La coppia 6: il conflitto

Non voglio analizzare le ragioni del conflitto, mi interessa sottolinearne due aspetti:
– l’ineluttabilità;
– la funzione.
Ovunque esista identità, esiste conflitto: avendo l’identità la necessità di definirsi e di sentirsi esistente, nella relazione di coppia si confrontano due di queste necessità e un certo grado di attrito è inevitabile.
Come prende forma, si sviluppa e cosa produce il conflitto?
1- la levata di scudi, l’inalberamento, esperienza ben nota a tutti: di fronte ad una affermazione o ad un comportamento dell’altro si accende uno stimolo ad ergersi/manifestarsi/contrapporsi.
2- l’arroccamento: la costruzione del fortino e la difesa/attacco.
3- il riposizionamento: la rappresentazione delle rispettive istanze identitarie può condurre ad un ridimensionamento delle stesse.
Questo ultimo punto mi interessa: i due, dopo la prova muscolare si ammansiscono e si aprono ciascuno all’istanza dell’altro. Se non si aprono non c’è evoluzione e il conflitto permane divenendo risentimento od altro.
“Si aprono ciascuno all’istanza dell’altro”: vorrei farvi notare che per aprirci all’altro, alle sue ragioni, al suo punto di vista molto spesso dobbiamo passare per il pavoneggiamento della nostra singolare posizione.
Come evitare questo?
– Semplicemente vedendo la prova muscolare che si appresta;
– riconoscendola come manifestazione della propria percezione identitaria;
– dubitandola;
– disconnettendola, lasciandola andare.
Naturalmente questo ha valore all’interno di un rapporto, o di una dinamica identitaria, sani, non distorti patologicamente.
Se i due sanno che il conflitto appartiene alle cose, se sono dotati di un solido legame e di una buona dose di ironia, questa sarà la chiave determinante per detendersi quando gli scudi si alzano: sorridere di sé è la chiave. Quasi sempre.
Per non sviluppare conflitto persistente nelle relazioni è necessaria la consapevolezza piena delle proprie dinamiche egoiche: se si vede in tempo reale ciò che la propria mente aggiunge sul reale, il conflitto non sorge.
Per sviluppare questa consapevolezza è necessario che l’adesione alla propria spinta identitaria sia molto blanda.

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La coppia 5: l’autonomia

Il ritmo vicinanza/lontananza consolida i due nelle relative autonomie.
E’ vero che la coppia è un organismo con un suo respiro e una sua direzione esistenziale, ma è anche vero che i due sono cammini esistenziali differenti: dalle stesse scene estraggono insegnamenti differenti.
Se la coppia è il campo base, la vita di ciascuno dei due si sviluppa lungo i sentieri che salgono e scendono dal monte, ciascuno per il proprio sentiero, con i propri spazi aperti, le proprie boscaglie, le proprie fiere e le proprie sorgenti.
I due camminano e sperimentano lungo i loro personali sentieri e ritornano al campo base, il loro patto prevede il ritorno alla tenda.
La vita comune, se è sana, sviluppa l’autonomia, la capacità di esporsi e di osare dei suoi membri: l’una invita l’altro, e viceversa, a non sedersi, a non appiattirsi, ad andare incontro alle situazioni che nell’intimo vengono avvertite come importanti.
I due coltivano gli interessi comuni quanto quelli personali, sanno camminare insieme come allontanarsi per le loro, personali, esperienze.
L’allontanamento dal campo base all’inizio produce il dolore della separazione, ma questo è necessario e vitale: l’equilibrio non è una linea continua, è una sinusoide fatta di vicinanza e lontananza, di un venire e di un andare, di un esserci e di un mancare.
Se l’altro c’è sempre come può crescere la propria capacità di affrontare i mille volti del reale? Se viene meno la stampella, si cade?
L’altro non può, non deve esserci sempre: deve avere la sua vita, il suo sentiero e deve, a volte, mancarci affinché noi lo si possa scoprire nella funzione che svolge al nostro fianco; un rapporto è composto di due vite che si incontrano, non è un’entità fusionale.
Nell’intimità del campo base i due sedimentano ed elaborano i vissuti personali, si confermano e confortano a vicenda, lasciano emergere gli angoli più scuri del loro essere e iniziano a lavorarli.
La vita di una persona è una e non si può frammentare tra il dentro e il fuori la coppia, tra casa e lavoro, tra partner e amici: la vita è una perchè tutte le esperienze trasformano il sentire che è la matrice di tutti i fatti vissuti; è questa trasformazione continua che costituisce la persona, le sue relazioni, le sue sfide, il suo esserci.
La persona sperimenta dentro e fuori la coppia, a volte in modi che sembrano contraddittori e, a seconda degli ambienti in cui è collocata, affronta aspetti diversi di sé e del proprio non compreso.

