Quando il sesto Patriarca cinese, il maestro Daikan del monastero Sokei, si recò in pellegrinaggio al monastero Obai, dove risiedeva il quinto Patriarca, questi gli chiede: «Tu, da quale mai luogo vieni?». Il sesto Patriarca dice: «Io sono uno delle cime del Sud»[1].
[1] Reinan, zona montagnosa nel sud della Cina, nei pressi di Canton, è il nome di una regione che letteralmente significa appunto Cime del sud. È preferibile tradurre il nome, anche se si tratta di una indicazione geografica, perché nel seguito del discorso è necessario, come si vedrà, l’uso della parola Sud.
Il quinto Patriarca dice: «Sei venuto a cercare che cosa?». Il sesto Patriarca risponde: «Cerco il modo di costruire Budda». Il quinto Patriarca dice: «L’uomo delle cime del Sud è natura autentica niente, come puoi costruire Budda?».
Questo l’uomo delle cime del Sud è natura autentica niente, non dice che l’uomo delle cime del Sud è senza natura autentica, e neppure che ha la natura autentica; ma dice soltanto: oh uomo delle cime del Sud, tu la natura autentica niente. E la domanda: Come puoi costruire Budda?, in altre parole è: Tu quale modo mai aspetti di costruire Budda?
In verità nel passato coloro che compresero chiaramente il principio della natura autentica sono pochi. Non puoi saperlo dalla scuola del buddismo del piccolo veicolo, né dai commentatori dei Sutra. Solo i discendenti dei Budda e dei Patriarchi lo trasmettono direttamente.
Il principio è questo: la natura autentica non diventa il bastone del tuo viaggio prima che tu diventi la natura autentica; dopo che tu la diventi essa diventa il tuo bastone. La natura autentica certamente diviene assieme con il tuo divenire autentico. Questo principio devi investigarlo e affinarlo con ingegno, con molta cura. Per anni e anni lo devi affinare ingegnosamente, lo devi studiare.
[Carl Bielefeldt traduce] Il principio di fondo della Natura di Buddha non è che la Natura di Buddha si realizzi perfettamente prima di aver realizzato la Buddità, ma che si realizzi perfettamente dopo aver realizzato la Buddità. Senza dubbio, la Natura di Buddha è in completa armonia con la realizzazione della Buddità. È necessario fare un grande sforzo per esplorare questo aspetto attraverso l’addestramento, e potrebbe essere necessario esplorarlo diligentemente per dieci, venti o addirittura trent’anni.
[Forzani-Mazzocchi continua] Non è qualcosa che i santi possono aver già chiarito da qualche parte; il tutto che vive è natura autentica ente – il tutto che vive è natura autentica niente: apprendere è questo principio!
È colpire con precisione il bersaglio: in altre parole è apprendere la legge fondamentale che è proprio il tuo divenire autentico che man mano diventa il bastone del tuo cammino.
[Carl Bielefeldt continua] E non è qualcosa che quei “tre volte saggi e dieci volte santi” * hanno chiarito. Affermare che gli esseri senzienti hanno la Natura di Buddha e che gli esseri senzienti non possiedono una Natura di Buddha significa affermare proprio questo principio. Il modo corretto di procedere è esplorare, attraverso l’addestramento, che questo principio è l’Insegnamento che la Natura di Buddha sarà pienamente perfezionata dal momento in cui realizzerete la Buddità e oltre. Ciò che non esplorate in questo modo non sarà il Buddha Dharma.
[Forzani-Mazzocchi continua] Ciò che non è imparato in questo modo non è elemento della legge di Budda. Se non fosse stata imparata in questo modo, la legge di Budda non avrebbe potuto arrivare fino a oggi. Se non ti è ancora evidente questo principio, nemmeno ti è evidente che cosa sia diventare autentico; né lo vedi né lo odi. Per questo motivo il quinto Patriarca indicò a Daikan la via con l’espressione: l’uomo delle cime del Sud, è natura autentica niente. Per chi è all’inizio nel vedere il Budda e nell’udire il Dharma è difficile spiegare e riconoscere che il tutto che vive è natura autentica niente!
[→uma] Le frasi cardine:
– F-M: “La natura autentica non diventa il bastone del tuo viaggio prima che tu diventi la natura autentica; dopo che tu la diventi essa diventa il tuo bastone. La natura autentica certamente diviene assieme con il tuo divenire autentico”.
– CB: la Natura di Buddha si realizzi perfettamente prima di aver realizzato la Buddità, ma che si realizzi perfettamente dopo aver realizzato la Buddità.
La natura autentica esiste a prescindere dal divenire (saṃsāra) ma per l’incarnato – per lo stato di coscienza focalizzato sul saṃsāra – è accessibile per gradi: è un’affermazione che mi sembra chiara ed è sorretta dall’esperienza, ma prima di parlare di questa vorrei ricordare che innumerevoli sono state le divisioni in casa buddista tra chi concepiva l’illuminazione come immediata e coloro che la ritenevano un processo graduale.
L’illuminato, il realizzato non è colui alla cui consapevolezza e comprensione si dischiude la natura autentica e la visione unitaria?
