Fonti: Il cammino religioso, Bendowa, Stella del mattino. Tollini, Pratica e illuminazione nello Shobogenzo, Mediterranee.
Questo materiale è finalizzato alla formazione dei monaci del Sentiero contemplativo e non ha altra finalità. Il curatore interviene per interpretare Dogen alla luce delle comprensioni e interpretazioni proprie del Sentiero e non è mosso da alcuna intenzione esegetica.
❓ 3 «Lo zazen che, a partire da Śākyamuni, viene trasmesso da persona a persona non può certo essere valutato con i criteri consueti dell’uomo. Eppure, non credi che le pratiche religiose, quali, per esempio, la ripetizione dei testi antichi e del nome del buddha Amida, costituiscano una scorciatoia al vivere la vera vita dell’essere? Vale a dire, lo zazen è la forma del non fare nulla: non vi è invece un effetto chiaramente comprensibile nella ripetizione vuoi del nome di buddha Amida vuoi degli antichi testi, che è fare qualche cosa?»
Risposta L’essere28 vive con purezza la propria realtà originaria, in una forma ridotta all’essenziale: ecco che cosa è zazen. Chi pensa che questo zazen sia solamente starsene seduti in silenzio a non far nulla, nega l’orientamento di fondo, il senso stesso per cui ogni uomo può vivere in modo inalterato, con purezza, la vera vita dell’essere29. È un errore enorme insistere caparbiamente per far prevalere il pensiero ordinario di una piccola individualità. È come gridare che l’acqua non c’è proprio quando si è in mezzo al mare. Infatti ciascuno di noi, fin dall’inizio, in abbondanza, ha ricevuto la possibilità basilare di poter vivere con purezza la vita del sé essenziale. Eppure, invece di procedere nella ricerca affrontando la radice di quella possibilità basilare, si cerca qualche cosa all’esterno, fuori, senza guardare dove poggiano i nostri piedi. Questa direzione è errata.
Sebbene lo zazen sia manifestare chiaramente il modo di essere naturale di ogni uomo e di ogni cosa, nel caso in cui zazen non fosse altro che non far nulla, trascorrendo inutilmente il tempo, sarebbe come lo stordimento di un ubriaco ignaro del vero modo di esistere.
28 29 Nella prima edizione avevamo scritto “Essere”, maiuscolo.
Poiché quando veramente si fa zazen chi lo fa non fa anche qualche cosa d’altro, non è possibile la percezione intenzionale “ora sto facendo zazen”*. È in modo che, usando le parole o le teorie, non si può misurare per nulla. Dal momento che esiste davvero, chi correttamente crede in questo modo di essere può entrare per questa giusta porta; per quanto ci si affanni a spiegare non lo si può trasmettere a chi non crede in questo modo fondamentale di essere.
*L’autoconsapevolezza non viene meno e questo non significa necessariamente presenza di un soggetto autoconsapevole: non è un “io sto facendo zazen” ma un “ora è zazen”. Non c’è traccia di questa espressione nella traduzione di Tollini e quindi non sappiamo se la frase evidenziata sia da attribuire a Dogen o a Watanabe.
L’autoconsapevolezza è un po’ come il sentire di esistere, qualcosa di molto più profondo della soggettività, che la precede e che va collocata nel sentire (corpo della coscienza): è da questo che sorge la consapevolezza profonda. Chiaramente il sentire ha questa autoconsapevolezza in virtù del suo specchiarsi nell’esperienza: sentire+zazen producono: è zazen. Sentire+esperienza producono l’inequivocabile senso dell’esistere: non solo di un soggetto che esiste, di un esistere tout court.
[Tollini traduce] In generale, va detto che non è possibile raggiungere lo stato di tutti i Buddha per mezzo dell’intelletto pensante (Shigi letteralmente “pensiero che riflette e valuta”) (Questo stato) non ha neppure a che fare con la coscienza e i sentimenti. Come potrà mai conoscerlo colui che non ha fede e ha uno scarso intelletto?** Solo i grandi uomini che hanno una retta fede*** possono accedervi. Per coloro che non hanno la fede, per quanto si insegni loro, è difficile che recepiscano l’insegnamento.
[Gudo Nishijima Chodo Cross traducono] In generale, lo stato dei buddha è impensabile: l’intelligenza non può raggiungerlo. Tanto meno l’incredulità o la saggezza inferiore** potrebbero conoscerlo? Solo le persone di grande costituzione e di giusta fede*** possono entrarvi. Per le persone incredule, anche se viene loro insegnato, è difficile ricevere l’insegnamento.
