Abitare il deserto interiore come la migliore delle case

Proseguo il ragionare iniziato nel post Un nuovo monachesimo per i senza religione.
Esiste un monaco senza casa, senza appartenenza, senza adesione, senza riti, senza miti, senza santi, senza consolazioni, senza ricerca, senza ascesi.
Esiste un monaco che risiede nella vita come la rena sulla battigia e come questa si fa lavorare dal ritmo del mare, dallo scorrere della vita tra divenire ed eternità.
Esiste un monaco che intenzionalmente non vuole andare da nessuna parte, che non ha alcun regno da realizzare, alcuna illuminazione da conseguire.
Esiste un monaco piegato al quotidiano che è apprendimento ineluttabile e contemplazione scelta, coltivata, facilitata, lasciata accadere, accolta.
Esiste un monaco che abita uno spazio sconfinato, libero dalle cianfrusaglie, che non ha scopo se non il vivere in quella duplice disposizione

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Un nuovo monachesimo per i senza religione

“Per parlare a Dio non c’è altro da fare che leggere, ascoltare, ruminare e poi ridire a Dio tutto ciò che Lui ci ha detto, dopo aver trasfuso in quelle parole tutto il pensiero, tutto l’amore e tutta la vita. La parola di Dio diventa così il luogo e il mezzo dell’incontro con Lui. ” (M. Magrassi, La preghiera a Cluny e a Citeaux, pag. 640, in La preghiera nella bibbia e nella tradizione patristica e monastica, ed. Paoline)
Da Dio a Dio attraverso l’umano che risuona come uno strumento, questo è il percorso interno alla preghiera cristiana.
E in noi che non frequentiamo quella modalità, ma solo la contemplazione del reale?

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Il sapore del reale, la contemplazione del sentire

“Ciò che il monaco cerca quando legge, non è la scienza, ma il sapore. La Scrittura è il pozzo di Giacobbe da cui si attingono le acque che poi si spandono nell’orazione”. (J. Leclercq, Ecrits monastiques sur la Bible, in Medieval Studies, 1953)
Ciò che vale per i cristiani, vale per tutti noi indipendentemente da quale sia la lettura, o la situazione nella quale ci troviamo immersi.
La mente cerca la scienza, la ragione, la logica, il senso: il sentire è attento a cogliere la sostanza, il sapore come dice il Leclercq.
Cos’è la sostanza/sapore? Uno stato d’essere.

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Possiamo recare danno ai nostri figli?

Commenta Maria al post Amare non è dire si, non è soccorrere, non necessariamenteMi Chiedo quali siano i risvolti di tutto ciò in ambito educativo: come posso non influenzare con il mio comportamento un piccolo? È rassicurante pensare che comunque tutto serve alla sua evoluzione, ma ciò non deve frenare la spinta a migliorare dei comportamenti che avvertiamo inadeguati.
Due livelli di interpretazione sono possibili:
– un figlio è sempre nella famiglia che gli è necessaria e nella relazione che gli è funzionale;

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Il cammino attraverso la ribellione

Dice Duccio commentando il post Ti interroghi sulla tua compassione: Se tutto è già deciso, se ciò che vediamo manifestarsi nel mondo è il tutto, il principio creatore, come si colloca l’indignazione della parte cosiddetta buona del tutto e le azioni che da qui partono per “migliorare” il mondo? Ed esiste un’altra pari indignazione della parte cosiddetta cattiva del tutto? Se no cosa vuol dire, che il tutto ha già una direzione di marcia ed un punto di arrivi?

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Ti interroghi sulla tua compassione

All’alba di una domenica d’agosto, cammini su di un tappeto di foglie secche abbandonate da alberi che non hanno più la forza di trattenerle, stremati da una sete che non perdona e non si placa.
Sorge in te una ribellione profonda per il Demente che di questa sofferenza della natura porta la responsabilità, e ti interroghi sulla compassione di cui tanto spesso parli, sulla tua compassione.
Si, tu compatisci il Demente e, nonostante il danno che esso provoca devasti il mondo, non riesci a puntare il dito, ma un dolore profondo ti invade e una distanza si aggiunge, una lontananza dovuta ad una estraneità: estraneo nei modi, nel sentire, nella capacità di rispondere alle responsabilità.

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Amare non è dire si, non è soccorrere, non necessariamente

Ciò che cerchiamo di dare, o di non dare, all’altro comunque parla sempre di noi.
Osservo con molta attenzione l’impulso a dare, come la paura di farlo: qui voglio parlare dell’attitudine interiore che porta alcuni a dare ripetutamente e con apparente naturalità.
Comunemente affermiamo che il dare, il prendersi cura, il sostenere siano espressioni dell’amore che ci muove e attraverso quelle disposizioni e quei gesti prende forma: può darsi che sia così, ma non sempre e non comunque.

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Del karma delle genti e del non grattare la pancia all’orso

A te che fuggi da condizioni di vita miserabili abbandonando la tua terra natale e, spesso, anche i tuoi cari, venendo meno alle esperienze, obiettivamente dure da affrontare, che la vita ti ha proposto, non credere, così, di poter sfuggire alle tue necessità evolutive, e cerca di renderti conto che non è mai veramente possibile discostarsi da esse…(Dall’ultimo messaggio del Cerchio Ifior)

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Le diverse realtà dell’identificato e del non identificato

Afferma Maria nel commento al post Solo il giudizio ci separa dall’Uno: “[…] pura tossicità la logica del divenire, dell’imparare, del perfezionarsi.
Puro veleno che, immersi nella sequenzialità della mente e del divenire, non possiamo non bere fino a quando ci diviene evidente che esso ci ottenebra l’esperienza di quel che è”. Queste parole mi risultano di difficile comprensione, sarà che mi sento molto dentro la logica del divenire, avverto una logica di giudizio nel descrivere una parte ineludibile della nostra realtà. Perché deve essere veleno se è necessario passare di lì per giungere a superarlo? Sento che se non si sciolgono prima dei nodi identitari nel piano del divenire si rischia di rimanerne invischiati e parlare di Essere rimane solo una bella teoria.”

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Kyrie eleison

Signore, sii benevolo con me.
Kyrie eleison.
Adesso che viene la sera,
mi presento a mani vuote.
Ho cercato senza sosta
nelle ore del mio giorno,
ma, adesso che la sera
illumina di una tenerezza nuova
il cammino mio e quello altrui,
ho solo uno svuotamento,
un’assenza da offrire.

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