L’esperienza della preghiera

Autrice:  Celeste

Preghiera

Sentirsi sasso di fiume
che rotola
e si lascia levigare
dallo scorrere incessante
della corrente.

Sentirsi filo d’erba
che accoglie
la carezza della brezza,
lo sferzare della pioggia,
il calore del sole,
la morsa del ghiaccio,
il solletico di un insetto.

Farsi concavita’
nella quiete della mente
per percepire la presenza
dell’Incommensurabile nell’adesso.

Incontrare la preghiera, per una persona della via, non è sempre una opportunità che si presenta perché a questo termine, di solito, è legata una accezione che rimanda alle preghiere dell’insegnamento catechistico e all’educazione religiosa dell’infanzia; oppure perché educazione religiosa non si è avuta e, pertanto, non si è fatta esperienza né del pregare, né del dire preghiere.
Nell’accezione religiosa tradizionale la preghiera si traduce nel recitare preghiere e si prega, di solito, per ottenere qualcosa; l’orazio si tramuta in rogatio, nell’orante è presente un atteggiamento richiestivo ed è ben evidente la separazione tra un io e un Tu. Quando si rifiuta l’insegnamento religioso così come lo si è ricevuto, si lascia alle spalle anche quell’accezione di preghiera e si finisce così per non scoprire la vera essenza del pregare.
Certamente non è detto che una persona della via debba scegliere questa forma per quietare la mente e fare spazio all’Imponderabile, ma potrebbe darsi il caso che, per qualcuno, sia la forma consona, o per lo meno, lo sia in alcuni momenti della vita; allora vale la pena di approfondire un po’.
Mi è capitato da adulta, quando ormai avevo rigettato l’educazione religiosa e stavo cercando una modalità che desse forma all’emergere di un nuovo sentire, di venire a contatto con lo zazen, vale a dire la pratica meditativa dello zen. Fare zazen significa sedersi con le gambe nella posizione del loto o del semiloto su un cuscino rotondo a pochi centimetri dal muro e, con gli occhi aperti e le mani raccolte, semplicemente stare. I pensieri vanno e vengono e non li si segue; se ci si accorge di averne agganciato uno, lo si lascia andare e si torna a posare lo sguardo sul muro e sul respiro. E così di seguito fino a che i pensieri si rarefanno e arriva uno stato di presenza sopita, uno stato di quiete. Ma, se lo stato di quiete non arriva, nulla è tolto all’atto meditativo.
Il modo di stare dello zazen lo sentivo consono a quel particolare momento della vita ma, nell’organizzazione della giornata, non riuscivo a ricavare abbastanza spazio perché potessi praticarlo per un tempo adeguato. Per mia fortuna le letture di quel periodo mi portarono a scoprire i salmi e a capire come introdurli nel divenire della giornata. Quando affrontai la loro lettura, a parte alcuni passi strettamente legati al pensiero di quel tempo e, a mio avviso, difficilmente assimilabili al sentire spirituale dell’uomo di oggi, li trovai straordinari; secondo me, l’opera più alta di poesia della cultura occidentale.
Nei salmi è raccontato l’uomo nella sua interezza, nella sua interiorità fatta di ansie, di angosce, di fiducia, di accoglienza, di un sentire, a volte vacillante a volte saldo e profondo, che nella vita non siamo soli ma siamo accompagnati costantemente da una vastità che ci comprende, ci trasforma e in cui è gradevole naufragare.
Così, nel poco tempo che avevo a disposizione per stare nel silenzio, invece di praticare lo zazen, leggevo un salmo, lo leggevo e rileggevo, ruminando i versi che emergevano, tra gli altri, dal testo. In questo modo, quando mi alzavo, portavo quei versi con me ed essi tornavano spontaneamente durante la giornata. Ho scoperto così, per caso,il significato dello stare sempre in preghiera, come sottolineano nei loro scritti, i padri del deserto.
Questa recitazione non aveva nulla in comune con l’accezione tradizionale del recitare preghiere; era una interiorizzazione profonda della parola, di una parola potente perché carica dell’esperienza spirituale di generazioni e generazioni di persone che l’avevano sentita, plasmata, recitata per raccontare il loro cammino di uomini nella ricerca dell’Assoluto. Introiettando in me quelle parole, anch’io mi sentivo parte di quel cammino ed ero riconoscente.
