Un lungo succedersi e intrecciarsi di eventi, intenzioni, pensieri, emozioni, questo è la vita. Tra conflitti e piccole liberazioni scorre il nostro quotidiano impregnato di routine.
Nella routine incontriamo il partner, i figli, i genitori, i colleghi di lavoro, i maestri, i discepoli, i libri, i film che ci plasmano.
Incontriamo la sofferenza e la gratificazione, l’umiliazione e il riconoscimento.
Nei piccoli fatti che succedono portiamo a manifestazione il nostro sentire e, da questi, esso viene trasformato e ampliato nella sua comprensione.
Al centro c’è la vita e i suoi piccoli fatti.
Ci sono fatti più o meno importanti, trasformativi? Senza dubbio, ma bisogna considerare che ogni fatto eclatante è stato preparato da tanti fatti apparentemente secondari e non rilevanti.
C’è il fatto “determinante” in una vita? Non credo. La nostra trasformazione, ciò che permette al sentire di ampliarsi, è sempre conseguenza di un insieme di fattori che, certo, poi magari culminano in quell’incontro, in quell’accadimento che noi etichettiamo come determinante, ma, in effetti, quell’incontro non è altro che il fattore visibile di un processo: il resto è sommerso, ma sostiene e fonda quell’aspetto visibile.
Ecco perché affermiamo che la vita è la prima ed ultima maestra.
La vita così com’è presenta innumerevoli possibilità di conoscenza e comprensione ad ogni essere, di qualunque natura esso sia. Al minerale come al vegetale; all’animale come all’umano e al sovraumano: solo l’Assoluto non ha opportunità.
L’assassino impara non meno del santo; ciascuno attraversa il processo che dall’intenzione conduce all’azione, passando per il pensiero e rivestendosi di emozione.
Non vedo la possibilità che esistano vite sbagliate: ogni vita ha la sua ecologia e scrive, realizza, la propria sceneggiatura condizionata dall’ampiezza del sentire conseguito.
Se guardo alla mia esistenza, ho incontrato due situazioni fortemente plasmanti: lo zen e la via della conoscenza.
Potrei dire che questi incontri mi hanno cambiato la vita, ma direi una sciocchezza.
La vita che ho condotto, sorretta e disegnata dal sentire acquisito, mi ha permesso di incontrare quelle due vie che sono state, innanzitutto, non l’avvio ma la conclusione di un processo.
Quelle due vie hanno reso visibile, portato a consapevolezza, ciò che già era maturato attraverso le esperienze vissute nel quotidiano.
Nello stesso tempo, quei due incontri hanno dato luogo all’avviarsi di un processo nuovo: sono state dunque testimonianza di un qualcosa che era già compiuto e attivazione di qualcosa che si va compiendo.
Questo mi permette di dire che non c’è il “determinante”, ma che tutto il cammino dell’uomo è costellato di fatti, pensieri, intenzioni che lo formano e lo plasmano.
In questo immenso laboratorio che chiamiamo vita, ogni tanto ci sono delle comprensioni, ci diventa d’un tratto chiaro qualcosa. Un processo composto di una lunga sequenza di dati si inscrive nella coscienza come acquisito, comprensione incancellabile: ampliamento del sentire non più rinegoziabile.
Quella comprensione, così illuminante, a volte avviene nell’impatto con una via o con un cosiddetto maestro: l’errore che noi commettiamo è di attribuire la comprensione a quell’incontro quando, invece, questa è frutto di un lungo processo di cui quell’incontro è solo una tappa, un punto.
Spesso, quella via, ha portato alla luce con delle parole, o degli stati d’essere, quanto in noi esisteva ma non era codificato e quindi esisteva ancora in “potenza”. Quell’incontro ha reso “atto” la “potenza”.
Quella via, vibrando in un certo ambito di sentire, ha fatto risuonare il nostro sentire, illuminato la consapevolezza: allora qualcosa ci è divienuto evidente e si è manifestato come pensiero e come esperienza d’essere.
Prima era solo qualcosa che premeva, poi è divenuta evidenza che si è affermata e dispiegata come conoscenza e comprensione.
I processi sono il centro del vivere; il vivere è il quotidiano; il quotidiano, la routine.
Insieme sono la vita, maestra definitiva.
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