[Traduzione Forzani-Mazzocchi] Ora, questo non è il modo di percorrere la via né per l’anziano né per il principiante. Per esempio, se anche tu diventi esperto in comprensione e conoscenza, la comprensione e conoscenza non ha a che fare con il tuo darti da fare.
[→uma] Gli interventi successivi del curatore non intendono commentare o integrare quanto affermato da J.F.: sono inserti che sorgono dai temi proposti ed esprimono la visione e la tensione che attraversa il curatore e, immagino, ogni monaco del Sentiero. Se le parole di Jiso sono il suono della campana, le nostre sono il suo riverbero in noi: una situazione contemplativa, dunque. [/uma]
Per esempio, anche se diventi esperto nel darti da fare, il tuo darti da fare che rapporto ha con la natura autentica? Se c’è l’apprendere cos’è il vero darsi da fare, c’è anche l’apprendere il vero conoscere e realizzare il risveglio.
[Tollini traduce] Quindi, se studiate la conoscenza della realtà, essa non è l’agitazione. Quindi, se studiate l’agitazione, essa non è nel modo [che credete che sia]. Se poteste comprendere la vera agitazione, allora otterreste la vera comprensione della realtà.
[Continua Forzani-Mazzocchi] La natura che partecipa di Budda bagna l’altra sponda, bagna questa sponda. La natura autentica, davvero, è ogni cosa che è, perché ogni cosa che è è natura autentica. Ogni cosa che è non è frantumata nelle cento cose, né consiste in una solida sbarra di ferro. Non è il grande, non è il piccolo, perché è come scuotere il pugno chiuso, che è intero indipendentemente dalla sua misura (che è una unità indipendentemente dal fatto che la mano sia aperta o chiusa, ndr). Già ora si chiama natura autentica, e quindi non è nel voler mettersi spalla a spalla con i santi, e neppure nel fare paragoni con la natura autentica stessa.
[Tollini traduce] Buddha e natura: se raggiungete l’uno, raggiungete anche l’altro. 97 La natura-di-buddha è sicuramente tutto l’esistente, poiché tutto l’esistente è la natura-di-buddha. Tutto l’esistente non si riferisce a una moltitudine di cose diverse, e neppure a un solo pezzo di ferro.99 Poiché è un pugno levato in alto, non ha a che fare con il grande e con il piccolo. Quando davvero parlate della natura-di-buddha, essa non dev’essere eguagliata ai santi e neppure eguagliata alla natura-di-buddha stessa.100
97 Chi comprende il buddha comprende anche la natura originaria dei fenomeni e viceversa perché buddha e natura sono due facce della stessa medaglia. Come si dice nella frase successiva, natura-di-buddha e tutto l’esistente coincidono.
99 Tutto l’esistente (shitsuu) non è la somma di cose sparse e non si riferisce neppure a una singola cosa particolare. Piuttosto, con una immagine singolare, è paragonato a “un pugno levato in alto”, come dice subito dopo, cioè è semplicemente un fenomeno, non commensurabile.
100 La natura-di-buddha non deve essere rapportata ai santi perché è un fenomeno che investe tutto e tutti, anche gli esseri ordinari. Inoltre, non dev’essere eguagliata neppure a se stessa, perché altrimenti è ristretta entro dei limiti. Ciò, forse significa che la natura-di-buddha non dev’essere eguagliata al concetto di natura-di-buddha.
[Carl Bielefeldt traduce] Il Buddha, essendo in armonia con la Natura del Buddha, è presente ovunque, sia qui che là. La Natura del Buddha è ciò che abbiamo in modo incondizionato, poiché ciò che possediamo in modo incondizionato è la Natura del Buddha. Ciò che abbiamo in modo incondizionato non è un frammento di qualcosa che è stato ridotto in centinaia di pezzi, né è qualcosa di indifferenziato come una barra di ferro solido. È per questo che un Maestro brandisce il pugno per mostrarlo. È al di là dell’essere grande o piccolo. Ciò che abbiamo chiamato ‘Natura del Buddha’ non deve essere equiparato a ‘ciò che è santo’, né, in effetti, deve essere equiparato alla Natura del Buddha stessa.
