Il limite dell’umano e l’illusione del Divino che soccorre 10

Una voce: L’uomo che percorre la via interiore mette in campo due polarità: se stesso e il Divino e dà una propria interpretazione di come queste due polarità entrino in rapporto a partire dall’insufficienza dell’uomo che invoca e attira a sé l’eccedenza divina. Ma quella che l’uomo chiama l’“azione” divina è il moto della gratuità rivolto al relativo.

È dentro la via interiore che l’uomo inizia a confrontarsi con la presenza dell’eccedenza che considera superiore a sé sia come qualità che come sovrabbondanza di interventi di aiuto nel cammino che ha intrapreso verso il miglioramento. Quell’uomo che opera secondo certi criteri, che è lui stesso a stabilire, si aspetta di ricevere dei crediti eccedenti i propri sforzi, dicendosi: “Se mi trasformo o miglioro dentro la via interiore, meriterò una ricompensa da parte del Divino che sarà eccedente il mio operato”.

In tal modo lui si costringe a fare i conti con la propria fragilità e con quella che considera la propria insufficienza, ambedue misurate attraverso parametri che stabiliscono la distanza che corre fra le mete evolutive che si è prefissato ed i risultati raggiunti. Perché dentro la via interiore l’uomo, che denominiamo “in cammino”, sperimenta di volta in volta parziali successi seguiti da parziali insuccessi, e così capisce in fretta che i successi ottenuti sono fragili, poiché spesso si sente sballottato fra momenti in cui può dirsi: “Sono migliorato” e altri momenti in cui ammette: “Tutto in me è come prima”.

E nonostante quell’uomo intensifichi gli sforzi nella via del “passo dopo passo”, quel darsi da fare non produce i risultati che vorrebbe, e si trova quindi costretto ad ammettere che quegli sforzi non bastano per raggiungere un suo miglioramento interiore e men che meno la sua meta evolutiva. Perché lui comprende che, nonostante la sua volontà, cade nei tranelli insiti nei meccanismi e nelle abitudini che ha acquisito negli anni, cioè nella ripetitività dei comportamenti, delle reazioni emotive e di determinati pensieri che si accorge di non essere lui a controllare. Stiamo parlando della ripetitività di una struttura che lui stesso si è creato e che nella via della Conoscenza viene definita come mondo o struttura mentale, oppure marchingegno, che si traduce poi in meccanismi automatici che dominano i suoi comportamenti, il mondo interno a lui ed i suoi giudizi sul mondo intorno.

Quell’uomo, quindi, si ritrova di fronte ad un nocciolo duro, a cui è stato proprio lui a dare forma e consistenza nel suo mondo mentale e che, per quanti sforzi faccia, non riesce ad ammorbidire o a far mutare. In lui vive un desiderio forte di cambiamento, che si accompagna alla preoccupazione di ripetere vecchie abitudini, vecchi passi e vecchi sentieri, pur non avendo ancora un’immagine chiara di cosa sia quel nuovo traguardo al quale aspira. Spesso in lui si crea un’ansia verso un qualche orizzonte che lo attrae, ma che non riesce bene a definire, e quindi quella spinta finisce lì.

E così si trova sballottato fra le varie stimolazioni che incontra ed il peso di un passato sempre presente, che lo portano a dirsi che è giunto il momento di cambiare. Sente proprio il richiamo di un monito sia da parte degli altri intorno e sia dentro di lui, che lo sollecita, dicendogli: “Devi darti da fare, perché se vuoi cambiare devi metterci la tua volontà ed il tuo sforzo”; ma sente anche una vocina interna che protesta e gli fa dire: “Non basta! Sembro un po’ cambiato, ma poi mi ritrovo uguale a prima. C’è troppa strada da fare, troppe cose da cambiare in me; e più passi faccio e più ne vedo da fare”. Questo perché spesso, nella via interiore, quando l’uomo modifica i suoi parametri di giudizio, aumentando le pretese su di sé, scopre di non essere armonico come vorrebbe e così in lui cresce la spinta a modificarsi e ad aumentare gli sforzi.

