Sulla natura dell’amore che è e che diviene

Approfitto di due commenti al post Il ciclo del vivente che da amore torna ad amore per approfondire l’argomento.
Marco: 1- mi viene in mente il canto “Io non sono nulla”, che a un certo punto dice: eppure senza di me… Frase che sembrerebbe affermare una peculiarità del nostro esserci; 2- se la realtà non è altro che dispiegamento dell’amore, è gioco forza intendere tutti quegli atteggiamenti e azioni, che poco o nulla hanno a che fare per lo meno con l’idea che noi abbiamo di amore, come il risultato di una distorsione identitaria di un impulso che è comunque impulso d’amore.
Samuele: 3- Come compendi però l’amore imprescindibile verso sé stessi? Anche proprio a livello di cura della persona, salvaguardia del proprio equilibrio psico-fisico? 4-Anche questa è una forma d’amore, e non necessariamente va sempre verso l’altro, ma va verso sé.

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Il ciclo del vivente che da amore torna ad amore

“Tu creatura, chi sei?
Tu sei ciò che dai agli altri
Tu sei la compassione che sai donare a chi sta soffrendo.
Tu sei la dolcezza che trasmetti a chi è amareggiato
Tu sei il sorriso che porgi a chi è infelice
Tu sei tutto quello che di te agli altri arriva
Tu sei
Tu, da solo, non sei nulla, creatura
Tu sei

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Permanere nella radice di sé: l’eremo interiore

La vita nell’eremo con i suoi modi, i suoi tempi, i suoi silenzi è la conseguenza di una scelta: permanere nella radice di sé.
Quella scelta è stata compiuta molto tempo fa e non è fondata sulla volontà, ma sul piegarsi ad un’esigenza esistenziale.
Un’esistenza intera chiedeva tempo, ritmo, silenzio, lontananza dalle menti e dalle emozioni, abbandono al semplice processo del vivere così come si srotola nella routine dei giorni.
Solo chi vive qui può comprendere l’incolmabile lontananza dal mondo e la simultanea vicinanza con tutti gli esseri imposta dalla compassione.

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Ciò che ha valore nella conoscenza mistica

Stabiliamo il valore delle cose, delle persone, dei processi a partire dalla centralità dei nostri bisogni: ha valore ciò che interagisce creativamente con un nostro bisogno, possibilmente contribuendo a soddisfarlo.
In una evoluzione di questa visione, ha valore ciò che non riguarda me, ma noi: al soggetto singolare si sostituisce quello plurale ma la sostanza non cambia, c’è ancora qualcosa, o qualcuno che è centrale.
Nella visione più avanzata, quel noi diviene l’umanità intera, il pianeta e i suoi equilibri: la visione abbraccia tutti gli esseri e tutti i processi ma, anche qui, c’è ancora un centro, ampio quanto si vuole, ma un centro.

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L’ingiustizia del mondo e il vero scopo del vivere

 Afferma Nicoletta commentando il post Tra accoglienza e rifiuto non vediamo il problema della giustizia: Mi chiedo: se queste complesse dinamiche sono karmiche, cosa posso fare io? Il senso di impotenza e frustrazione, almeno per me, e’ ormai connaturato. Se il pensiero si spinge a tutte le ingiustizie di questa terra si rimane smarriti e, ripeto, impotenti. 
(Pdf per la stampa, 2 pagine A4)
Cominciare da poco e da vicino ti direi Nicoletta, parafrasando una espressione del Cerchio Ifior.
In altri termini: la realtà si cambia iniziando da sé. 

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Lasciamo che l’amore operi in noi

Se spostate lo sguardo da queste parole che state leggendo verso destra, vedete una tazza vuota e la frase: L’amore sostanzia la realtà.
La tazza vuota è il simbolo del vuoto di sé: vuoto di presunzione di conoscere, vuoto di giudizio, vuoto di aspettativa, vuoto di una soggettività che occupa uno spazio a discapito dell’altro, vuoto di bisogni, vuoto di ingombro di sé.
La frase significa quel che afferma: la sostanza della realtà è costituita dall’amore. Ogni fatto (pensiero, emozione, azione), ogni accadere altro non è che articolazione del principio d’amore, l’unico realmente esistente, l’alfa e l’omega del processo del divenire, il principio che mai muta perché precede ogni divenire e non è corrotto dalla natura effimera di questo.

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L’esperienza diretta, la narrazione, l’autorevolezza

In quest’epoca distorta la nostra percezione del reale dipende dalla narrazione altrui, non dall’esperienza diretta.
Perché? Perché abbiamo un deficit di esperienza e perché non avendo piena consapevolezza dei processi non siamo in grado di decodificarli.
1- il deficit di esperienza diretta: se abbiamo un orto e poca acqua per annaffiarlo, comprendiamo subito il problema della siccità.
Se viviamo in campagna, tocchiamo con mano il cambiamento climatico, non abbiamo bisogno che qualcuno ce lo racconti, lo patiamo sulla vostra pelle.

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Tra accoglienza e rifiuto non vediamo il problema della giustizia

Stretti nella morsa dell’emergenza immigrazione non riusciamo a discernere, a vedere il problema nella sua interezza, cogliamo frammenti, ci dividiamo e iniziamo il rito del configgerle: quando non sappiamo trovare soluzioni, facciamo guerre.
Rito antico, rito tra maschi, rito inguardabile per chi ha occhi per vedere il reale.
La questione generale: il problema non è quello dell’accoglienza, ma quello della giustizia.
La questione particolare: l’accoglienza deve essere realistica e commisurata alle possibilità di ciascun popolo.

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Una responsabilità prioritaria: non alimentare l’inimicizia

Questo tempo è attraversato da correnti di inimicizia molto forti, molto pervasive e che intessono gli animi e le relazioni.
Non descriverò qui i mille volti di questa inimicizia, sono più che evidenti anche agli occhi dei meno accorti.
Voglio invece parlare della responsabilità di chi ha compreso l’importanza e la delicatezza di questo tempo di transizione per le coscienze.
Mi risulta incomprensibile e non accettabile l’atteggiamento di quanti si voltano schifati di fronte all’essere attuale del mondo: non comprendo la presunzione che sostiene quella avversione, non condivido il tirarsene fuori, la critica di chi non si misura con i processi.

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La disciplina necessaria nel governo delle forze interiori

In questo video trovate gli ultimi attimi di vita di due ragazze inconsapevoli del loro essere e del loro agire.
La sera, quando oramai la giornata è finita, guardo quasi sempre qualcosa su Netflix: mi interessano quelle narrazioni che hanno anche una valenza esistenziale, in questi giorni sto seguendo una serie in cui i protagonisti si sono formati nella disciplina del Kung Fu.
Formati nella disciplina: di questo voglio parlare.
La disciplina delle emozioni, del pensiero, dell’azione: cose d’altri tempi, desuete, forse improponibili oggi, inascoltabili da identità fondate sulla propria centralità.

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