Piccolo Albero, la portata del gesto dell’accogliere

Un bambino di cinque anni perde entrambi i genitori e va a vivere con la nonna, una Cherokee, e il nonno, un mezzo Cherokee, che abitano in una capanna nel bosco, ai piedi delle montagne. La prima sera, nella nuova casa..

Una mano mi accarezzò la testa. Era la nonna, seduta accanto a me sul pavimento, le larghe gonne a farle cerchio attorno, le trecce striate d’argento che le spiovevano da sopra le spalle sul grembo. Anche lei guardò fuori dalla finestra e con voce bassa e dolce prese a cantare:
Adesso l ‘hanno udito venire,
la foresta e il vento del bosco
padre monte gli dà il benvenuto col canto.
Non hanno paura di Piccolo Albero,
sanno che il suo cuore è gentile
e cantano: «Piccolo Albero non è solo»,
Perfino il Piccolo sciocco Lay-nah
con le sue loquaci acque balbettanti
danza fra i monti con il suo giubilo:
«Oh, ascoltatemi cantare
di un fratello venuto fra noi
Piccolo Albero è nostro fratello,
e Piccolo Albero è qui».
Awi Usdi il piccolo daino
e Min-e-lee la quaglia
persino Kagu il corvo levano il canto:
«Forte è il cuore di Piccolo Albero
la gentilezza è la sua forza
e Piccolo Albero non sarà mai solo».
Nonna cantava dondolandosi piano avanti e indietro. E io udivo il vento che parlava e Lay-nah, il ruscello, che cantava di me e lo raccontava a tutti i miei fratelli.
Sapevo di essere Piccolo Albero, ed ero felice che mi amassero e mi volessero. E così mi addormentai, e non piansi.
Da Piccolo albero, Forrest Carter, Salani editore

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