[→uma] Ho riportato tre traduzione dello stesso paragrafo affinché il lettore colga le sfumature di comprensione degli stessi traduttori e perché il tema è di assoluta importanza.
→ “La natura autentica, davvero, è ogni cosa che è, perché ogni cosa che è è natura autentica.”
La natura autentica è la condizione originaria di Essere, condizione unitaria comune al vivente e a ogni cosa che è.
Essere unità, di questo parliamo: tutto il molteplice divenire non è altro che espressione di uno stato unitario e senza tempo. Ciò che è uno ed eterno diviene – in un virtuale e non reale frazionamento – il divenire sotto l’egida del tempo e della mutevolezza.
Sento già l’obiezione: allora poni l’essenza oltre il reale di adesso! Affatto. Il reale di adesso, qualunque reale è il Reale, natura autentica, questo il contemplante lo sa bene: la natura autentica, il Reale, è un livello della consapevolezza/comprensione/sentire, è come sentiamo l’attimo che accade, l’adesso eterno.
Questo momento presente è Essere, è natura autentica, è sentire pieno e non condizionato come è sentire relativo, divenire, parzialità, limite.
“Ogni cosa che è” sentita, è natura autentica, è il sentire che qualifica l’esperienza – sottolineo l’esperienza – come natura autentica: ciò che è sentito è natura autentica.
Ripeto quanto già detto altrove: la natura autentica è uno stato della consapevolezza dell’Essere, non altro. Si libera consapevolezza della natura autentica nel nostro modo di sentire, innanzitutto.
Il sentire è unitario, per sua natura: abbraccia il pensare, il provare, l’agire e su di essi si rovescia permeandoli e rendendoli sé, espressione, manifestazione di sé, natura di sé.
L’esperienza del sentire è l’esperienza della natura autentica e ogni creatura la sperimenta a suo modo a seconda del livello di sentire cui ha accesso, ma è improprio qualificare e quantificare quell’esperienza, il contemplante lo sa bene, essa è Ciò-che-È e nient’altro può essere aggiunto.
Preciso ancora: il livello di esistenza dominato dal sentire, molto vasto come risulta dallo schema – le varie tonalità del viola – abbraccia tutta la consapevolezza, quella del divenire, quella dell’Essere-divenire e quella dell’Essere. Il sentire contiene il divenire perché lo genera, ma è anche oltre il divenire.
→ “Ogni cosa che è non è frantumata nelle cento cose, né consiste in una solida sbarra di ferro.”
La Realtà unitaria contiene la molteplicità ma non si frantuma in essa, questo significa che l’Uno diviene il molteplice solo in una frantumazione virtuale, non oggettiva: se fosse oggettiva non avremmo più un Reale Assoluto ma molteplici Reali che non sarebbero più assoluti, dunque non esiterebbe un Uno-Tutto-Unitario.
Siccome l’Uno-Tutto-Unitario non può frantumarsi, dividersi, e non può non contenere il tutto perché se non lo contenesse sarebbe una unità senza molteplicità, ecco allora il senso della frase d’apertura di questo paragrafo.[/uma]
C’è un tipo di persone che pensa che la natura autentica sia come il seme di una pianta. Qualora è irrorata dalla pioggia assidua della vera legge (darma) si sviluppano gemme e steli, si fanno lussureggianti i rami, le foglie, i fiori, i frutti. Il frutto poi produce altra semenza. Dare per scontata una simile opinione è senso comune. Per esempio, anche se questa è l’opinione più usuale, bisogna arrivare a capire che semenza, fiori e frutti, tutto, uno per uno, è cuore palpitante*.