Ma avanzando in quel cammino, “passo dopo passo”, l’uomo si ritrova stretto in una tenaglia, perché in lui si creano due ben distinte polarità: c’è l’esigenza di trasformarsi che si contrappone con l’idea di insufficienza dei suoi sforzi, dato che ogni conquista lo porta, prima o dopo, a riconoscere altre sue inadeguatezze. Quindi, nell’uomo si intensifica il rimbalzare tra il desiderio di miglioramento interiore, cioè di apertura verso gli altri e di diminuzione del proprio egoismo, ed il bisogno costante di misurare i cosiddetti risultati – i “passi in più” – attraverso i suoi parametri; risultati che non corrispondono a quelli sperati, in quanto i parametri si fanno progressivamente più esigenti, portandolo a scoprire ulteriori manchevolezze dentro di sé. Questa è, “passo dopo passo”, la via per incontrare il proprio scacco, cioè l’insufficienza degli sforzi compiuti, la necessità di aumentarli ed anche la pochezza nei risultati messi a confronto con i parametri di misura.  

Stiamo mostrandovi che ogni via interiore ha come contropartita la percezione costante di un’insufficienza, che si fa più consistente con l’aumentare delle pretese insite nei parametri che l’uomo “in cammino” utilizza per dare una valutazione di sé e degli altri intorno a sé. In questo suo cammino verso il desiderio di cambiamento, l’uomo continua a misurare la distanza che corre fra i risultati effettivi e le mete, che si vanno facendo sempre più lontane, perché il motore per avanzare nella via interiore sta proprio nel concetto di distanza – calcolato coi “più” e coi “meno” – posizionato fra mete da raggiungere e risultati inadeguati. Tutto questo porta l’uomo inesorabilmente ad interrogarsi su un preciso dilemma: “Ogni volta che mi impegno e riesco ad ottenere un pur minimo cambiamento, dopo un po’ mi ritrovo di nuovo inadeguato. Com’è possibile che la via spirituale mi faccia incontrare sistematicamente e contemporaneamente la mia insufficienza e la sua spinta attrattiva?”.

Ecco il punto in cui, dentro l’uomo “in cammino”, si manifesta il bisogno di concettualizzare la gratuità, poiché si accorge di avere ben poche possibilità di raggiungere la sua meta spirituale, “… a meno che…”, lui si dice. Questa ammissione chiama in campo la presenza dell’eccedenza; vale a dire che lui riconosce che c’è una forza che lo eccede, cioè che eccede la sua determinazione e la sua capacità, agendo su di lui e sulle circostanze esterne per aiutarlo a compiere “passi” e progressioni verso quei risultati che da solo non riuscirebbe ad ottenere. Perché quello che accomuna tutte le vie del “passo dopo passo” è la percezione della propria insufficienza e della necessità dell’“intervento” del Divino.

Ma introdurre la necessità di un intervento divino per lui significa accettare di andare in una direzione diversa dalle categorie che ha adottato fino a quel momento; e, nonostante l’idea che il Divino non possa agire secondo categorie umane, strada facendo vengono introdotte delle consonanze che gli fanno affermare: “Il Divino entra nella mia vita, stimolandomi, proteggendomi e talvolta scuotendomi, perché in Lui c’è un immenso amore. Ed io so che il Suo amore non misura i miei risultati quando mi elargisce doni”. Cioè quell’uomo si affida ad un amore divino che – lui si dice – non stabilisce un rapporto di causa-effetto fra i risultati umani e la quantità e la qualità di quell’amore.