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La coppia 4: la routine del quotidiano

La grande piallatrice. La convivenza dopo settimane o mesi conduce inevitabilmente all’esperienza della routine.
Per alcuni questa è rassicurante, per altri, i più, deprimente.
La mente/identità, per sua natura, ha bisogno di stimoli: la routine rende ogni aspetto del quotidiano uguale a se stesso.
L’altro che ci vive a fianco inizia a non essere visto più come colui o colei su cui è incernierato il nostro progetto d’esistenza, inizia ad apparire sbiadito nei suoi contorni, parte integrata nell’ambiente domestico incapace di produrre stimoli tali da porlo in rilievo.
Le sue manifestazioni ci appaiono come già note e mentre affiorano le etichettiamo come conosciute, ripetute, insistite, disturbanti.
Un caffè la prima volta è un’esperienza, alla trecentesima un fatto ovvio e non degno di nota; il sesso diventa una pappa riscaldata; la sclerata, una delle tante.
Ogni aspetto del quotidiano si appiattisce e si svuota di senso: noi, l’altro, gli accadimenti tutto sbiadisce e si appiattisce nel mare calmo della non rilevanza.
La routine è una delle più grandi sfide nella vita della coppia e, non di rado, porta a smarrire la consapevolezza delle ragioni stesse dello stare assieme.
In sé, come esperienza, appartiene alla fisiologia dell’identità e viene sperimentata in ogni ambito della vita, non solo nella coppia.
Da dove tre origine? Dal giudizio della mente sui fatti. Ogni fatto del quotidiano è etichettato, parametrato, archiviato: quando quel fatto si ripresenta nelle sue caratteristiche salienti non viene visto e vissuto in sé, ma viene richiamata dall’archivio la sua esperienza e la mente dice: “Lo conosco, già vissuto, non può produrre niente di rilevante!”
Quel giudizio toglie valore all’accadere, lo rende simile a tutti gli altri e crea il film sbiadito della routine.
E’ necessario vedere l’etichetta che la mente appone sui fatti e non abilitare oltre l’operazione; è necessario divenire consapevoli che la vita è fatta di piccoli fatti e se, ad uno ad uno, questi non vengono vissuti, la vita stessa non viene vissuta.
La routine ci svela uno dei meccanismi di fondo dell’identità, il suo proiettarsi nel passato o nel futuro alla ricerca di fattori eccitanti e significanti, rifuggendo dall’accadere del presente che, a priori, viene etichettato come non rilevante, tranne alcune eccezioni.
Questo conduce ad una inquietudine di fondo, alla frustrazione ed alla alienazione dalla propria vita: inizia l’inquieta ricerca dell’eccitante che porterà, il più delle volte, a farsi male.
Se la persona non comprende che la vita accade ora e mai più; che quel fatto è il primo e l’ultimo, l’unico che valga la pena di vivere; che la realtà non è quella contenuta nella mente ma quella che accade e che sollecita i sensi, l’emozione, il pensiero, il sentire proprio adesso: se questo non viene compreso la vita della coppia si immiserisce perchè la vita del singolo diviene vuota, viene da se stesso svuotata.
Non ci sono tecniche ed esercizietti, è necessario aprirsi su un dato evidente quanto banale: la mente con le sue aspettative e le sue pretese vela l’accadere della vita e la rende invisibile al nostro esperire.
Se siamo capaci di vedere il racconto della mente e da esso disconnettiamo l’attenzione, subito affiorerà ciò che è sempre stato lì: l’essere delle cose, dei fatti; il senso che essi portano, la bellezza intrinseca a ciascuno di essi, la pienezza del semplice gesto del respirare.