[→uma] *I singoli aspetti della pianta sono Essenza, sono Essere, sono Ciò-che-È: sono parte e sono insieme ma sempre sono Essenza unitaria. La natura autentica non cresce, non si coltiva, non si alleva, essa È, a prescindere dal divenire.
Tutto è Uno nel sentire del contemplante. Certo, la foglia è un vivente che non ha la complessità della pianta pur della pianta essendo parte integrante, ma il contemplante sentendo la foglia sente la sua unità d’Essere – sua della foglia e del contemplante – e sentendo la pianta sente l’unità d’Essere della pianta con tutto l’Esistente, Esistente di cui il contemplante è parte inscindibile: nel sentire non c’è senso di separazione, la contemplazione della foglia sviluppa unità nel contemplante e così la contemplazione della pianta.
Siamo anni luce lontani dal mondo della differenziazione, della opposizione, della separazione. Questo senso di unità non significa che il contemplante non coglie più la differenza tra foglia e pianta, il suo focus è sull’unità ed entrambe conferiscono quel senso, quando contemplate. [/uma]
Dentro al frutto c’è seme; il seme non si vede, però fa vivere radice e stelo. Senza neppure comporli appositamente, un piccolo numero di rami sfoggia un grande cerchio; non è questione di dentro o fuori, è la pienezza che attraversa i tempi. Anche se da una parte adottiamo la visione dell’uomo comune, nondimeno radice, stelo, ramo, foglia: tutto vive la stessa vita, tutto muore la stessa morte**; è lo stesso ogni cosa che è che diviene natura autentica.
[→uma] ** “Tutto vive la stessa vita, tutto muore la stessa morte”: è quanto affermavamo sopra, ogni parte come pure l’insieme sono Essere, quando contemplati sono Ciò-che-È, quando non contemplati essi non sono più colti come Essere, come Ciò-che-È, e allora “tutto muore la stessa morte“.
È la contemplazione, ovvero lo sguardo/sentire del contemplante, che rende il reale Ciò-che-È, Reale, o semplice divenire.
Questo significa che tutto dipende, illusione e illuminazione/realizzazione, dal sentire che è in gioco: la Realtà è sempre quella, senza tempo e immutabile, chi e come la percepisce/sente? [/uma]
Fonte: Busshō. La natura autentica, di Eihei Doghen. A cura di Giuseppe Jiso Forzani. Edizioni EDB, Bologna, marzo 2000.
Nota del curatore
Lavorando sullo Shōbōgenzō di Dōgen e non volendo in alcun modo produrre una esegesi delle sue parole, la mia unica preoccupazione è: di fronte a questo concetto, a questa visione, a questo stato che Dōgen dichiara, io cosa provo, cosa sento? Sono capace di indagare il mio interiore nella sottigliezza di certi stati, e possiedo un linguaggio, dei simboli per trasmettere il provato/sentito?
Dōgen mi mette con le spalle al muro e, quando fatico per attraversare le nebbie del testo tradotto, il mio intento è quello di giungere a cosa sentiva lui, a quale sentire rimanda la sua parola, per compiere il percorso che dal suo simbolo mi conduce a ciò che sento. È nel sentire che lo incontro, passando attraverso le nebbie delle parole e dei concetti.
Il passo successivo è: posso osare trasmettere ciò che sento utilizzando il linguaggio simbolico che mi è proprio e che credo sia, in questo tempo, più universale di quello tramandatoci dagli antenati?
- Eremo dal silenzio, tutti i post dei siti
- Contemplazione quotidiana
- Le basi del Sentiero contemplativo
- Un nuovo monachesimo per i senza religione del terzo millennio
- Libro: ‘Il Sentiero contemplativo a dorso di somaro’
- Libro: ‘Come la coscienza genera la realtà personale‘
- La Via della conoscenza, nuova serie di post dal 15.1.25
Stampato per studiarlo