**”Scarso intelletto/saggezza inferiore. Certo, il possedere una saggezza inferiore come traducono Nishijima Chodo Cross, sembra difficile da associare allo stato del realizzato, critica è invece l’espressione scelta da Tollini perché nulla viete che all’ultima incarnazione si possa essere dei “semplici”.
***Solo chi ha conseguito un ampio sentire – ed è mosso dal fuoco del sentire stesso – può vivere quella condizione.
Quando Śākyamuni espose il suo insegnamento sul Monte dell’Avvoltoio, ben cinquemila tra coloro che lo ascoltavano si alzarono e si allontanarono dicendo che quell’insegnamento non corrispondeva al loro modo di pensare30. In quell’occasione Śākyamuni disse semplicemente: «Andate pure» e non tentò di trattenerli.
30 Cfr. Sutra del Loto, cap. II.
Dal momento che l’importante è dedicarsi alla pratica dopo aver correttamente esaminato che cosa sia il senso fondamentale del fare zazen, è meglio non dedicarsi a questa pratica* se non se ne comprende il significato.
Realmente conoscete il vero significato del ripetere i testi antichi o il nome del buddha Amida?** Non capendo nemmeno quel vero significato, anche se continuiamo a ripetere i testi tramandati dagli antichi, dal momento che facciamo ciò per un motivo da noi arbitrariamente pensato, questo non è altro che muovere la bocca, è una cosa futile: anche se pare che stiamo praticando con serietà, tuttavia ancor più stiamo allontanandoci dall’insegnamento di Śākyamuni.
*Quando ho iniziato a praticare zazen mi sono immerso in un mondo ma non posso dire che comprendevo appieno quello che stavo facendo, solo col tempo lo sguardo si è chiarificato. L’esperienza poi ha portato anche alla demitizzazione di zazen, e questa è senza dubbio, a mio parere, una comprensione ulteriore.
Chi comprende veramente quello che sta facendo? Questa è la mia domanda.
**Eppure la fede dei semplici si nutre senza fine di pratiche di cui poco viene compreso: chi può dire quante sono le vie per l’unità e quali sono sbagliate? Ed esistono pratiche sbagliate? Rispetto a cosa?
Poiché, secondo gli antichi testi, l’insegnamento di Śākyamuni dice che fare realmente zazen è conoscere il vero significato della propria esistenza* e che con il fare zazen si può manifestare il giusto modo di essere la vita, pur leggendo quei testi, ma solo con le labbra, mai si comprenderà il vero modo di vivere la propria vita. È come dirigersi a settentrione per andare a sud o come voler inserire un palo quadrato in un foro rotondo. Non praticare realmente ciò che è scritto negli antichi testi è come un libro su cui è scritto come guarire le malattie e in cui ci si è dimenticati di scrivere il modo di preparazione dei farmaci.
*Perché? Perché la pratica di zazen ti rende nudo, essenziale. Essendo un infinito perdere conduce alla comprensione, allo svelamento del determinante. Premesso questo, va considerato che la pratica è sempre collegata a un paradigma che la colloca in un contesto e la interpreta: il processo di comprensione e unificazione ha necessità di entrambe perché pratica e interpretazione sono nell’umano inscindibili, sebbene potremmo affermare anche questo: pratica e interpretazione sono anche inutili, la vita – il processo dello sperimentare -comunque conduce, sbattendo, alla meta, e vi conduce il saggio come lo stolto.
Per usare un altro esempio: il ripetere le parole degli antichi testi è come il gracidare delle rane nelle risaie a primavera. Coloro che pensano solamente al guadagno e ai risultati immediati, non facendo zazen si dedicano alla ripetizione delle parole dei testi antichi. Persone di questo tipo esistevano in passato, ci sono pure oggi: sono veramente persone vane.
Chi può conoscere l’intima motivazione di un praticante? Quella motivazione che nemmeno lui conosce e che emerge, alla fine, solo attraverso dolorosi processi di consapevolizzazione e di conoscenza.
Il modo di essere eterno dello zazen, deve essere direttamente trasmesso con correttezza al discepolo dal maestro che quel modo di essere abbia pienamente e chiaramente acquisito in modo corretto. Grazie a questo procedere l’insegnamento di Śākyamuni è certamente protetto. Dal momento che le cose stanno in questo modo, chi si ferma alle parole e alla teorie non potrà mai capire. Soprattutto, non seguendo un vero insegnante per imparare correttamente, non si comprenderà l’effettivo modo di esistere del me stesso che vive il fondamentale se stesso.
Dopo una seconda lettura, è emersa la consapevolezza dello studio necessario per poter trasmettere una comprensione autentica di questi scritti. Addentrarsi in questa dimensione, che inizialmente appare insondabile, fa sì che la pratica dello Zazen assuma un senso più profondo.
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