Gli appunti che seguono sono una discesa nel vuoto e del vuoto avranno i caratteri, dell’assenza che sorge del perdere, dello scomparire affinché solo l’Essenza sia.
1. L’esperienza dell’Unità è esperienza di unificazione interiore e con tutto ciò che – apparentemente altro – diviene non altro da sé: è esperienza di comunione, di non differenziazione e anche di fusione.
Ma non è la fine dello sperimentabile, lascia in parte aperta la questione legata allo scomparire più profondo.
La stessa unificazione è uno scomparire nelle prerogative per realizzare 1+1=3, ma c’è del’altro, molto d’altro. Questi appunti, anche sconclusionati, serviranno per scendere nell’abisso dello scomparire non in un”qualcosa” variamente qualificato, ma in un vuoto di tutto quanto conosciuto e immaginabile all’umano, in una dimensione unitaria fondata sul perdere.
Scriverò quando potrò, il solo compiere questo gesto introduttivo è un direzionare la consapevolezza verso l’abisso, poi sorgerà il possibile a questo piccolo essere. 1.3.25
2. L’unità, come esperienza, genera dal senso di Essere e di Esistere: cosa rimane di questo nel precipitare nell’abisso di un’altra dimensione? Le Individualità, fondendosi, danno luogo alla Coscienza Cosmica; le Coscienze Cosmiche, fondendosi, alla Coscienza Assoluta: 1+1=3, l’Assoluto Essere è il tre totalmente altro da 1+1. Qui sorge il problema dell’abisso oltre l’unità. 2.3.25
3. L’unità è esperienza che accade, nelle sue tante e progressive fasi, a cominciare dalla perdita del proprio personale confine: come si stempera il confine di sé, inizia a presentarsi l’esperienza dell’unità. Il perdere è dunque la chiave: perdere, abbandonare, scomparire sono i verbi di una nuova grammatica dell’Essere.
È sul perdere che apre direttamente sull’abisso del Vuoto che va focalizzata l’indagine.
Perdere e Vuoto vanno contemplati. 2.3.25
4. Scrivere per nessuno: questa consapevolezza mi precipita nell’abisso. Vivere essendo consapevole che è solo un moto interiore tra sé e sé, solo rappresentazione di fronte allo specchio dell’autocoscienza.
Vivere non è essere visti, vedere, essere riconosciuti, riconoscere: è lo specchiarsi della propria consapevolezza, il divenire consapevoli di essere frammento, prima, unità in seguito, Essere che è oltre frammento/unità, infine.
Il processo è tutto interiore, l’ambiente in cui avviene è pura scenografia, gli altri sono comparse effimere relative alla consapevolezza conseguita e al sentire strutturato. Gli altri sono la rappresentazione esterna dei nostri moti di sentire interiori. Il film della vita scorre nella perfetta solitudine dell’attore sulla sua scena, questo anche quando l’attore è in sé una moltemplicità come lo può essere una Individualità o una Coscienza Cosmica.
L’Uno che contiene il Tutto, che lo è, è tutta la vita ed è Uno. Mi verrebbe da aggiungere: è Uno ed è solo, ma così facendo lo connoto umanamente. Quel solo però significa il superamento del due e del molteplice, superamento che per l’umano è difficile e che lo porta a connotare l’unità ultima anche come solitudine ultima, abisso oltre la familiarità del conosciuto molteplice, caldo, affettuoso, fraterno.
Allora c’è un balzo, un salto necessario tra la concezione/esperienza coltivata da un contemplativo dell’unità e quello che si trova a sperimentare addentrandosi in essa: dall’unità sentita come molteplicità fusionale all’unità dell’Uno Solo. Dal “sperimento l’unità scrivendo per la mia comunità”, al “scrivo senza ragione e scopo”.
Unità/molteplicità e Unità/Uno: bisogna fare un balzo, la seconda è altro rispetto alla prima.
Un esempio: il nostro corpo fisico è composto da miliardi di cellule e queste da miliardi di particelle, dunque è una unità/molteplicità, ma noi ci percepiamo unitari, Uno/Solo. 2.3.25
Funzionale Sempre attivo
Preferenze
Statistiche
Marketing