Poi, del tutto inconsapevolmente, l’uomo “in cammino” incomincia a stabilire un altro nesso molto sottile, che non lega il proprio operato con l’“elargizione” divina, ma che subordina l’”aiuto” del Divino al fatto di riconoscersi insufficiente. Nella via interiore, voi siete pronti ad ammettere che, se ottenete un buon risultato, è grazie all’intervento dell’eccedenza divina, che però viene chiamata in campo dal vostro riconoscervi piccoli ed imperfetti; e difatti dite: “Se l’uomo si fa piccolo, perché riconosce la sua insufficienza, questo rende generosa l’elargizione divina”. In questo modo, non fate che attribuire importanza allo sforzo di farvi piccoli e umili, riconoscendo ciò che vi eccede, ma contemporaneamente introducete un nuovo rapporto di causa-effetto fra gli aiuti divini e voi stessi in veste di riceventi aiuto.

Quest’associazione può essere così riassunta: “Più io accetto la mia insufficienza e più do spazio al Divino di agire”. In questo caso è sottilmente presente quel particolare rapporto di causa-effetto che così recita: “Il mio compito è ridurre il mio io, aprendomi agli altri, accogliendoli e migliorandomi; nella misura in cui raggiungo tutto questo, aumenta il mio credito verso il Divino”, anche se mai si oserà dirlo in questi termini. È sottile questo pensiero, ma parla di un’associazione fra la riduzione del proprio “io” e la sovrabbondanza ed insostituibilità della presenza del Divino nel proprio percorso evolutivo. A volte aggiungete anche: “Sempre c’è la presenza del Divino, ma soltanto riducendomi come importanza la posso percepire nelle azioni, nei pensieri e nelle emozioni”. Questo significa affermare: “Se mi sminuisco, il Divino mi premia, perché apro un varco alla Sua onnipotente presenza”.

Ma ogni volta che si stabilisce un rapporto di causa-effetto, si fissano dei parametri che misurano una maggiore o minore qualità e quantità. Poi, nell’uomo “in cammino” si manifesta anche il forte desiderio, a volte un’ansia, che sia proprio il Divino ad intervenire per metterlo in un angolo. Senza rendersene conto, in questa ipotesi sono presenti due termini che vengono associati: risultato e ricompensa. Questo significa che più l’uomo si fa piccolo – risultato – maggiore è la possibilità di un “intervento” divino – ricompensa -, ma questa associazione crea nell’uomo una nuova meta che è quella di percepire ed accogliere il Divino, dentro di sé, in base alla convinzione che, sminuendosi, lui Lo spingerà ad unirsi ai propri sforzi. Però, così pensando, l’uomo “in cammino” si occulta la presunzione di una propria importanza e centralità.

Ma è presente, nella via interiore, anche una diversa modalità di concepire il rapporto uomo-Divino; ci riferiamo a quando nell’uomo, che fa esperienza della propria insufficienza e dell’eccedenza nell’“intervento” del Divino, è presente quello che chiamiamo uno iato, che si crea poiché egli non riesce a spiegarsi il motivo per cui l’eccedenza intervenga ora e non dopo, o in un modo piuttosto che in un altro, e nemmeno gli è possibile sperare che quell’intervento giunga quando lui se lo merita o quando lo necessita, perché lo iato mantiene ferma in lui l’idea di una distanza e lo priva della possibilità di decidere “quando” e “come”.

Comunque, in ambo i casi presentati, ciascuno si inganna. Nel primo caso l’uomo assume un valore che gli fa dire che il suo riconoscersi insufficiente crea, come diretta conseguenza, l’“azione” salvifica del Divino; vale a dire: risultato = ricompensa. Nella seconda situazione l’uomo mantiene separati il riconoscimento della sua insufficienza e l’opera dell’eccedenza, e pertanto è stupito quando gli giunge ciò che considera un aiuto che non merita, poiché lo attribuisce automaticamente alla divina presenza che lo eccede.

Questo nostro discorso non esclude il fatto che nella via interiore si giunga a momenti in cui, pur soffrendo e tormentandosi internamente per la propria inadeguatezza, nulla si apre come percezione di una presenza divina, ma ci si ritrova con i propri bisogni, da una parte, ed un profondo silenzio dall’altra. Resta il fatto che, nella via evolutiva, si tende ad addomesticare il concetto di eccedenza, creando una stretta associazione fra comportamenti ed obbiettivi, e connettendoli sempre all’indispensabile presenza di ciò che eccede il proprio operato. Questo significa regolare l’eccedenza sia nel quando si presenta, sia nel come, sia nella frequenza, modulandoli in base alla propria insufficienza.

