Di seguito alcune questioni poste da Leonardo dopo una citazione da Busshō 7.
[→Leo] Il Ciò-che-È è il flash su questi gradi di natura autentica percepibili in questo adesso ma è anche qualcosa di più complesso. In quanto Ciò-che-È, il contemplante non afferma questo è più ampio del precedente, in quanto Ciò-che-È è quello che è e basta, ma a uno sguardo unitario, che tiene assieme l’abisso dell’Essere e i tanti stati del divenire, risulta chiaro che i flash del Ciò-che-È “bucano” la relatività di ciascuna intuizione – qualunque sia la sua ampiezza nel divenire – per far affluire la compiutezza del sentire unitario totale “contenuto” nell’EP.
Quindi noi abbiamo stati di sentire/realizzazione/illuminazione di ampiezza progressiva e affluire di Ciò-che-È che non hanno limitazione alcuna, autentici flash sull’infinito Essere.
Non dimentichiamo mai che la natura autentica è ambivalente: è infinito Essere ma è anche percezione di infinito Essere, sua contemplazione: l’atto contemplativo, o la vita contemplativa sono lo schermo su cui prende forma l’immagine della natura autentica. Dōgen, Busshō: divenire natura autentica 7 [busshō7]
Sono alcuni giorni che rifletto su questo estratto e cerco di capire confrontando con l’esperienza la reale comprensione di questo passaggio. L’esperienza del Ciò-Che-E’ è esperienza della totalità dell’Essere o di un grado relativo di sentire?
È chiaro che la nostra esperienza del Ciò-che-è non è sempre la medesima, basti solo pensare come le prime esperienze del Ciò-che-È si presentano come eclatanti e poi mano a mano questo aspetto scema per diventare sempre meno “impattante” e dunque “evolve”.
Comunque, l’esperienza di un nuovo grado di sentire è l’esperienza “solo” del nuovo grado di sentire o sempre e comunque esperienza della totalità dei gradi del sentire, sentiti unitariamente?
Quando noi affermiamo di fare esperienza della “natura autentica” questa affermazione corrisponde all’esperienza di uno dei gradi di sentire, che comunque dal punto di vista dell’EP è sempre natura autentica non essendo colta nella sequenzialità, oppure facciamo esperienza della totalità dell’Essere, inteso come Individualità già costituita o, anche, come Coscienza Cosmica?” [/Leo]
[→uma] Questioni rilevanti che mi inducono a ridefinire il significato di alcune espressioni.
- Ciò-che-È: non riguarda la realtà/Realtà ma la nostra percezione nel sentire di essa.
Quando mi riferisco a una situazione, a un fatto, a un aspetto di un individuo o del mondo, o del Cosmo, o all’Assoluto stesso utilizzando l’espressione Ciò-che-È, non intendo apporre una etichetta, definire qualcosa che è oltre me e il sentire che si dispiega, esprimo con una formula standard il sentire di quel momento, sentire che è variabile perché mutevole è la possibilità di esserne consapevole. Non varia il sentire complessivo indagabile – quello conseguito, evidentemente – ma varia la consapevolezza conseguibile di esso.
Ecco che il Ciò-che-È definisce uno sguardo, un modo di sentire che impone la scomparsa del soggetto e un vuoto totale: sulla profondità di questo sguardo pesa l’incognita di ogni volta.
Ma il Ciò-che-È non è solo questo e anche molto d’altro e a questo mi riferisco quando affermo che “buca” la relatività di ciascuna intuizione.
Chi può dire in quali abissi scende la consapevolezza in ogni flash di Ciò-che-È? A volte avvertiamo l’immensa profondità, altre sentiamo che siamo appena ai primi vortici dell’abisso, ma rimane in noi il dubbio che stiamo semplicemente sbagliando, che ogni Ciò-che-È conduce comunque nel ventre dell’Essere.
Io non sono in grado di indagare questo nel dettaglio, ma ritengo che il Ciò-che-È abbia simultaneamente due valenze: una relativa e una totale. Conduce nei primi vortici, a volte, e simultaneamente nel ventre dell’Essere e questo risulta alla consapevolezza come un unico flash con due portate differenti. Non so dirlo meglio di così, ora.
- Natura autentica: la natura prima degli esseri e dei fenomeni, di ciò che giunge a manifestazione.
Natura unitaria non soggetta al duale ma diversamente percepibile da chi nel duale risiede con la percezione: essa non muta in virtù della percezione, ma il percettore ne può cogliere solo una data estensione a seconda del sentire conseguito.
L’inevoluto come l’evoluto si pongono in relazione con la natura autentica e ne hanno due percezioni nel sentire differenti. Un esempio: un individuo non particolarmente evoluto coglie la natura autentica dell’amore a lui accessibile, ad esempio, attraverso il sesso e l’affetto, un altro individuo sperimenta quello nell’andare oltre sé.
I due sperimentano lo stesso amore? No, perché non hanno lo stesso sentire, le stesse consapevolezze e gli stessi veicoli transitori: l’amore è una vibrazione ed è sperimentato a seconda del sentire e dei recettori posseduti. Più è grande il vaso, più acqua ospita.
L’archetipo permanente dell’amore è percepito/sperimentato – attraverso gli archetipi transitori – in molteplici sfumature e ampiezze a seconda del sentire di coscienza conseguito e della struttura dei corpi transitori sperimentanti.
“L’esperienza di un nuovo grado di sentire è l’esperienza “solo” del nuovo grado di sentire o sempre e comunque esperienza della totalità dei gradi del sentire, sentiti unitariamente?“
In sé, se un atomo di sentire si è aggiunto al totale precedente, dovremmo sentire quel totale più uno, ma il totale del sentire proprio di una Individualità non è mai richiamabile alla consapevolezza dall’incarnato per i limiti posti dai veicoli transitori, dall’incarnazione stessa, insomma, pertanto il grado di sentire sperimentabile è sempre soggetto a variabilità ed è sempre relativo. [/uma]
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