Il Cristo secondo il CF 77/80: un linguaggio adatto al tempo

Questa sera vi siete soffermati sulla figura del Cristo, quella figura che appare al lettore dei Vangeli; ed avete confrontato quanto noi vi diciamo con quella parte di insegnamento data dal Cristo che con il nostro può sembrare in contrasto.

Avete cercato di trovare quelle contraddizioni, fra i due insegnamenti, che da tempo noi, indirettamente, volevamo invitarvi a trovare. Voi certo ricorderete quando vi consigliammo di comparare i Vangeli; e in quella occasione era inteso anche un nostro commento all’insegnamento che i Vangeli riportavano come insegnamento di Cristo. Certamente se questo lavoro fosse stato da voi fatto, sarebbero uscite le domande che sono uscite questa sera ed altre ancora, per la verità. E poiché questa sera ci avete dato un argomento su cui soffermarci, anche se della figura del Cristo in più occasioni abbiamo ripetutamente parlato, soffermiamoci.

E per prima cosa parliamo di questi insegnamenti, di questi accenni, di queste notizie esplicite, che non possono essere spiegate secondo quello che vi abbiamo dato, perché ne sono completamente all’antitesi. Intendo parlare, ad esempio, del castigo eterno. Vi sono alcuni riferimenti nei Vangeli, per cui può nascere la domanda che questa sera voi avete fatta: perché il Cristo ha parlato, se ha parlato, di eterno castigo agli uomini, sapendo benissimo che invece il “castigo” non è eterno?

Innanzi tutto è bene dire e ricordare che l’insegnamento pubblico del Cristo, perché voi sapete che vi fu anche un insegnamento segreto, doveva essere fatto in una forma tale per cui chi lo ascoltava pubblicamente, doveva capire; ed ecco perché Egli parlò da ebreo, pur essendo consapevole, cosciente, di essere incarnato uomo per una missione; di avere Egli già abbandonato la ruota delle nascite e delle morti, e che questa sua missione era la missione di un Maestro il quale conduceva una razza fuori dal ristagno nel quale era caduta*.

L’atto umano della missione, la reincarnazione in forma umana, non era che un primo aspetto, ma il lavoro che a questa seguiva, ancora oggi non è terminato. Il Cristo era cosciente di tutto ciò, pur tuttavia parlava ed agiva come un ebreo; rispettava il sabato come lo rispettano gli Ebrei, anche se Egli in qualche occasione fu meno ligio degli ebrei più puritani e si permise di compiere certe azioni che nel giorno del sabato, invece, secondo le interpretazioni più ristrette, più beghine, non si sarebbero dovute compiere.

Pur tuttavia, ciò fu fatto; la mentalità ebraica fu in massima parte rispettata, perché se il Cristo non rispettava la forma, ciò che Egli aveva da dire in più di quello che già si sapeva non sarebbe stato preso in considerazione. Ed ecco perché ancora oggi, in seno alle religioni, vi sono delle creature illuminate, dei Santi, come voi li chiamate, anche se la religione non li ha così riconosciuti, i quali pur sapendo molte più verità di quelle che proclamano, tengono nascoste a coloro che pubblicamente li ascoltano, queste verità; rispettano la forma che la religione nella quale essi vivono  impone, perché solo rispettando la forma della religione possono essere ascoltati dagli altri appartenenti a quella stessa religione.

Se essi non rispettassero quella forma, ma se ne ponessero al di fuori, la loro missione in seno a quella religione non avrebbe più proseguo, perché sarebbero posti all’indice, sarebbero dichiarati eretici, e quindi ciò che essi potrebbero dire a quelle creature che sono ancora attaccate alla forma di quella religione, non sarebbe più ascoltato.

Il Cristo quindi rispettò la forma della religione ebraica ed egli visse come un ebreo, ebbe la mentalità di un ebreo. Pur tuttavia si elevò di molto: non v’è un aggettivo sufficiente per definire quanto al di sopra della normalità fosse il Cristo con la sua stessa condotta e con il suo stesso insegnamento. Egli però pubblicamente parlava, e parlando si appoggiava  a certi concetti classici della religione ebraica. Quando egli operò una guarigione, la guarigione fu così da lui stesso commentata: “Va, e non peccare più, acciocché non ti accada di peggio”. Ciò voleva dire, così lo riportano i Vangeli, che il peccato porta sempre una qualche infermità. Naturalmente chi ascolta questo commento può darne varie interpretazioni, e chi si proponesse di narrare l’accaduto, inevitabilmente userebbe parole tali che, in qualche modo, rispecchiassero la sua interpretazione.