E non è forse un dato d’esperienza che in alcuni si aprono spiragli improvvisi – più o meno vasti – e in altri il processo è invece più laborioso e progressivo? E non rappresenta questo l’affiorare di uno stesso processo in due modalità differenti?
Qual è il processo comune e unitario che ha i due sbocchi? Il processo del sentire, secondo la nostra visione.
Processo che avviene secondo le logiche e le leggi del sentire: un sentire di un dato grado di ampiezza tende – in virtù della sua ontologia – verso un grado di sentire di ampiezza maggiore generando un sentire complessivo più vasto. Questo processo di ampliamento del sentire si realizza attraverso le esperienze quotidiane e concrete, l’unico modo per comprendere, per rendere quell’ampliamento certo e irreversibile.
A questo punto posso introdurre una riflessione sull’esperienza di tutto questo: da più di trentanni, in modo consapevole e lucido, armeggio attorno al tema della natura autentica e ho nitida la successione di esperienze di quella dimensione, esperienze che si sono fatte sempre più chiare, più profonde, più implicanti una coerenza di vita, una capacità di incarnazione estesa del sentito.
Il processo è stato costellato di flash intuitivi a cui hanno sempre fatto seguito scene di vita concrete attuative dell’intuizione e/o verificanti la stessa.
La sequenza è stata questa: intuizione-apertura su un sentire vasto/esperienza ripetuta/intuizione-apertura su un sentire più vasto e lucido del precedente/esperienza ripetuta/ecc.
Ogni intuizione scendeva più in profondità e ogni esperienza chiedeva maggiore coerenza con il sentito quindi cambiava inesorabilmente il vivere quotidiano.
Ci sono state intuizioni come folgorazioni che sembravano palesare la meta unitaria ultima, a cui sono succedute esperienza di conferma e di crisi e ancora consapevolezze che sembravano non poter avere ancora ulteriore profondità e così è stato fino a oggi e non credo che finirà.
È chiaro che niente c’è di più limitato ed equivoco della nozione di realizzazione/illuminazione: stati di sentire di ampiezza progressiva si affermano alla consapevolezza e alla pratica e ciascuno di questi – o almeno quelli topici – vengono interpretati come ultimi e definitivi mentre non lo sono mai.
Questo ci dice che la natura autentica è il mondo della consapevolezza del sentire, mondo che sempre si dischiude e che mai ha termine pur essendo presente nella sua totalità nella dimensione dell’Eterno Presente (EP).
Dall’EP – che è un archivio/stato della consapevolezza, non un luogo – “affluiscono frammenti”, gradi di quella totalità d’Essere e di sentire che chiamiamo natura autentica e che a noi, nel momento presente, appaiono come totalità assoluta mentre è chiaro – alla luce dell’esperienza che diviene – che sono stati relativi.
Espresso con linguaggio più neutrale: tutti i gradi di sentire sono presenti nell’EP e con essi si stabiliscono delle connessioni che interfacciano il presente del divenire e l’EP.
Il Ciò-che-È è il flash su questi gradi di natura autentica percepibili in questo adesso ma è anche qualcosa di più complesso. In quanto Ciò-che-È, il contemplante non afferma questo è più ampio del precedente, in quanto Ciò-che-È è quello che è e basta, ma a uno sguardo unitario, che tiene assieme l’abisso dell’Essere e i tanti stati del divenire, risulta chiaro che i flash del Ciò-che-È “bucano” la relatività di ciascuna intuizione – qualunque sia la sua ampiezza nel divenire – per far affluire la compiutezza del sentire unitario totale “contenuto” nell’EP.
Quindi noi abbiamo stati di sentire/realizzazione/illuminazione di ampiezza progressiva e affluire di Ciò-che-È che non hanno limitazione alcuna, autentici flash sull’infinito Essere.
Non dimentichiamo mai che la natura autentica è ambivalente: è infinito Essere ma è anche percezione di infinito Essere, sua contemplazione: l’atto contemplativo, o la vita contemplativa sono lo schermo su cui prende forma l’immagine della natura autentica.
Fonte: Busshō. La natura autentica, di Eihei Doghen. A cura di Giuseppe Jiso Forzani. Edizioni EDB, Bologna, marzo 2000.
Fonte: Carl Bielefeldt
Nota del curatore
Lavorando sullo Shōbōgenzō di Dōgen e non volendo in alcun modo produrre una esegesi delle sue parole, la mia unica preoccupazione è: di fronte a questo concetto, a questa visione, a questo stato che Dōgen dichiara, io cosa provo, cosa sento? Sono capace di indagare il mio interiore nella sottigliezza di certi stati, e possiedo un linguaggio, dei simboli per trasmettere il provato/sentito?
Dōgen mi mette con le spalle al muro e, quando fatico per attraversare le nebbie del testo tradotto, il mio intento è quello di giungere a cosa sentiva lui, a quale sentire rimanda la sua parola, per compiere il percorso che dal suo simbolo mi conduce a ciò che sento. È nel sentire che lo incontro, passando attraverso le nebbie delle parole e dei concetti.
Il passo successivo è: posso osare trasmettere ciò che sento utilizzando il linguaggio simbolico che mi è proprio e che credo sia, in questo tempo, più universale di quello tramandatoci dagli antenati?
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