Già la coscienza umana – che pure è relativa – è unitaria. Ogni momento del sentire che origina gli esseri, è presente nella coscienza assoluta identicamente a come gli esseri lo sentono. Non potrebbe essere diversamente da così, dato che il sentire che origina gli esseri è lo stesso sentire contenuto nella coscienza assoluta.
Non è uno identico, è lo stesso.
Se tale sentire non esistesse nella coscienza assoluta non esisterebbero né gli esseri, né la coscienza assoluta.
Conoscenza di sé
Il fondamento di ogni passo: tutto ci svela, ci narra di noi e ci chiede una resa.
L’esperienza diretta, la narrazione, l’autorevolezza
In quest’epoca distorta la nostra percezione del reale dipende dalla narrazione altrui, non dall’esperienza diretta.
Perché? Perché abbiamo un deficit di esperienza e perché non avendo piena consapevolezza dei processi non siamo in grado di decodificarli.
1- il deficit di esperienza diretta: se abbiamo un orto e poca acqua per annaffiarlo, comprendiamo subito il problema della siccità.
Se viviamo in campagna, tocchiamo con mano il cambiamento climatico, non abbiamo bisogno che qualcuno ce lo racconti, lo patiamo sulla vostra pelle.
Sul recitare, sul fare, sullo stare e sulla propria irrilevanza
Scrive un fratello nel cammino: Il bisogno di recitare un ruolo si sta affievolendo giorno dopo giorno, non perché ora sia più sicuro o spavaldo rispetto a prima; avverto piuttosto una maggiore consapevolezza e sto imparando a non essere troppo identificato nei fatti che arrivano. Ora mi basta lavorare giorno dopo giorno sulle piccole cose, accettando di cadere quando sbaglio, per poi rialzarmi e provare a fare meglio di prima.
Recitare: stanchi della parte, della veste di attore, del ridurre l’altro a spettatore di dinamiche nostre infine proviamo a lasciar andare.
Ci arriviamo per stanchezza, per nausea, per disagio esistenziale non più sostenibile, per conflitto che avvertiamo debba essere affrontato.
Il confine tra sé e l’altro: fusione ed egoismo
Dice Natascia commentando il post Amare non è una esperienza fondata sul sentimento: Mi rendo conto che faccio fatica a comprendere fino in fondo qual’è il senso vero dell’amore ed è un tema su cui rifletto proprio in questi giorni. Per me si declina in compassione, accoglienza, mancanza di giudizio, ma è sempre così? E se questa mia modalità per alcune tipologie di persone può risultare non utile, se non addirittura dannosa? Non è nuovo questo tema per me, devo approfondirlo e capire perché la vita mi fa incontrare spesso con persone che mettono in crisi il mio modo di pormi in relazione.
La sfiducia nella possibilità di cambiare la propria realtà
Dice Maria B. commentando il post I piccoli fatti e il nostro modo di viverli: Mi rendo conto di vivere una specie di saturazione del fare, con un senso quasi fisico di nausea. La mente s’infrange nei tanti, troppi compiti di cui è spesso artefice. Ciò che resta è solo un grande desiderio di abbandono e leggerezza. Eppure se io arrivo a varcare il mio limite, a tirare troppo la corda, è per sfiducia che la vita provvederà comunque? In altre parole se io sono esausta e non mi concedo al fare, devo sperare che qualcuno preparerà la cena?
Si Maria, “se io arrivo a varcare il mio limite, a tirare troppo la corda, è per sfiducia che la vita provvederà comunque?“, è per sfiducia.
Accompagnare i figli nella conoscenza di sé
Commentando il post Rimanere, senza fine, in ascolto del sentire, Paolo chiede come possiamo aiutare i nostri figli nella conoscenza di sé.
Direi che possiamo senz’altro aiutarli attraverso:
– la testimonianza del nostro cammino esistenziale;
– i codici/simboli del nostro linguaggio;
– l’offerta del nostro paradigma.
Vivendo testimoniamo il compreso e il non compreso: i figli sono immersi nell’ambiente vibratorio che sta tra i due estremi della comprensione, essi respirano il compreso come i nostri conflitti, ciò che possiamo offrire loro è la nostra consapevolezza sui nostri processi, sul nostro procedere ed, ovviamente, anche sul loro.
Attraversare consapevoli il deserto interiore
Rispondo qui ad una amica e sorella nel cammino: sono temi di una discussione privata ma così universali che ciò che dirò a lei è bene che sia ascoltato anche da altri.
“Mi sono accorta di non riuscire ad immergermi nella lettura. I concetti che prima mi riempivano, condividevo e in cui mi ritrovavo, adesso restano in superficie, non scendono in profondità.”
Viene in momento in cui non si tratta più di indagare e studiare, ma di vivere, di dedicare le risorse interiori all’esperienza che, attimo dopo attimo, viene.
È come se la mente non recepisse più i contenuti, un logoramento glielo impedisce.
Inutile e controproducente insistere: la soluzione è assecondare, alleggerire la mente e semmai coinvolgerla in letture leggere, dedicarsi alle piccole incombenze quotidiane, coltivare lo stare senza appesantirlo dei suoi significati, delle interpretazioni possibili e dei simbolismi verosimili: stare e basta.
La conoscenza di sé, la contemplazione, la fiducia
Il nostro cammino appoggia sulla conoscenza di sé, ma non si esaurisce in essa.
Non basta leggere la propria vita in un’ottica esistenziale.
Non basta nemmeno cambiare lo sguardo sulla realtà e l’interpretazione di essa: tutto questo è propedeutico e prepara la disposizione contemplativa che può sorgere nella persona, insediarsi nel suo intimo e plasmarne le profondità dischiudendogli la comprensione di una vita radicalmente altra.
Se la conoscenza di sé non genera l’esperienza contemplativa, allora non parliamo di questo cammino, ma di altro.