L’eterno presente non è un destino [CF77-Fr14]

Da: Il libro di François, Cerchio Firenze 77. L ‘eterno presente, dove tutto è già contenuto e avvenuto, è il destino? E dov’è la libertà dell’uomo in questo disegno già compiuto?

I maestri dicono che la realtà è in stato di «essere», e non di «divenire». Cioè tutto è già, e non potrebbe essere diversamente, altrimenti l’Assoluto, che tutto comprende, modificherebbe continuamente il suo stato, il suo essere, la sua realtà e non sarebbe mai uguale a se stesso. Mentre, se è Assoluto, deve essere sempre uguale a se stesso, perché di Assoluto ce n’è uno solo e deve essere sempre Assoluto. Quindi la sua natura, la sua condizione di assolutezza è di eterno presente, di «essere», in cui non vi è il mutare e il trasformarsi che invece si osserva nel mondo del divenire, nell’illusorio mondo del divenire.

Questo però non vuol dire che l’eterno presente sia qualcosa di fatale, di programmato, che l’uomo nel divenire debba vivere in successione e in modo coercitivo, in modo forzato. Non è così. Si tratta di dimensioni diverse. Quello che l’uomo vive in successione, nella sua dimensione ristretta e limitata, esiste nell’eterno presente al di là della successione; però nell’eterno presente non vi sarebbe se, nel divenire, l’uomo non Io vivesse come Io vive.

L’eterno presente, quindi, non è un destino; è piuttosto un archivio in cui esiste già, assieme a tutti gli altri avvenimenti dell’intero cosmo, tutto quello che l’uomo ha fatto, fa e farà. È un archivio diverso da quello che voi così definite, che per voi contiene solo le cose del passato, le cose trascorse; infatti questo è un archivio proiettato in avanti; tutto quello che l’uomo fa e vive è in questo archivio, ma non vi è con la forza del destino che Io obbliga a vivere qualcosa di «già scritto»; vi è proprio in quanto l’uomo lo fa e lo vive.

Da questo punto di vista il concetto di libertà non viene minimamente intaccato, anche se questo non vuol dire che la libertà per l’uomo sia assoluta, perché l’uomo è talmente condizionato dai suoi corpi, dal ruolo che ha nella società, dall’educazione che ha avuto, che la libertà è per lui un fatto molto ridotto.

II concetto di libero arbitrio postulato da alcune teologie, come sapete, pone l’uomo assolutamente libero da ogni influenza, e quindi fruente di una libertà pura, assolutamente libero di scegliere. Chi ancora sostiene questo concetto, pilastro di sabbia che non regge all’analisi del raziocinio, deve necessariamente sostenerlo per poter poi dire all’uomo, quando questo abbia fatto le sue scelte: «Tu sei giustamente premiato o giustamente castigato, perché la tua scelta era libera!»; ora, se l’uomo è influenzato nello scegliere, e sbaglia le sue scelte, può invocare a sua discolpa il fatto appunto di essere stato influenzato; mentre se si sostiene che è libero e che le sue scelte le fa in assoluta libertà di coscienza, non può invocare niente a sua discolpa e cosi, con la tesi del libero arbitrio, Io si rende pienamente responsabile del premio o del castigo eterni.

Questa tesi dei teologi di certe religioni è assolutamente insostenibile e assurda: il semplice fatto di avere un corpo fisico soggetto a malattie, a umori diversi, a tantissime influenze, fa capire che l’uomo non è libero, non gode affatto di una libertà assoluta, di un libero arbitrio; e non godendo di questa libertà assoluta, non gli si potrà mai dire: «La tua scelta è stata giusta o ingiusta perché compiuta al di là di ogni influenza, e quindi, in virtù di questa scelta, tu puoi essere condannato, punito o premiato in eterno». Questo criterio teologico è in effetti una vera ingiustizia.

Quella di cui l’uomo gode è una libertà più supposta che reale; però esiste, anche se in misura minima, una libertà reale, la quale non è mai la libertà di scegliere al di fuori delle influenze, ma è solo la libertà di sottrarsi alle influenze, di sottrarsi a una catena deterministica per sceglierne un’altra, facendo cosi un salto di qualità.

Se il salto di qualità (è solo questo la variante) esiste sempre e solo per colui che ne è il protagonista e che ha la possibilità di fare questo salto di qualità, chiaramente gli altri, non avendo questa libertà, lo vedono a senso unico. Quella che per te è variante non Io è per gli altri, e quindi non è vissuta dagli altri, mentre tu hai la tua possibilità, attraverso un salto di qualità, di prendere appunto una variante alla tua storia, e quindi di viverla, per le tue necessità evolutive.

È sempre cosi: la variante è sempre per chi ha la libertà di scegliere, mentre gli altri, che non l’hanno, vedono la storia a senso unico.

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Catia Belacchi

“Nell’eterno presente non ci sarebbe se l’uomo non lo vivesse come lo vive”.
Nell’eterno presente non c’è successione, nel divenire illusorio sì.
Se l’uomo vive la successione che non c’è, come si creano le scene nell’eterno presente se ci sono in virtù dell’uomo che le sente e crea, in successione?

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