Tratto dal libro: Pratica e illuminazione nello Shobogenzo, a cura di A. Tollini, Ubaldini editore.
Questo testo è proposto alla comunità dei monaci del Sentiero contemplativo per la loro formazione. Mi soffermerò sul testo di Dogen quando necessario e lavorerò sul commento di Tollini. I miei interventi saranno evidenziati dal colore blu e dal corpo minore.
(Introduzione Tollini) Questo capitolo tratta dell’illuminazione, o meglio della “grande illuminazione”, cioè dell’illuminazione originale, sempre esistita e per sempre esistente, che pervade tutto l’universo. Questa grande illuminazione può presentarsi in modi diversi, ma essa è innata (“Stando così le cose, si deve apprendere il fatto che non esistono esseri animati o inanimati che non abbiano la “conoscenza innata”. Se c’è la “conoscenza innata”, allora c’è l’illuminazione innata, c’è la ricerca della verità innata, c’è la pratica innata”).
Perciò tutti gli uomini sono illuminati ab origine, come dice il maestro Eshô nella sua sibillina frase. Proprio per questo motivo, l’illuminazione non è qualcosa da ricercare e acquisire, e non è il risultato di sforzi applicati nella pratica. Del resto, illusione e illuminazione non sono contrapposti e non ha senso fuggire dalla prima per rifugiarsi nella seconda. Illuminazione, in fondo, significa semplicemente essere se stessi così come “la montagna innevata si illumina per essere una montagna innevata e gli alberi e le pietre si illuminano per essere alberi e pietre”.
[1] La grande Via dei Buddha è stata trasmessa in modo che essa si propaghi ovunque senza interruzioni. I meriti dei patriarchi si manifestano ovunque senza ostacoli. Perciò, (talvolta) essi realizzano la grande illuminazione, oppure senza illuminarsi giungono alla Via, oppure (talvolta) riflettendo sull’illuminazione si divertono con essa, o infine, dimenticandosi dell’illuminazione agiscono a piacimento.440
Questi sono i modi di essere normali dei Buddha e dei patriarchi. Vi sono le dodici ore441 in cui si ha e si usa442 (la grande illuminazione) che è messa al centro, e vi sono le dodici ore in cui si viene usati (dalla grande illuminazione) che è stata messa da parte. Inoltre, vi è sia la dimensione mondana sia quella spirituale che balza al di là di questo meccanismo.443
440 Sono descritti quattro diversi stati. Sono i vari atteggiamenti che possono assumere i Buddha e i patriarchi, i quali non mostrano sempre la stessa condizione. Tutti questi stati sono però “oltre l’illuminazione”, cioè sono stati di chi ha già acquisito l’illuminazione e agisce sulla base di essa.
441 Cioè: tutto la giornata, ovvero tutto il tempo.
442 Dôgen usa ripetutamente il verbo “usare” (shi/tsukau) nella frase “usare la grande illuminazione”. Traduco letteralmente, ma si badi che qui “usare” non dev’essere inteso nel senso normalmente attribuito a questa parola. Piuttosto, significa “attuare”.
443 Cioè: al di là delle dimensioni citate sopra che in qualche modo rappresentano dei meccanismi, ci sono anche dimensioni più libere come quella semplicemente umana materiale e quella umana spirituale, che pure sono presenti. Nishijima Gudo Wafu & Cross Chodo, op. cit., vol.2, p.83, traducono: “[Buddhist patriarchs] experience utilization of the twelve hours , in which they take things up, and they experience being used by the twelve hours , in which they throw things away. Springing out further from this pivot-point, they also experience playing with with mud-balls and playing with the soul”.
[1] COMMENTO (Tollini)
La prima parte di questo testo illustra le diverse modalità con cui i Buddha e i patriarchi manifestano l’illuminazione. Dôgen presenta quattro diverse modalità:
- la prima è la realizzazione della grande illuminazione, ed è la manifestazione fondamentale.
- La seconda è che senza illuminarsi giungono alla Via, cioè, essi giungono alla massima meta della Via (che è ovviamente l’illuminazione) senza illuminarsi. Ciò sembra una contraddizione, ma va letto nel seguente modo: essi giungono all’illuminazione senza perseguirla. “Senza illuminarsi”, significa senza porsi come meta l’illuminazione, quindi vi giungono in modo spontaneo*.
- La terza modalità è “riflettendo sull’illuminazione si divertono con essa”, cioè la usano in modo leggero, quasi per gioco.
- Infine, ci si può anche dimenticare dell’illuminazione e agire liberamente, perché allora tutto ciò che si fa viene dall’illuminazione.**
*Vi giungono senza esserne consapevoli.
