Spero non sia sfuggito all’attenzione del lettore il post di ieri.
Il rischio, forse il pericolo, che corriamo noi tutti ricercatori dell’interiore nel percorrere con determinazione la via dell’unificazione, è quello di conseguire frammenti di unità e su quelli insistere e sperimentare per ampliarli, non riservando cura e attenzio-ne sufficienti a quelle parti del nostro essere che sono rimaste indietro.
Credo che l’indicatore del nostro cammino non sia soltanto quanta unità siamo capaci di sperimentare, ma anche e, per certi versi, soprattutto, quante volte cadiamo come asini raglianti.
L’unità raggiunta ci parla del conseguito; la caduta, del lavoro da fare. Lo sguardo deve spaziare sull’una e sull’altro e, a partire da questa visione d’insieme, perseverare nelle esperienze della vita sapendo che è da esse che scaturisce il nostro esserci e il nostro scomparire.
Dentro alle esperienze, dentro alla vita, avviene la comprensione: non dalle tecniche, non dall’ascesi, non dal tirarci fuori dal mondo.
La via spirituale ci conduce nel mondo, ovvero nelle esperienze di relazione con l’altro da noi, permettendoci di viverle con occhi e sentire diversi ed aprendoci a nuove possibilità di interpretazione e di comprensione.
“Siate nel mondo ma non del mondo” credo si riferisca anche a questo.
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