Partecipante: Vale a dire: “Più mi sminuisco, più influenzo l’eccedenza”?

Una voce: Non viene espresso in questo modo, però create un’associazione che vi dice che, ogniqualvolta vi sminuite, allora si rivela il Divino. Cioè “passo dopo passo” trasformate quell’associazione, che riguarda solo voi, in qualcosa che “deve avvenire”, poiché non tenete in alcun conto l’irriducibilità divina. Anzi, inserite qui un meccanismo di esaltazione che fa sparire lo iato e, di conseguenza, l’irriducibilità del Divino, poiché lo sminuirvi si trasforma in una meta che “dovete” mantenere viva, essendo un valore, e dicendovi anche che soltanto attuandola si realizza l’altro polo del vostro dualismo mentale, che è l’“azione” del Divino rivolta a voi. In tutto questo processo sparisce sia il mistero del Divino, sia l’accadere, che mai si verifica in base ai vostri condizionamenti o stratagemmi. In tal modo, state solo rendendo importante un piccolo evento, che è quello di venir messi nell’angolo; oltretutto, se si sminuisce il vostro “io”, è sempre e solo ad opera di ciò che mai potete governare.

Detto con altre parole, ogni volta che l’uomo disattende lo iato presente fra il darsi da fare e l’intervento di ciò che lo eccede, si trova a non comprendere il proprio cammino interiore. Inizialmente, l’uomo sente il bisogno di riconoscere l’importanza dell’immagine divina che lo eccede, ma poi incomincia a dare valore allo sminuirsi, visto come risultato, e quel valore lo attribuisce al suo agire “positivo”, anche se vede le sue insufficienze. Questo lo porta a legare, come ovvia conseguenza, i suoi “passi avanti” con l’“intervento” del Divino, ma in questa maniera ha solo “regolato” l’eccedenza ed ha nobilitato l’ammissione delle sue insufficienze, che – come lui crede – rende tangibile l’“aiuto” del Divino.

Partecipante: Lui ha reso le sue insufficienze funzionali al processo evolutivo.

Una voce: Le ha nobilitate: hanno acquistato un significato ed un valore per la sua maturazione e la sua crescita interiore. Quando l’uomo trasforma l’accettazione della sua insufficienza in una specie di traguardo, la sta nobilitando come apertura verso un ricongiungimento col Divino, e lì poi si siede. Però, nel ridurre l’inafferrabilità della gratuità divina, sta solo dando valore ai propri “passi” ed ai propri successi nella via interiore. L’uomo “in cammino” non comprende che la gratuità, che si esprime casualmente ora qui ed ora là, sempre è eccedente l’uomo sia nel come, sia nel quando, sia nel perché sorga, sia nella frequenza e sia quando tramonta.

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Leonardo

“Questo lo porta a legare, come ovvia conseguenza, i suoi “passi avanti” con l’“intervento” del Divino, ma in questa maniera ha solo “regolato” l’eccedenza ed ha nobilitato l’ammissione delle sue insufficienze, che – come lui crede – rende tangibile l’“aiuto” del Divino.”

Spesso diciamo che diminuendo l’ingombro affiora la dimensione originaria, l’Essere. Ma questo non è voler regolare l’Essere secondo le logiche del divenire, del causa-effetto?
In fondo il nostro lavoro sui veli non sorretto da questa logica?

Nadia

Ho fatto fatica nella lettura, più che altro perché non credo di riconoscere quell’atteggiamento circa il migliorarsi per cercare approvazione divina…non so..

Kita-lu

Mi riconosco, nel momento della difficoltà spero che il mio comportamento faccia la differenza influenzando il destino o l’intervento divino.

Catia Belacchi

Letto anche io.
Testo complesso.

Catia Belacchi

Letto anche io.
Testo complesso

Natascia

Letto.

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