Voi potete parlare con una creatura di certe cose che sono ben note a voi ed alla creatura con la quale parlate; ma chi udisse questa conversazione, e fosse dotato anche di un po’ di fantasia, potrebbe immaginarsi tutto l’opposto di quello che state dicendo. Ciò accade molto sovente. Così, oltre la interpretazione che è nata da ciò che il Cristo disse, interpretazione logicamente e naturalmente conseguente alla mentalità ebraica, alla mentalità di coloro che ascoltavano, dobbiamo anche dire che il Cristo, parlando pubblicamente a coloro che, se di insegnamento spirituale qualcosa conoscevano, conoscevano solo quello della Bibbia, delle antiche Scritture, il Cristo a queste doveva appoggiarsi.

E quando parlava di castigo, non poteva parlare che di quel tipo di castigo che le Scritture insegnavano, perché era ormai scontato, indubbio, che il castigo non poteva essere non eterno. Io sto parlando generalmente, perché esaminando tutti quei casi in cui il Cristo ha parlato di “eterno castigo” o di “maligno”, come voi avete ricordato, noi potremmo trovare un perché diverso; in alcuni casi il discorso non è stato esattamente riportato, in altri casi il Cristo veramente parlò di castigo, ad esempio, ma non necessariamente di castigo eterno, e così via.

La domanda che però sorge e che è di più vasta importanza, di una più grande portata, è questa: “Può un Maestro mentire, può un Maestro dire una cosa per un’altra?” La domanda posta in questi termini non ha risposta: Perché? Direte voi. Perché è così generica che non si può dire né sì, né no.
Un Maestro, in linea di massima, è il più possibile – parlando a chi può anche non intenderlo – aderente alla realtà. Se un Maestro deve dare un insegnamento, semplicemente con lo scopo di illustrare qualcosa di nuovo, di aprire un orizzonte più largo, allora il Maestro parlerà esponendo fin dove egli sa che è compreso, ma non dicendo una cosa per un’altra; dirà fin dove gli altri potranno capire, ma non il contrario di ciò che è la Realtà.

Se un Maestro invece insegna ad un determinato gruppo di creature le quali hanno necessità di richiamare alla loro attenzione la legge di causa e di effetto, ad esempio, il Maestro parlerà degli effetti che seguono alle cause. Se vi sono delle creature le quali per un loro stato d’animo contingente sono, ad esempio, portate a fare del male ad altre creature, il Maestro può, acciocché questo non avvenga, qualora non debba avvenire, intimorire queste creature parlando del castigo che segue certe azioni. Ma ciò non è un mentire.

Se poi, per estremo caso, per portare un esempio che serva ad illustrare una situazione estrema, un Maestro dovesse dire, per il bene di una creatura, una cosa – e ciò, voi capite, non accade molto sovente – ma per il bene di una creatura fosse necessario dire una cosa che non è esattamente rispondente alla Realtà, il Maestro direbbe quella cosa perché ciò che un Maestro ha davanti ai suoi occhi è sempre il bene dei suoi simili, è sempre il bene che egli deve fare a coloro che a lui si rivolgono; e se altro mezzo non vi fosse se non quello di non dire esattamente la Realtà per aiutare questa creatura, niente vieterebbe a questo Maestro di esporre la Realtà non negli esatti termini, o se preferite, di dire una bugia.

Dicendo questo speriamo di non essere fraintesi: lo diciamo per farvi comprendere che l’unica cosa veramente importante per l’evoluto è quella di aiutare i suoi simili. Di aiutare nelle forme più corrette, più vere, ma anche più adatte. E se, caso estremo, dovesse necessitare un estremo rimedio, il Maestro, spinto dall’amore, perché è l’intenzione quella che conta, quell’estremo rimedio seguirebbe, sicuro di non errare, sicuro di non essere considerato un uomo di poco onore. In un dato periodo della storia, abbastanza a voi vicino, l’ideale dell’uomo era “l’uomo tutto di un pezzo”, come si usava dire.

Ebbene, ciò è vero anche per i maestri in quanto la loro giustizia è tale che così possono essere, in un certo senso, definiti. Ma la loro misericordia, o meglio ancora il loro amore per i loro simili, è altrettanto tale che se “tutto di un pezzo” volesse significare essere crudele e non operare quel bene al quale Essi sono chiamati, certamente che non sarebbero più “tutti di un pezzo”. Credo che non vi sia difficoltà a comprendere questo.

Ma torniamo all’argomento nostro di questa sera. Che dire dunque? Il Cristo fu uomo fra gli uomini, perché la sua missione di allora non poteva essere esplicata che in quel modo. Se il Cristo oggi dovesse tornare fra gli uomini, probabilmente egli potrebbe essere un po’ più se stesso di quanto allora non fu: ciò perché la capacità di capire degli uomini è aumentata essendo aumentata la loro evoluzione.

