L’intenzione e il suo sorgere nella coscienza 6

Ciascuno di noi ha una visione antropomorfica e piuttosto infantile della complessa struttura umana e cosmica, ovunque proiettiamo l’immagine di noi, l’illusoria immagine che stiamo percependo e concependo, perché naturalmente percepiamo ciò che concepiamo.

Come sorge un’intenzione da una coscienza, da un corpo akasico? Il corpo akasico ha una sua diretta volontà che lo porta ad affermare: voglio questo? Non funziona così.

Il corpo akasico-coscienza è un grande aggregatore/comparatore, qualcosa di molto più vicino a un algoritmo che ad altro: aggrega secondo logica e legge le esperienze di sentire acquisite che divengono comprensioni, quindi vibrazioni e materia stabili nella sua struttura, quando risultano confermate nella comparazione con la Vibrazione Prima.

Il centro di ogni dinamica, il vero centro propulsore di tutta l’esistenza umana sorge da questa comparazione tra l’impronta/matrice della Vibrazione Prima e i dati strutturati nel corpo akasico, dati che corrispondono in parte o in toto all’impronta/matrice.

Il “piccolo circo” dell’esistenza nel divenire, saṃsāra, non finisce fino a quando le due matrici non corrispondono in alcune componenti ritenute essenziali. Il “grande circo” della successione del sentire – libero dall’esigenza delle esperienze incarnative nei tre piani transitori ma non dal principio della separatività e delle sequenzialità – termina quando le due matrici combaciano: allora la parte e l’Assoluto sono uno. In questo secondo caso la matrice che si confronterà con la Vibrazione Prima non sarà più quella del corpo akasico ma un’altra, non saprei quale con esattezza ma verosimilmente la Coscienza Cosmica.

L’intenzione dunque sorge da questa comparazione, tutta la vita su tutti i piani sorge dal confronto con la Vibrazione Prima: questo ci dice che tutto origina dall’Uno, da una dinamica interna alla natura e alle leggi dell’Uno-Tutto.

Come un LLM non è in grado di ragionare ma solo di confrontare dati acquisiti e dati richiesti, così una coscienza – corpo akasico non è assimilabile a un essere senziente ma a un meccanismo.
C’è da qualche parte un essere senziente o c’è solo l’illusione di esso? Bella domanda ma non è la sede per rispondere.

La matrice costituita nell’akasico, in perenne tensione con la matrice della Vibrazione Prima, genera la realtà del saṃsāra che conosciamo e nella quale siamo immersi: a questo livello d’esistenza non può esserci pace e stabilità durature e tutto è dinamica che da un grado di sentire conduce a un altro grado, da un’esperienza a un’altra perché il sentire muta solo attraverso le esperienze, esperienze che producono l’1+1=3.

La vita nel divenire, generata dall’intenzione di coscienza sotto l’egida della legge dell’equilibrio, è soggetta alla totale mutevolezza e impermanenza: nulla è stabile e tutto tende a un equilibrio maggiore perché tutto tende al modello della Vibrazione Prima, l’essenza dell’Essere Assoluto.
Ecco che tutti gli ambienti mentali, astrali, fisici, tutte le relazioni sono governate da questa tensione di fondo.

Ecco anche la ragione per cui la vita su questo pianeta non sarà mai un Eden, un modello di perfezione, perché questo è un laboratorio e non è destinato al risultato ultimo ma è a esso funzionale. I nostri ambienti relativi: mentale, astrale, fisico saranno sempre attraversati da tensioni perché specchio di una tensione prima che muove l’intera rappresentazione del divenire.

Questi ambienti relativi, se osservati e contemplati, svelano lo stato dell’arte della nostra matrice akasica: le popolazioni di ciascuno di questi ambienti parlano di noi, del processo di comprensione in corso, della funzione dell’altro all’interno del processo.

Non c’è spazio per alcun vittimismo e non c’è responsabilità dell’altro che non sia funzionale a noi: tutto rimanda a un sentire che genera la propria immagine e, generandola, la trasforma perché la consapevolizza.

Come la consapevolizza? Confrontandola con l’immagine contenuta nella Vibrazione Prima:
– matrice modello ⬌ matrice in divenire = consapevolezza dello stato d’essere e della direzione/comprensione da perseguire. (Fine del ciclo sull’intenzione)

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