di immaginare scene del suo film? No, quell’immaginazione è parte integrante dell’immagine di sé: “Sono il passato che ho vissuto e il futuro che immagino!” questo egli dice, a questo crede, aderisce, e così è giusto e naturale che sia finché gli basta.

Finché gli basta? Cosa intendi?

Fino a quando ciò che vive conferisce il senso che è necessario alla sua vita; in un’altra stagione, quel senso non gli basterà più e allora avrà necessità di indagare in altre direzioni, alla ricerca di un senso conforme al nuovo sentire che nel contempo è maturato.

Questo testo è parte dei capitoli 3 e 4 del libro L’Essenziale; mentre li pubblichiamo ne verifichiamo anche il contenuto a 10 anni dalla loro estensione. A revisione completata, renderemo disponibile l’intero volume: qui i capitoli 1 e 2 già revisionati.

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Natascia

“Finché gli basta.”
Già, perché ad un certo punto non basta più. Tutto quel senso che diamo al divenire, a poco a poco, diventa uno spazio angusto, che non può contenere il bisogno di dare spazio ad un Sentire che sorge e a cui fatichiamo a dare una connotazione.
È qualcosa di molto sottile, che ha bisogno dell’affinamento del pensiero, del linguaggio, di uno sguardo libero dai condizionamenti.
Difficilmente poi, si torna indietro. Anche se il dubbio si insinua, è solo l’ostacolo posto dalla mente. Può offuscare il percorso per un momento. Superarlo, porterà sempre una maggior chiarezza di visione della Realtà.

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