Bendōwa, Dōgen: la visione non risolta del nesso tra Essere e divenire 12

Fonti: Il cammino religioso, Bendowa, Stella del mattino. Tollini, Pratica e illuminazione nello Shobogenzo, Mediterranee.

8 «Fino a ora, molte sono state le persone che hanno portato dalla Cina e trasmesso in Giappone l’insegnamento di Śākyamuni in varie forme differenti. Come mai, invece di trasmettere direttamente lo zazen, si sono limitati a riportare interpretazioni di argomentazioni scritte e di testi sacri?»

Risposta «Perché le circostanze non erano ancora mature».

9 «Queste persone hanno davvero compreso a sufficienza l’insegnamento di Śākyamuni?»

Risposta «Nel caso lo avessero compreso, si suppone che lo avrebbero comunicato42».

42 Nella prima edizione avevamo tradotto con “si suppone che lo abbiano comunicato” perché nel testo giapponese non compare il condizionale, questa scelta però rischiava di rendere sfuggente, se non incomprensibile la frase.

10 «Secondo un certo modo di pensare, benché l’uomo una volta nato, dopo aver vissuto, finisca per morire, esiste un ottimo sistema per non rattristarsene e che porta a superare la morte stessa43. Consiste nel sapere che vi è nel nostro corpo qualcosa di particolare che chiamiamo spirito, che non nasce né muore ma è eternamente immutabile. Il punto essenziale di questa teoria è che mentre il corpo una volta nato non può che morire, lo spirito non perisce mai.
Se io sono a conoscenza del fatto che nel corpo di ognuno, individualmente, si trova questo spirito che mai perisce, questo è il fondamento essenziale di me stesso. Per ciò che riguarda il corpo, dato che si tratta di una forma provvisoria, non si può stabilire a priori quando muore o dove nasce. Quanto allo spirito, essendo eternamente immutabile, non cambia nel trascorrere del tempo passato, presente, futuro.
Colui che sa che questo spirito non muta in eterno è libero da nascita e morte: costui più non nasce né muore, e nel momento in cui il corpo perisce, il suo spirito, rinato nel mondo eterno e immutabile che è uno con tutto, acquisisce meraviglioso potere soprannaturale.
Adesso, anche se sappiamo che le cose stanno così, viviamo in un corpo prodotto in base ai condizionamenti e agli effetti della nostra vita precedente, perciò, così come ora siamo, non siamo identici a Śākyamuni: a maggior ragione, chi ignora questa fondamentale realtà, rimane prigioniero dell’alterno prodursi di nascita e morte, morte e rinascita.

È necessario quindi semplicemente conoscere fino in fondo la natura immutabile dello spirito. Trascorrere inutilmente la vita facendo zazen, non porta a niente anche se ci si aspetta qualcosa. Sono in molti a pensare così, ma è davvero questo l’insegnamento di Śākyamuni?»

43 Si tratta della cosiddetta “eresia di Senika”, un episodio che compare nel Nirvana sūtra dove il filosofo Senika espone una teoria eternalista che viene negata dal Buddha. Di fatto è la critica alla credenza nella rinascita proposta dalle Upanishad.

Risposta Questo modo di pensare, rappresenta l’opinione di molti religiosi e pensatori precedenti a Śākyamuni. Secondo questa teoria, nel corpo di ciascuno si trova uno spirito immutabile in base al quale, quando si presenta l’occasione di vedere, di udire, di provare una qualche sensazione, noi riconosciamo il bene e il male, il piacere e il dispiacere, il dolore fisico e il suo opposto, la tristezza e la gioia, insomma il funzionamento di un essere vivente è la forza dello spirito particolare di quell’essere.
Poi, quando il corpo muore lo spirito va a nascere in un mondo eterno, diverso da questo, per cui, anche se visto da qui sembra che muoia, in realtà non muore affatto. Ecco il pensiero di queste persone.

