Da: Il libro di François, Cerchio Firenze 77. Come il corpo fisico di uno stesso individuo, che può vivere una variante, possa essere rappresentato in più situazioni contemporaneamente.
Intanto bisogna premettere che ciò che l’uomo vede come «divenire» costituisce invece un «essere». Secondo l’esempio dei maestri, che non trovo sostituibile con altro più efficace, anche le varie situazioni del piano fisico sono da considerarsi nella realtà dell’essere come tante situazioni fisse, una per ogni unità di mutazione. Quindi, non esiste un corpo fisico che è in divenire, che da fanciullo diventa adulto e poi su fino alla vecchiaia e oltre, fino alla morte; ma esistono tanti corpi fisici per quante sono le unità di mutazione, cosi come in un film esistono tanti fotogrammi che, proiettati, danno l’illusione del movimento; e se vi è raffigurato un corpo, i fotogrammi che lo raffigurano danno, proiettati, l’illusione di un solo corpo in divenire, in movimento.
Ognuno di noi esiste solo nel piano akasico, della coscienza: il suo vero essere e il suo vero sentire sono nel piano akasico. Poi si collega ad altri veicoli, come il veicolo mentale, il veicolo astrale e il veicolo fisico, e trasla la sua consapevolezza fino a credere di essere solo nel piano fisico, è vero? Ma questo è un errore di percezione e di traslazione. Ossia, avendo dei sensi attivi nel piano fisico, l’individuo crede di essere nel piano fisico; ma il suo vero essere è sempre e stabilmente nel piano della coscienza, del sentire, nel piano akasico.
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Se potessimo schematizzare questo meraviglioso meccanismo, vedremmo l’essere vero, cosciente, nel piano akasico; il quale ha come dei tentacoli sensori; una volta si lega al fotogramma in cui il suo corpo fisico pone l’atto di camminare, l’istante successivo sente l’altro fotogramma in cui è rappresentato il suo corpo fisico che cammina, e cosi via. ln realtà, non è il suo corpo fisico che si sposta nello spazio, ma è la sua consapevolezza che si lega a queste situazioni cosmiche fisse, che gli danno l’illusione di camminare.
Allora, se per un individuo a un dato punto esiste la possibilità di scegliere di muoversi in una direzione oppure in un’altra; e se nella direzione, chiamiamola, A egli deve necessariamente incontrare altre persone, le quali da questo incontro devono avere una certa esperienza; che cosa potrebbe succedere? Potrebbe succedere che se lui, per ventura, scegliesse di seguire la direzione B, quelle persone non avrebbero l’esperienza che invece debbono avere. Si può dire a questo punto: «Ma se deve essere cosi, togliamo la libertà a questo individuo e facciamogli seguire solo la direzione A». Ma sarebbe un reprimere. Se lui ha questa libertà, per quale motivo gli si dovrebbe togliere la possibilità della scelta?
Per questo, nel piano divino, c’è la soluzione diversa, che è quella di dare una doppia versione della questione.
La prima versione riguarda l’esperienza nella direzione A, che chi deve avere ha necessariamente, qualunque sia la scelta – ossia vivrà quei fotogrammi in cui l’individuo è visto andare appunto nella direzione A. L’altra versione, invece, è quella in cui egli volta verso la direzione B. Ossia, nel momento in cui l’individuo ha la facoltà di scegliere, può scegliere e vivere indipendentemente dagli altri.
Si tratta quindi proprio di spezzoni di situazioni fisiche, e quindi astrali, e quindi mentali, sdoppiate: appunto per consentire all’individuo di fare una scelta e di non influire in modo diverso da come è scritto nella esperienza degli altri, che non hanno questa libertà.
Com’è il meccanismo di questo sdoppiamento? Nel piano akasico c’è l’essere, il vero essere, la sua coscienza, che si porrà in contatto con la successione dei fotogrammi fino al momento della scelta. D’altra parte, quegli stessi fotogrammi nella direzione A sono percepiti dagli altri esseri che quella situazione fisica debbono vivere e che si pongono in contatto con la serie in direzione A, e la vivono cosi come è tracciata. Essi vedono, cioè, il corpo fisico dell’altro che fa quei dati movimenti, che dice loro le cose che deve dire affinché essi abbiano l’esperienza che debbono avere; mentre lui, a quel punto, potrà benissimo fare la sua scelta e porsi in comunicazione con i fotogrammi della direzione B, che lo vedono in tutt’altre esperienze affaccendato. Gli altri, ricordate, vedono di noi quello che debbono vedere.
Può accadere che qualcuno dica: «Tu eri qui quel giorno», mentre io sappia di essere stato altrove? Quel tipo di verifica non viene mai. Nel momento in cui vi fosse questa, si riaprirebbe una variante: una variante in cui tu non sentiresti la domanda e risponderebbe la tua rappresentazione.
Questo non può avvenire perché la realtà è fatta in modo chiaro, coerente e perfetto; mentre, potendo avvenire questo, tutto sarebbe una enorme cosa incoerente. L’illusione è fatta talmente bene che la realtà sembra in divenire, sembra, cioè, costruirsi di attimo in attimo.
Vediamo il discorso della variante di chi è posto di fronte alla scelta tra fare l’elemosina a un mendicante e non farla. Mettiamo che il mendicante, che in quel punto non ha variante, ossia non ha scelta, debba vivere necessariamente l’esperienza di ricevere l’elemosina e quindi, quale che sia la scelta dell’altro, vedrà un passante che pone un obolo nel suo piattino.
L’altro, invece, può scegliere di porre l’obolo o non porlo, vivere quella serie di fotogrammi in cui è rappresentato mentre passa di lì e porge l’obolo, oppure vivere l’altra serie di fotogrammi, l’altro spezzone del film, in cui invece tira diritto.
Poi, al momento in cui vi fosse un cambio della moneta, e tutti dovessero dichiarare i soldi che hanno in tasca, chiaramente per l’individuo vi sarà un’altra variante. Il mendicante dirà «ho tanto» contando anche l’obolo che ha ricevuto, mentre colui che non l’ha dato dirà ugualmente «ho tanto»; e se si potesse fare ancora una somma di tutti i soldi che sono in circolazione, esisterebbe la variante per colui che deve fare la verifica, in cui effettivamente risulti che il passante ha dato l’obolo al mendicante – perché quella è la storia generale che deve tornare.