Hai visto la vita?

Quasi trent’anni fa abbiamo scelto in contemporanea lo stesso dolcetto al bar di fronte all’Università Statale e ci siamo conosciute dividendolo. Da quel momento apparteniamo alla stessa officina, in quella prossimità talvolta scomoda dei compagni di vita, nella saldezza modulata dei rari rapporti destinati a durare.
Scuole di vita diverse. Vicine. Sorelle. Ogni tanto lei si fa male. E’ come se le mancasse quella spontaneità corporea che induce i riflessi di sopravvivenza. Quando le cammini accanto continua a “tamponarti”. Suo marito dice che non sa camminare. Riconosco a malincuore che un po’ ha ragione.
Ha un animo grande, un’umanità che si riversa generosa, una mente raffinatissima e invadente. Sembra che la sua testa si appropri di ogni esperienza non concedendo all’essere la tregua di uno spazio sgombro dalla presenza di un raziocinio folgorante. Con qualche conseguenza pratica.
Una volta eravamo insieme a cavallo e prima ancora di partire si è ribaltata sul cemento, di testa, col cavallo addosso. A un metro in linea d’aria vivevo la scena al rallentatore, in una silente, asciutta, impotenza. Non si svegliava più. Eravamo in un luogo sperduto. Coma. Lesione profonda. Recupero.
Poi è stata la volta del ginocchio, dove altri se la sarebbero cavata con una distorsione lei ha visto disintegrarsi i legamenti. Altro intervento.
A fine giugno si è rotta il tendine d’Achille scendendo uno scalino. Si è arrabbiata tantissimo. Ha visto vanificarsi il tempo della vacanza, spazio importante. Dopo un anno di impegno, responsabilità e dedizione come insegnante e come psicologa, il viaggio pianificato faceva marameo. Si è opposta, indignata, lamentata a dismisura. A un certo punto la mia empatia si è trasformata in una schietta insofferenza.
Negli stessi giorni vedevo persone in difficoltà affrontare questioni radicali con accettazione e coraggio, al di là della disperazione. E la MIA amica non riusciva a relativizzare la sua esperienza? Sgrunt e arci-sgrunt! Questo cantava la mia identità. Intuendo vagamente che non esistono problemi di serie A o di serie B, dalla mia posizione di “sana come un pesce” non mi sono sentita autorizzata a proferire parole di ridimensionamento. Meglio così.
Fra leggerezze mediche e incomprensioni ospedaliere è arrivata l’esperienza della prossimità della morte, sotto forma di una severa trombosi. Esperienza forte, paura grande. Dopo una degenza piuttosto lunga e qualche peripezia, l’altro giorno è stata dimessa. Ha commentato: “Hai visto la vita? Mi sono opposta rabbiosamente a un inconveniente relativo e mi ha portato a essere semplicemente contenta di essere viva”.
La mente è lì pronta ad appropriarsi dell’esperienza con tutta la raffinatezza del caso, ma intanto il suo essere  assapora la consistenza dell’aria, l’odore delle piante, il battito del cuore. E basta. Mi sento felice che c’è. E basta.

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