Sempre leggendo testi di spiritualità capii che questa forma di preghiera prende il nome di preghiera esicastica, da esichia che significa quiete, ed è molto praticata nei monasteri ortodossi. Ho anche compreso come in realtà l’esicasmo sia l’equivalente del mantra recitato in oriente a dimostrazione che, quando si intraprende un cammino spirituale, le forme vengono poi a coincidere e successivamente abbandonate per dar spazio al silenzio, al fare e allo stare senza altra specificazione.
In effetti la recitazione dell’esicasmo produce, di per sé, l’acquietarsi della mente così come succede nel praticare lo zazen,.
Quando la mente si quieta, dall’atto intenzionale del pregare si passa all’atto meditativo, le parole emergono spontaneamente dall’intimo di sé seguendo il ritmo del respiro; non c’è più un io che prega, c’è l’atto del pregare che sorge spontaneo poi, via via, anche le parole smettono di sgorgare e sopraggiunge lo stato contemplativo: rimangono solo il ritmo del respiro, la mente vuota, il corpo che sta e una sensazione particolare di presenza-assenza che può corrispondere ad una percezione di fusione.
Poi qualcosa riporta l’attenzione al presente e la mente ritorna attiva.
Può succedere, nei vari periodi della vita, che non sempre siamo nella possibilità di giungere alla quiete della mente: l’emotività emerge con forza, gli accadimenti esteriori sembrano prendere il sopravvento, ci sentiamo incerti, insicuri, vacillanti. Può accadere allora che la presenza solitaria di un muro come nella pratica dello zazen, invece di aiutarci a posare i pensieri e a trovare il nostro centro può sembrarci angosciante e può far emergere i vari fantasmi della mente.
A questo punto la preghiera esicastica può venirci in aiuto.
Il respiro, che è alito di vita, nel suo scorrere circolare (inspiro- pausa, espiro- pausa), produce di per sé un effetto calmante.
La parola efficace del salmo scende dentro di noi portata dal ritmo dell’inspiro e dell’espiro e agisce come un’intercapedine tra un sé smarrito e una mente invasiva e prepotente.
Questa porta, via via, ad uno stato di rilassamento e crea nel nostro intimo uno spazio che si apre ad una dimensione più vasta e a un atteggiamento di fiducia e di abbandono.
Ora niente è più come era prima di sedersi e riusciamo a riconoscere i fantasmi mentali per quello che sono, fantasmi appunto, che non hanno niente a che vedere con la nostra coscienza, con la nostra essenza intima e con la realtà che viviamo.
La preghiera esicastica non va effettuata necessariamente con la ruminazione di un verso o di una parola di un salmo, ma può essere praticata con qualsiasi parola luminosa che sgorga dall’intimo in quel particolare momento e che racconta del sentire di quel particolare momento, giacché non siamo noi che preghiamo ma qualcosa di molto più vasto prega in noi.
Si possono pertanto usare parole attinte da altre tradizioni. Ci sono preghiere pellerossa che testimoniano la grande spiritualità di questo popolo allineato coi ritmi della natura, rispettoso della sacralità della vita in qualsiasi forma essa si manifesti, che percepisce se stesso semplicemente come uno degli esseri della creazione in armonia con tutti gli altri esseri.
Ci sono poi gli Haiku, brevi poesie giapponesi, che riescono a rendere un sentire o uno stato contemplativo attraverso la fissazione di un’immagine della natura utilizzando parole scarne, essenziali, profonde.
Via via che si acquisisce dimestichezza con la preghiera esicastica o con la meditazione in qualsiasi forma la si pratichi si giunge, dopo un po’, a fare esperienza dello stato contemplativo, di quello stato dove le parole muoiono, la mente è quieta e rimane solo l’atto del respirare. Respiro in aramaico si dice Ruah, in sanscrito Atman e tutte e due le accezioni significano anche Spirito. Dunque, quando noi respiriamo, inspiriamo ed espiriamo lo Spirito, partecipiamo della vita dello Spirito, siamo vivificati dallo Spirito. Quando usiamo la parola Spirito ci riferiamo al manifestarsi dell’Assoluto nel relativo. Il respiro crea uno spazio dentro di noi dove l’Imponderabile può posarsi. Possiamo capire così la pregnanza della frase delle Scritture: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito abita in voi?(1)” e facciamo esperienza di come il respiro sia in effetti, di per sé, un mantra potente.

