Tenzo Kyokun: tutto è Via, se c’è la dedizione [12.2]

Verso la metà del quinto mese del sedicesimo anno (1223) dell’era Jiading (1208-1224)[1] ero su di una nave nel porto di Qingyuan e mentre parlavo con il capitano giapponese, giunse un anziano monaco. Aveva circa sessant’anni. Subito salì sulla nave e chiese ai giapponesi presenti dove poteva comperare dei funghi giapponesi.

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I fratelli e le sorelle dell’officina esistenziale

Una delle nostre più grandi difficoltà è quella di riconoscere i fatti esistenziali, il dispiegarsi del disegno delle coscienze. Incontriamo persone, interpretiamo situazioni, ma troppo spesso ci sfugge ciò che sostiene, ciò che genera quegli incontri, quelle situazioni.

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La gratuità nel dolore, tra contemplazione e quotidiano

Nel post della Via della Conoscenza che uscirà il 16 settembre si afferma:
Perché gratuità – voi dite – non può essere quel dolore che vi colpisce e vi trapassa, lasciandovi a terra; dopo tutto il vostro darvi da fare per migliorare, per progredire spiritualmente, lo ritenete immeritato […]

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In zazen si sperimenta la realtà come ‘fatto’ liberato dal divenire

Lo zazen è l’esperienza della vita affrontata senza uno scopo.
La vita nel divenire è tale perché ogni fatto ha e deve avere un scopo: l’essere protesi ‘verso’, consapevole o inconsapevole che sia, crea la successione dei fatti e la loro finalizzazione.
Non avere scopo e fine distrugge il processo del divenire perché ne mina le basi.

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Una via non è un caravanserraglio per pellegrini

Il caravanserraglio era un edificio deputato alla sosta delle carovane che attraversavano il deserto.
Oggi, molte vie di approccio all’unica Via, sembrano caravanserragli, opportunità di riposo, di rigenerazione, di formazione per persone che attraversano le fatiche della vita, non di rado deserti esistenziali.

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Tenzo Kyokun: quale altro momento potrei attendere? [12.1]

Quando io (monaco di montagna) ero residente nel (monastero) Tiantong (giap. Tendō), era preposto al ruolo il tenzo Yong (giap. Yū). Una volta, dopo pranzo, superato il corridoio orientale camminavo in direzione della sala Chaoran,[1] e il tenzo era di fronte alla sala del Buddha[2] che arieggiava dei funghi.

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I fatti sono disconnessi gli uni dagli altri [40G]

L’uomo è pieno di sé quando ritiene che da un’azione derivi un suo merito o demerito, in quanto connette ogni azione con quelle successive, rendendole conseguenti a un suo operare da protagonista. È pieno di sé anche colui che restringe l’agire a un risultato, e poi se lo attribuisce, come se ciò che accade fosse originato dal suo agire.

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