Non bisogna ostacolare il libero fluire del senso di natura autentica niente con preconcetti e pregiudizi: per questo non bisogna mai cessare di interrogarsi e interrogare ogni situazione della vita.
[→uma] “Il libero fluire del senso di natura autentica niente con preconcetti”: il libero fluire del sentire l’attimo presente. Il termine chiave è sentire: la natura autentica di ogni istante è sentire, non altro; il pensiero è ostacolante, l’emozione, l’affettività tutto è troppo e va a coprire quel niente. Nella neutralità del sentire sorge l’esperienza della natura autentica.
L’atto contemplativo è compromesso non solo dal pregiudizio ma anche dal discernimento: contemplare è entrare in una sospensione la cui cifra è la neutralità: il contemplante è Ciò-che-È che sente il Ciò-che-È. Questo è il niente di cui si parla. Farneticazioni per chi non è calato in questo spirito e non conosce l’esperienza.
La realtà presente esiste in due stati simultanei di percezione/sentire:
– come divenire, in cui la consapevolezza è focalizzata sui sensi dei corpi transitori (mentale, astrale, fisico);
– come Essere, con la consapevolezza che si astrae dalla predominanza dei dati dei corpi transitori ed è permeata, in prevalenza, di sentire di coscienza.
In questo secondo caso siamo nella condizione contemplativa, un piano di coscienza differente da quello ordinario, non uno stato della ordinarietà: è coinvolta la predominanza, nella consapevolezza, di corpi differenti sebbene comunque permanga l’unitarietà della percezione, ovvero tutti i corpi sono comunque coinvolti e tutti i dati transitano ma la consapevolezza risiede sul piano unitario del sentire (piano e corpo della coscienza/akasico), non su quello frammentato del divenire (tre corpi transitori).
Dall’osservatorio del sentire viene percepita la realtà dell’attimo presente, ovvero viene sentita come:
– unitaria;
– neutrale;
– senza tempo, che non diviene;
– Ciò-che-È.
Questa realtà sentita è la natura autentica niente di cui lo zen parla. [/uma]
Infatti, non viene mai meno quel rapporto intimo, vitale e sempre nuovo con la realtà che è la natura autentica di ogni istante della vita, che non si ripete mai, che non è mai la copia di un altro istante, per cui non posso esimermi di pormi ogni volta completamente in gioco. Devo obbligare persino la natura autentica a interrogarsi su se stessa!
[→uma] “Pormi ogni volta completamente in gioco”: non si tratta di fare qualcosa, non va intesa in senso mondano come reazione agli impulsi interroganti che provengono dall’esterno, ma di essere pronti a sviluppare quella che nel Sentiero chiamiamo la duplice percezione simultanea del reale: discernere e contemplare.
Sentire il reale di adesso e discernere il reale di adesso. Il contemplativo non vive nell’etere, è ben piantato per terra e quando un fatto si presenta, cioè a ogni attimo, ha due registri simultanei di percezione/lettura/interpretazione: sente/contempla, innanzitutto, e discerne. Perché sente/contempla innanzitutto? Perché è questo il piano della percezione che tiene assieme tutta la realtà, che contiene il discernimento il quale diviene equilibrato e saggio proprio perché illuminato dal sentire da cui scaturisce.
La percezione simultanea dei due registri è solo questione di allenamento della consapevolezza, niente di impossibile: viviamo a cavallo tra divenire ed Essere e il contemplativo ha sviluppato adeguata consapevolezza di questa condizione d’esistere. [/uma]
Natura autentica niente non è qualcosa da cercare a tentoni, qua e là, perché non si capisce bene cosa sia. Per quanto si possa essere presi dal dubbio, per quanto sentendo dire niente ci possa prendere lo sgomento, siamo comunque sostenuti dal fondamento che è la gratuità della vita, dal tempo concreto dell’esistere, dalle varie circostanze contingenti e concrete, dal nostro effettivo modo di essere, dal presente che si fa presente spontaneamente.
[→uma] “Siamo comunque sostenuti dal fondamento che è la gratuità della vita”: mi permetto di dissentire.
Siamo sostenuti dal sentire conseguito (nella illusorietà del divenire e dal sentire che È nell’eternità dell’Essere) e questo ha poco a che fare con la gratuità della vita.
Il tema della gratuità attraversa tutte la tradizioni spirituali, è molto affascinante ma quando si esce da una visione romantica e si entra nel novero delle leggi che rendono possibile la vita di un Cosmo, ben poco è lasciato alla gratuità. La gratuità di un artefice che trascende i viventi? Di un artefice che crea i viventi e le loro esistenze? Direi che è tempo di abbandonare queste visioni ma non è questa la sede per approfondire.
Nella realtà di ogni attimo presente la nostra bussola di fronte al niente di cui parla Jiso – e con lui lo zen – è il sentire che genera le nostre esistenze: non c’è timore di quel niente perché si è già compreso che noi siamo niente, pura illusione, che la realtà non è data da quel noi, ma dal sentire unitario da cui quel noi genera.
Il niente spaventa un individuo con un sentire non strutturato, è libertà per un sentire ampio: il niente è niente di sé ma è anche niente di tutto ciò che rimanda all’effimero esistere delle forme e del tempo. Quel niente viene sentito, vissuto, incarnato per il possibile dal contemplativo, è il suo adesso e il suo orizzonte, il suo pane quotidiano. [/uma]
Fonte: Busshō. La natura autentica, di Eihei Doghen. A cura di Giuseppe Jiso Forzani. Edizioni EDB, Bologna, marzo 2000.
Nota del curatore
Lavorando sullo Shōbōgenzō di Dōgen e non volendo in alcun modo produrre una esegesi delle sue parole, la mia unica preoccupazione è: di fronte a questo concetto, a questa visione, a questo stato che Dōgen dichiara, io cosa provo, cosa sento? Sono capace di indagare il mio interiore nella sottigliezza di certi stati, e possiedo un linguaggio, dei simboli per trasmettere il provato/sentito?
Dōgen mi mette con le spalle al muro e, quando fatico per attraversare le nebbie del testo tradotto, il mio intento è quello di giungere a cosa sentiva lui, a quale sentire rimanda la sua parola, per compiere il percorso che dal suo simbolo mi conduce a ciò che sento. È nel sentire che lo incontro, passando attraverso le nebbie delle parole e dei concetti.
Il passo successivo è: posso osare trasmettere ciò che sento utilizzando il linguaggio simbolico che mi è proprio e che credo sia, in questo tempo, più universale di quello tramandatoci dagli antenati?
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