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La coppia 3: il progetto

Non riesco ad immaginare una coppia senza un progetto, una direttrice d’esistenza comune.
Se la coppia è l’officina in cui i due operai conoscono e lavorano il proprio limite accogliendolo, integrandolo, trascendendolo, è anche il campo base dal quale i due partono per la ricerca che sempre conduce al mondo e da esso si fa fecondare.
Se la coppia è autoreferenziale diventa asfittica; se non si nutre di cultura, di arte, di politica, di spirituale costruisce giorno dopo giorno le sbarre della propria prigione.
La coppia è il luogo della scoperta dell’altro da sé, chiunque questo altro sia: se essa non nutre questo interesse per l’altro, se di esso non sa occuparsi e con esso coinvolgersi, se si illude di essere autosufficiente, è già morta.
Il progetto comune, qualunque esso sia, nasce dalla consapevolezza che i due non si bastano: che dal campo base si parte e si ritorna e se non c’è una forte interazione con l’altro da sé, con il mondo, i viveri presto finiscono e l’acqua pure.
Il progetto è un “essere protesi”, il coltivare uno slancio, l’allevare in sé e nell’organismo costituito dai due il seme della generosità.
Una coppia senza un progetto è come un paese privo della capacità di immaginarsi diverso da quel che è: i suoi componenti/cittadini se ne andranno.
I due non stanno insieme per il sesso, per il lavoro, per pagare il mutuo, per andare a cena con gli amici, questo non basta: stanno e rimangono assieme se hanno un collante esistenziale, se sanno reciprocamente intessersi d’esistenza.
Non ci si intesse da soli, né come individui, né come coppia: chi abita di fronte a me, chi sopra? Come se la passa il mio collega d’ufficio? Perchè il giornalaio stamattina aveva gli occhi lucidi?
Una coppia di persone è come una coppia di polmoni: aspirano assieme l’aria del mondo e così facendo nutrono la linfa del loro procedere ciascuno conoscendo e trasformando innanzitutto sé.

L’immagine è tratta da: http://www.centroreferenzapet-therapy.it/centro/progetti


La coppia 2: conoscersi

Fino a quando i due non condividono il quotidiano non inizia il processo del conoscersi.
La prima fase del rapporto è condizionata dalla fenomenologia dell’innamoramento dove il racconto della mente, delle emozioni e delle sensazioni condizionano in modo prevalente l’esperienza.
La condivisione del quotidiano scardina il racconto della mente e apre sulla possibilità di accedere ad elementi di realtà.
Noi ci sveliamo, l’altro si svela: cos’è lo svelamento?
L’apparire del limite, e della consapevolezza di esso, nelle sue mille declinazioni.
Che cosa mostra il limite? Il cammino esistenziale nostro e dell’altro, il non compreso su cui siamo impegnati, la sfida esistenziale che diventa pungolo quotidiano.
Il processo del conoscersi è il divenire lucidamente consapevoli di dove stiamo andando singolarmente e come coppia sul piano esistenziale:
– il limite personale mostra la direttrice della ricerca;
– il talento, gli aspetti del vivere che ci risultano facili mostrano il patrimonio di partenza, sottendono il già compreso, l’ambito in cui non dovremo faticare;
– le dinamiche del rapporto tra i due svelano non solo i compiti personali ma l’ecologia più generale della coppia: il rapporto ha un valore in sé e va protetto e custodito imparando a preservarne gli equilibri.
Conoscersi è innanzitutto imparare a rispettarsi.
Il limite dell’altro mi pesa, il giudizio mi oscura lo sguardo, l’insofferenza mi scuote, poi mi ricordo: “Come sono io agli occhi dell’altro?”
Questo si ripete cento volte al giorno, pian piano i due imparano a non levare le armi affilate del giudizio, a piegare la testa nelle situazioni, a tacere.
I primi passi del rispetto.
Conoscersi è infine aprirsi al mistero: in una vita vissuta assieme ciò che dell’altro avremo conosciuto sarà soltanto un piccolo aspetto della sua superficie: ciò che invece, attraverso l’altro, avremo conosciuto di noi sarà il dono più grande che avremmo potuto ricevere.

L’immagine è tratta da: http://marescomartini.blogspot.it/2013/04/passeggiate-coop.html