Considerare tale opinione alla stregua dell’insegnamento di Śākyamuni, è più stupido che stringere in mano un sasso credendolo un aureo tesoro. Non vi è sciocchezza paragonabile a essa. Il maestro cinese Echū44 mette in guardia con estrema severità nei riguardi di un simile modo di pensare. Le modalità delle varie forme e dei vari aspetti cambiano, mentre il centro essenziale o spirito che dir si voglia non muta ed è eterno: ritenere che questa opinione sia l’insegnamento di Śākyamuni è un modo di pensare che è di per sé causa originaria di nascita e morte. È estremamente sciocco affermare di essere liberi da nascita e morte dopo avere innescato la causa originaria, è un’idea errata al punto che non vale neppure la pena di prenderla in considerazione. Eppure, dato che non è possibile ignorarla, mostriamo fino a che punto si tratta di un’idea erronea.

44 Nanyō Echū (675- 775), in cinese Nanyang Huiz- hong, forse discepolo di Huineng. Elevato al rango di Precettore di Stato si occupò dell’educazione di due imperatori dell’epoca Tang, Daizong e Suzong. Dōgen ne parla con stima nella sezione Sokushin Zebutsu dello Shōbōgenzō per aver criticato la dottrina eternalista e naturalista che consisteva nel prendere alla lettera la frase “la mente stessa è Buddha”.

Secondo l’insegnamento di Śākyamuni, corpo e spirito, forma o aspetto e sostanza sono da sempre un’unità. Sotto il profilo della continuità immutabile (Essere, Eterno Presente, ndr) tutte le cose dell’universo sono immutabili, e non si può dire che il corpo va distrutto e lo spirito dura in eterno. Sotto il profilo della distruzione (divenire, ndr), poi, ogni cosa nell’universo perisce, nessuna esclusa. Non si può dire che l’aspetto formale muta e la sostanza non cambia*.

Dato che le cose stanno così, perché dire che solo il corpo scompare e solo lo spirito resta senza mutare? Così ci si allontana dal corretto pensare. Vita e morte entrambe comprese: questo avvicendarsi di vita-morte, così come è, è il modo di essere dell’eternità. Corpo e spirito, proprio come corpo e spirito, manifesta la forma della vita eterna. Per cui non si deve pensare che vi sia un’immortale vita eterna separata da questa vita-morte. È errato pensare che “lo spirito separato dal corpo è eterno” costituisca il fondamento dell’insegnamento di Śākyamuni che oltrepassa vita e morte; per di più quella stessa mente che così pensa e considera, a sua volta nasce e perisce e non è quindi del tutto immutabile eternamente. Per cui anche questo modo di pensare è vano.

Se consideriamo le cose con attenzione, nell’insegnamento di Śākyamuni viene sempre spiegato che corpo e spirito sono uno. Ciononostante, se quando il corpo perisce, lo spirito soltanto, separato dal corpo, non perisce, l’insegnamento di Śākyamuni risulterebbe errato, perché sarebbe come sostenere che corpo e spirito sono uno e contemporaneamente affermare che sono due.

Inoltre, siccome il pensiero di sfuggire a vita e morte, e in particolare alla morte soltanto, rappresenta il tradimento supremo dell’insegnamento di Śākyamuni, conviene essere molto prudenti. Il fondamento dell’insegnamento di Śākyamuni è che, ogni cosa, nessuna esclusa, vive il proprio modo di essere autentico, e quindi “pratica” significa manifestare questo modo di essere nella realtà del proprio corpo spirito. Perciò siccome ogni cosa di tutto ciò che esiste fa esperienza della vita tramite l’attività che utilizza il proprio essere indiviso, evidentemente non è possibile, dopo aver separato la forma e la sostanza, la vita e il suo decadere, conservare solo la vita e rifiutare la morte. Così, per ogni cosa, per ogni fenomeno, quel modo di essere nel tempo della vita è, come vita, la forma di tutta la realtà così come è. Nel momento della morte è, in quanto morte, la forma della realtà così come è.

Non si deve quindi pensare che vita e morte coesistano. Ecco cosa vuol dire mettere in pratica l’insegnamento di Śākyamuni, utilizzando nel modo giusto il proprio corpo e spirito, facendo in modo concreto l’esperienza della vita. E allora, come è possibile pensare di dividere corpo e spirito, di separare vita e morte dall’eterno modo di essere? Noi tutti siamo già nell’alveo del corso dell’insegnamento di Śākyamuni, e non dobbiamo prestare orecchio a concezioni errate come quella appena esposta».

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Catia Belacchi

Da rileggere.

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