Il Cristo parlò servendosi del loro linguaggio, del linguaggio di quel popolo al quale stava parlando; non disdegnando certe espressioni, anche se queste non rispecchiano esattamente e completamente la Realtà. Ma ciò non vuol dire che l’insegnamento di ieri non debba essere completato oggi; non debba trovare oggi una forma più adatta per esprimere la realtà di ciò che è.

Certo che se il Cristo oggi dovesse tornare per parlare agli uomini, potrebbe parlare con un linguaggio, sì, degli uomini di oggi, ma con un concepire esprimendo concetti, come si usa dire, all’avanguardia, più di quanto allora non fece. Perché gli uomini oggi, quelli che fossero portati a seguirlo, ad ascoltarlo, meglio di allora comprenderebbero. Ciò che noi vi diciamo, in effetti è ciò che dobbiamo dire e che forse taluno di voi attende che noi diciamo, è misurato parola per parola, o diletti.

Ciò che noi esprimiamo come principio, ripeto quello che ho detto recentemente, non come spiegazione, è detto in modo che esprima una verità la quale sia il massimo possibile aderente alla Realtà. Dico il massimo possibile perché le parole, purtroppo, hanno anch’esse dei limiti nell’esprimere. Ciò che noi vi diciamo come principio può da noi essere illustrato con esempi: questi esempi sono limitati, non possono essere considerati in senso assoluto: sono esplicativi.

Ma ciò che noi vi enunciamo come principio, non potrà mai essere in contrasto con la Realtà; non potrà mai, con il passare degli anni, mostrarsi falso, non vero, perché corrisponde alla descrizione della Realtà, perché è la Verità, e la Verità è quella che dura nel tempo, è quella che rimane vera nello spazio. Così confrontando vari insegnamenti, non solo quello che a voi è venuto come insegnamento del Cristo, ma insegnamenti anche di altri Saggi, anche se non sono della sua stessa levatura, certamente che non tutto può essere in armonia con quello che vi abbiamo detto.

Quello che noi vi diciamo, ha valore e trova conforto con quanto altri Saggi o Illuminati o Maestri hanno detto. Vi sono tuttavia alcune parti che invece con quelle sono in contrasto. Ebbene, come spiegazione generale, vale quella che io questa sera vi ho detto;  come spiegazione particolare noi dovremmo prendere caso per caso ed allora vedremmo con esattezza se fu detto così, e se così fu detto perché, e se così fu detto o così fu riportato, perché così fu riportato.

Certo questo può essere uno studio interessante, non so fino a che punto utile. Può essere interessante confrontare ed equiparare questi insegnamenti e le loro interpretazioni; altri insegnamenti dati, con le loro interpretazioni, solo se da questo studio e da questo confronto la vostra comprensione ne risulta più limpida, più liberata. Solo se, restando convinti che quanto un Maestro della vostra religione, o quanto insegna la vostra religione (alla quale potete essere ancora in certo senso attaccati, e fate bene) può in fondo essere compreso.

Solo se questo lavoro di comprensione serve a darvi una tranquillità, a mettere in pace la vostra coscienza, a convincervi che niente v’è di male se qualcosa che noi vi diciamo può essere in contrasto con quello che una o più religioni predicano e insegnano; può essere utile solo se vi toglie questa incertezza, questo timore di percorrere un sentiero sbagliato. Se poi questo timore, questa incertezza non vi sono, allora è importante il comprendere ancora; è importante l’approfondire ciò che sapete e del quale ancora non siete perfettamente padroni. E, come sempre io dico, ben venga colui o coloro che a questo ci danno modo di aggiungere.
Dali, 21 Marzo 1964

D – Il fratello Dali ha detto:”…voi che ancora siete attaccati alla vostra religione, e fate bene”. Io invece, da quando ho questi insegnamenti ho sempre creduto che la religione, qualunque essa sia, dovrebbe essere cosa da lasciarsi da parte. Certo il fratello Dali ha ragione, ma io non lo comprendo. Mi vorresti spiegare?

Importante è che l’uomo bene agisca. Se questo bene agire non gli può venire altro che da un attaccamento alla sua religione, è importante che egli sia attaccato alla sua religione. Se invece può venirgli da questi insegnamenti, è importante che gli venga da questi insegnamenti. Se invece gli venisse dall’ateismo più nero, allora ben venga questo ateismo nero. Alan, 21 Marzo 1964

*Affermazioni che suscitano qualche perplessita dopo quanto affermato in questo post.

Fonte: raccolta di brani sul Cristo del Cerchio Firenze 77 | Tutti i post del ciclo

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