Il Divino è l’essenza dell’impermanenza, il vuoto non il pieno 16

Il Divino, osservato dal relativo, è immanente allo sfilare della vita, ma è contemporaneamente trascendente quella sfilata; sfilata che è una porta aperta per riconoscere l’effimero, il transeunte e l’impermanente, che l’uomo vive come provocazioni, eppure nel relativo non può che essere così.

Il Divino è profonda provocazione per l’uomo, proprio perché svela la non-consistenza di tutto ciò che l’umano ha davanti agli occhi nel relativo. Questa è l’estrema provocazione per colui che cerca di creare per sé sia consistenza, sia continuità nel tempo, ma anche una perfezione legata al suo sviluppo interiore. Non c’è continuità in ciò che, essendo non-consistente, è concluso, e quando muore, davvero muore.

La metafora della sfilata della vita mostra il continuo uscire e un nuovo entrare, poiché di volta in volta muore una situazione e lascia il posto a un’altra. E anche se l’uomo vorrebbe che la vita fosse una continuità di esperienze, di incontri che si consolidano e di una propria progressione spirituale, si trova suo malgrado immerso nella puntualizzazione: tanti attimi e tante azioni, come tanti punti che appaiono e scompaiono.

Il Divino è Immoto e da lì tutto deriva: impermanenza, non-costanza ed evanescenza. Ma l’uomo continua a interrogarsi sul perché il relativo presenti elementi e aspetti difficili da comporre e che lui vede in opposizioni. L’uomo non comprende che il relativo, che è movimento, è anche inizio e fine e che nulla è modificabile. Il Divino è la fonte di questo spettacolo e la gratuità ne è lo svolgersi; nel relativo tutto esprime lo stesso impulso che porta vita e che porta morte, che porta l’aprirsi e che porta il chiudersi, che porta l’apparire e che porta lo scomparire, che non sono due opposti momenti, ma sono un unico movimento: l’offrire. Poiché nel relativo il secondo movimento – morte o scomparsa o fine – è già contenuto nel termine “relativo”. Dunque un unico movimento, che non è né nascita, né morte, ma è offrire ed è presentare.

Il mistero divino è ininterrotta offerta, è continuo presentare. A chi? A chi osserva? A chi è spettatore? A nessuno, perché non c’è bisogno di un “chi” per presentare. Per voi sì, non per il moto che è vita e che è divenire: i fiori nascono dove nessuno mai li vedrà, neppure lo sguardo di un animale, eppure sbocciano, si sviluppano e muoiono. Ma, allora, quel movimento di offerta da parte di chi è? Non c’è un chi, ma c’è offerta nel perenne e indistinto nascere e morire, perché nel relativo non può essere che così. Ed è proprio l’impermanenza che rende possibile riconoscere quella presenza che è gratuità nell’offerta.

Il Divino, rivolto al relativo, è presenza, è offerta in ciò che c’è in quel momento, ma: “A chi?”. A nessuno, perché tutto è gratuità. Questo è l’amore nel non-duale: c’è la presenza e c’è indifferenziatamente l’offerta, in tante sfaccettature, ma mai per un motivo o per un’intenzione. Tutto è già predisposto nel rapporto fra immoto e moto, o fra essere e divenire. E non c’è alcuna legge, come l’uomo reclama, c’è solo il nascere e il morire.

Ma l’uomo dice che ci dovrebbe essere un ordine che governa, cioè un “dover essere” Supremo. No, tutto è indistintamente continua offerta. Eppure l’uomo si domanda anche: “Secondo quale saggezza?”, perché lui considera saggezza il suo essere messo in crisi dall’eccedenza per potersi poi arrendere come meta finale e unirsi all’Uno. La risposta è: secondo l’inafferrabilità e l’ingovernabilità, poiché tutto ritorna dal “qualcuno” al nessuno.

Possiamo parlare – rivolgendoci all’umano – di una saggezza che sta nel continuo offrire ciò che già è negazione di qualunque “qualcuno” che sorgerà. Perché tutto ciò che è offerta ha già in sé la presenza di nascita e di morte, di impermanenza, di precarietà e di effimero. È questo che continuamente contraddice il movimento che fa sorgere un essere che, volendo distinguersi come un “qualcuno”, ne verrà profondamente turbato.

Nella naturalità del dualismo c’è un io e un tu. Ma poi quel dualismo viene deformato attraverso una struttura mentale, e così si crea un “qualcuno” che, incontrando l’inconsistenza, l’evanescenza e l’impermanenza, si trova immerso in continui interrogativi e sballottamenti. Ed ecco svelato quel profondo mistero di ciò che, per come si presenta, fa già da pungolo e da ostacolo al sorgere di un “qualcuno”. Stiamo dicendo che nel relativo si genera un naturale dualismo; ma nel dualismo sorge anche la pretesa di un “qualcuno” che vuole distinguersi e che verrà profondamente messo in crisi dall’offerta presente nella vita, che è gratuità, è impermanenza, è indistinzione ed effimero. E pertanto saggezza – tradotta per l’umano – è che in ciò che sorge è già insita l’occasione per la scomparsa di quel “qualcuno” che prende corpo e si separa, essendo dentro il movimento del relativo.

Voi tutti potete accettare che il Divino sia presenza, anche quando vi sembrerebbe assenza, e anche che sia presente sotto una forma che non riconoscete. Però noi voci dell’Oltre stiamo parlando di una presenza che per l’umano trova espressione solo nell’inconsistenza, nell’impermanenza e anche nell’attimo dopo attimo, nel semplice che resta semplice e nel non-governabile che sfugge di mano, poiché lo porta a interrogarsi su ciò che il Divino può esprimere nello scorrere impermanente, pur essendo perennemente Immoto.

Il Divino è l’essenza dell’impermanenza che è il vuoto, non il pieno. L’essenza profonda è il vuoto che non dà corpo a quel mondo illusorio eretto dall’uomo, ma spalanca l’abisso dove ha sede il mistero. Il Divino non è accessibile all’intelletto umano: è impenetrabilità, ma nel relativo è comunque percepibile nell’immediatezza del piccolo gesto e dei semplici atti che nascono e muoiono, e nella presenza di quella impercepibile pausa che separa l’inspiro dall’espiro.

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Natascia

Da leggere, rileggere e rileggere. Fino che le parole trovino spazio in qualche piega del Sentire e di lì trovino pace.

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