** La terza e quarta modalità sono proprie di alcuni che nella realizzazione sono già radicati.
Ciò che Dôgen vuol dire qui, è che lo stato di illuminazione non è fisso e uguale sempre e per tutti, ma può variare a seconda dei soggetti, ma anche delle situazioni, pur tuttavia, esse sono tutte illuminazioni. Ci sono persone che vi giungono spontaneamente perché la loro natura è tale per cui senza sforzo giungono alla meta*. Altri, invece devono sforzarsi e avere un approccio intellettuale, ma possono giungervi egualmente**. Infine, vi sono coloro che dimenticandosi dell’illuminazione semplicemente la manifestano nelle loro azioni***.
*Vi giungono per sentire conseguito: nel momento in cui realizzano l’unificazione, conducono a manifestazione un sentire maturato nelle molte vite.
** Qui Tollini ci mette del suo, Dogen non parla di sforzo e noi sappiamo che l’illuminazione non è che un sentire di un certo grado che si consegue solo attraverso l’esperienza che produce l’ampliamento del sentire. Lo sforzo può essere rutile se finalizzato all’esperienza, al trarre da essa ogni frutto di comprensione, ma non c’è uno sforzo finalizzato all’illuminarsi.
*** Questo, in verità, lo fanno tutti: nessuno va in giro cn un cartello sul petto “Illuminato”, vive la ferialità dei giorni con quella consapevolezza unitaria.
Successivamente, è descritta sia la forma attiva sia quella passiva dell’illuminazione. La prima forma: “Vi sono le dodici ore in cui si usa (la grande illuminazione) che è messa al centro” corrisponde alle due modalità attive descritte sopra, ossia:” essi realizzano la grande illuminazione”, e a “riflettendo sull’illuminazione escogitano l’illuminazione”. La seconda “vi sono le dodici ore in cui si viene usati (dalla grande illuminazione) che è stata messa da parte” corrisponde alle due modalità passive di cui sopra: “senza illuminarsi giungono alla Via” e a “dimenticandosi dell’illuminazione agiscono a piacimento”.*
*Non so, a mio parere T. complica le cose. Dogen vuol semplicemente dire che si alternano consapevolezza dello stato unitario e non consapevolezza, ma lo stato in sé è sempre presente e determina sia la vita spirituale che quella mondana.
Quindi, il primo è un atteggiamento attivo, mentre il secondo passivo e più libero e indipendente dall’illuminazione (la quale è però presente). “Si viene usati” è traduzione letterale, ma non significa qualcosa come “subire” in senso negativo. Più semplicemente significa un atteggiamento passivo nei confronti dell’illuminazione per cui non gli si bada e si agisce indipendentemente da essa. L’illuminazione c’è comunque e la differenza sta nel porla al centro della propria attività oppure nel metterla da parte e agire liberamente rispetto a essa (e a tutto il resto). In parole più semplici, esistono due atteggiamenti diversi di colui che è illuminato: il primo consiste nel porre l’illuminazione al centro della propria attività e quindi farne un uso attivo. Il secondo è quello di dimenticarsi di essere illuminati e agire liberamente*.
*Grossi dubbi, tutto molto scolastico. Qualunque sia il livello di consapevolezza presente, il sentire conseguito opera comunque. Il sentire sempre usa il suo strumento indipendentemente dalla consapevolezza che questo ha del sentire stesso che lo muove.
Inoltre, al di là di queste categorizzazioni che possono sembrare dei meccanismi rigidi, c’è comunque la sfera della mondanità, il vivere di ogni giorno alle prese con la vita quotidiana anche per gli illuminati e inoltre, anche la dimensione spirituale. Perciò, questi meccanismi sostanzialmente teorici devono fare i conti con queste esigenze.
Se siamo illuminati “ab origine” queste quattro vie servono a svelarla, a prenderne coscienza?
4.se ti dimentichi dell’illuminazione e agisci liberamente significa che in un certo senso l’hai perseguita e ti comporti normalmente, se a darle importanza. Come un pesce che nuota senza sapere di farlo nell’acqua, quando ne ha preso consapevolezza continua a nuotare senza pensare più all’acqua..
3. Si può riflettere sull’, illuminazione ma in modo gioudo, senza prendersi troppo sul serio perché è essa stessa che al momento opportuno si rivela.
2. Essendo l’illuminazuone insita nella natura umana, c’è chi ci arriva spontaneamente.
1. Come si persegue la grande illuminazione? Perché grande, se illuminazione è per tutti? Il testo non lo dice. Mi sembra il passo più oscuro.
“Come si persegue la grande illuminazione?“
Attraverso le quattro vie elencate.
“Perché grande, se illuminazione è per tutti?”
“Grande” va inteso come la realizzazione che l’illuminazione è natura di ogni essere e non appannaggio solo di chi si dedica a una Via, dunque non comporta nessun sforzo.
Credo che qui Dogen con “grande” voglia contrapporsi alla credenza probabilmente diffusa nell’ambiente zen che solo attraverso lo sforzo si può perseguire l’illuminazione, generando su questo una certa superbia e attaccamento. Chiamerei questa seconda concezione dell’illuminazione come “piccola.