Quando durante la giornata noi riusciamo, ogni tanto, a tornare sul respiro, facciamo spazio nell’ingorgo della mente e ci riallineiamo con Qualcosa che è più vasto di noi e che ci comprende tutti.

Dopo anni di pratica meditativa o di preghiera come dir si voglia, si comprende che qualsiasi siano le forme, tutte riconducono al respiro e all’atto contemplativo e che non c’è più bisogno di trovare un momento particolare della giornata per stare, perché ogni gesto, ogni atto quotidiano, ogni inspiro ed espiro compiuti in consapevolezza, sono già preghiera.

Si riportano di seguito, a titolo di esempio, alcune preghiere attinte da varie tradizioni che si possono utilizzare durante la preghiera

Salmo 138

Signore, tu mi scruti e mi conosci,

tu sia quando seggo e quando mi alzo.

Penetri da lontano i miei pensieri,

mi scruti quando cammino e quando riposo.

Ti sono note tutte le mie vie;

la mia parola non è ancora sulla lingua

e tu, signore, già la conosci tutta.

Alle spalle e di fronte mi circondi

e poni su di me la tua mano.

Stupenda per me la tua saggezza,

troppo alta, e io non la comprendo.

Dove andare lontano dal tuo spirito,

dove fuggire dalla tua presenza?

Se salgo in cielo, là tu sei,

se scendo negli inferi, eccoti.

Se prendo le ali dell’aurora

per abitare all’estremità del mare,

anche là mi guida la tua mano

e mi afferra la tua destra.

Se dico: “Almeno l’oscurità mi copra

e intorno a me sia la notte”;

nemmeno le tenebre per te sono oscure,

e la notte è chiara come il giorno;

per te le tenebre sono come luce.

Sei tu che hai creato le mie viscere

e mi hai tessuto nel seno di mia madre.

Ti lodo, perché mi hai fato come un prodigio,

sono stupende le tue opere,

tu mi conosci fino in fondo.

Non ti erano nascoste le mie ossa

quando venivo formato nel segreto,

intessuto nelle profondità della terra.

Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi

e tutto era scritto nel tuo libro;

i miei giorni erano fissati,

quando ancora non ne esisteva uno.

Quanto profondi per me i tuoi pensieri,

quanto grande il loro numero, o Dio;

se li conto sono più della sabbia,

se li credo finiti, con te sono ancora.

Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore,

provami e conosci i miei pensieri:

vedi se percorro una via di menzogna

e guidami sulla via della vita.

Altri Salmi, n. 8, 15 (16), 18 (19), 23 (24). 50 (51). 62 (63), 90 (91), 91 (92), 103 (104), 117 (118), 150

Stella del mattino

Si è levata

la stella del mattino.

Valico le montagne

inondato di luce

come il mare.

(Papago)

Il telaio del cielo

O Madre Terra, o Padre Cielo,

i vostri figli sulle schiene stanche

portano doni splendidi.

Tessete in cambio per noi vesti di luce:

la trama sia la luce bianca del mattino,

l’ordito sia la luce rossa del tramonto,

le frange siano di pioggia,

e l’orlo d’arcobaleno,

così che camminiamo ben vestiti

là dove cantano gli uccelli

e verde è il colore dell’erba.

O Madre Terra, o Padre Cielo.

(Pueblo Tewa)

Case di spiriti

Case di spiriti

Fatte di albe

Fatte di muschio

Fatte di cotoni

Fatte di pioggia

Fatte di soli

Fatte di turchesi

Fatte di venti

Fatte di pellicce

Fatte di pollini

Fatte di pietra focaia

Fatte di cristalli

Spiriti di tutte le case sotto i cieli,

Benedite la mia casa fatta di fango, resina, pino.

Benedite la mia famiglia fatta di sangue, midollo, osso.

( Canto Navajo)

Come un fiore di loto

che si apre immacolato

alla rugiada del mattino

è la bellezza di ogni uomo.

Daigù Ryokan

Monaco zen

In un fiocco di neve,

che presto si scioglie,

c’è tutto l’universo;

da tutto l’universo

scende un fiocco di neve.

Daigù Riokan

Bibliografia essenziale

Gentili, Schnoller : Dio nel silenzio, editrice Ancora

Andrè Luof : Signore Insegnaci a pregare, Ed Qiqaion

Andrè Luof : Lo spirito prega in noi, ed Qiqaion

A. Zarri: Nostro signore del deserto, Cittadella editrice.

(1) 1 Corinzi 3,16

Romani 8,9

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