Tra sentire e condizionamento

Dice Antonella: “La vera obbedienza non è verso gli altri ma verso la propria coscienza”.
Questa frase mi fa pensare: obbedisco sempre alla mia coscienza o a volte, rimanendo succube dell’identificazione, finisco per obbedire all’altro?
E’ poi quel senso di insoddisfazione che mi fa capire di aver obbedito all’altro..
Cosa è bene per me? In questa situazione, mentre l’altro dice e si manifesta in un certo modo, io mi ascolto?
Oppure opera in me quell’automatismo che mi porta ad essere stretto nella morsa accettazione/rifiuto, adeguatezza/inadeguatezza?
Sono consapevole di essere stretto in quella morsa? Perché se sono nella morsa e non sono consapevole di esservi, non posso disconnettere il condizionamento e se non lo disconnetto non può sorgere alcun ascolto.

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Il lungo cammino incontro a sé

Ogni volte che c’è un gruppo, ho l’occasione di vedere lo stato dell’arte dei processi di comprensione che avvengono nelle persone.
Ogni volta che qualcuno viene, oppure va, si dischiudono orizzonti, resistenze, chiusure, disponibilità.
Il cammino incontro a sé è lungo e il neofita, se non è dotato di un buon grado di umiltà, di questo non si rende conto e si racconta cose che non hanno fondamento.
Il cammino è lungo anche per la persona che lo percorre da tempo e, per questa, il dono dell’umiltà è ancora più necessario.
1- Cambiare il paradigma in uso e attraverso il quale si interpreta la realtà personale e quella sociale, richiede tempo, studio, esercizio, frequentazione di persone che il nuovo paradigma usano ferialmente.

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Oltre identità/coscienza

Chiede Marco: “Mi sembra che quello che dici nel post ‘Fin quando tutto parla di noi?’ abbia a che fare con il tema dell’ultimo Essenziale, che era, come tu stesso hai detto, uno stimolo ad andare ancora più in profondità.
Il riconoscere ciò che si presenta come qualcosa che parla di noi è già un passo avanti rispetto al lamentarsi e all’attribuire agli altri le nostre reazioni, ma evidentemente non ci si può fermare lì.
Finché siamo noi il punto di arrivo di tutto, l’ego comunque trova pane per i suoi denti.
All’Essenziale ci hai fatto notare come facilmente l’ego possa nascondersi anche dietro i gesti, almeno apparentemente, più altruistici.
Il protagonismo, l’essere comunque al centro di una realtà sentita come propria è sempre dietro l’angolo.

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Identificazione e gioco

Chiede Gianluca: “Entro quali limiti l’indagine speculativa e il confronto dialettico agevolano un reale processo di disidentificazione dall’ego?
E’ forse opportuno che la comunicazione verbale sia anch’essa contenuta all’essenziale, affinché sia percepita come un mero accessorio (strumentale e conseguente) alla pratica meditativa?”
E’ un problema di misura: puoi parlare e filosofare, puoi emozionarti e provare sensazioni di vario genere; puoi agire e operare e tutto questo può essere pervaso di essere, con un tasso di identificazione al minimo, con un’alta consapevolezza che mai ti abbandona.
Il problema centrale è quello dell’identificazione: molte parole manifestano molto desiderio di comunicare e molta partecipazione, ma significano anche molta identificazione? Non necessariamente.

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Il limite nostro che libera l’altro

Viviamo i rapporti e le persone come fossero cosa nostra. Interpretiamo il nostro e l’altrui limite come un ostacolo, un accidente che si insinua e compromette i rapporti.
Se le persone e i rapporti non sono nostri, ma occasioni di esperienza, consapevolezza, comprensione che la vita ci mette a disposizione, allora il limite che noi e l’altro portiamo non è un accidente, ma una possibilità.
Per che cosa?
Per generare chiarezza, per facilitare il discernimento: sono qui davanti a te e non ti porto una maschera e non recito pantomime, ti porto il compreso e il non compreso nell’immediatezza e nella semplicità di cui sono capace.

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Il mito della natura incondizionata

Un amica ci invia questo link relativo alla formazione dei nostri figli e all’educazione in genere.
Le tesi sostenute, comuni a tanto pensiero libertario, a mio parere non rispondono a molte domande.
Esiste una natura incondizionata dell’essere umano? Quella che determinate correnti spirituali chiamano il Sè corrisponde certamente a quella natura, ma l’umano, nel suo cammino incarnativo, con quali dimensioni ha a che fare?
Quale struttura antropologica ne governa la manifestazione?
Noi diciamo, seguendo l’insegnamento del Cerchio Firenze 77 e del Cerchio Ifior, che l’incarnazione umana è momento funzionale alla edificazione del corpo della coscienza: una coscienza genera una sequenza di molte decine di rappresentazioni/vite attraverso le quali acquisisce i dati/comprensioni e gli atomi di sentire che ne vanno a costituire il corpo.

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Depressione e passaggi esistenziali

Dice Marco in riferimento al post di ieri sull’accidia: Non avevo mai pensato all’accidia come lutto della mente. Da sempre vivo momenti di svuotamento di senso ma faccio fatica a metterli in relazione con i processi di disidentificazione profondi di cui parli, dato che erano presenti prima che conoscessi la disconnessione e la disidentifcazione. Parliamo forse di due cose diverse?
La perdita di senso, il venire meno dell’interesse a vivere, l’appassire di quella forza propulsiva che sorge dall’identificazione con i processi ed il quotidiano, tutta quella fenomenologia che comunemente è definita condizione depressiva, o semplicemente depressione, di cosa parlano?
Gli stati della psiche e del corpo sono l’ultima manifestazione di un conflitto più interno che non trova soluzione; in gioco c’è, normalmente, il rapporto con noi stessi, con gli altri, con il lavoro: lì dovrebbe succedere qualcosa, dovrebbe cambiare un atteggiamento, un orientamento, una disposizione, una intenzione e invece non cambia.

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Nulla ci è avverso

Quando la radice della paura è conosciuta e debellata si scopre che nella vita nulla ci è avverso.
La più grande delle paure? Quella di conoscere il proprio limite, di vederlo impietoso davanti a sé, immagine spaventosa di sé.
L’attitudine alla conoscenza e alla consapevolezza svela progressivamente il nostro essere e, in quella progressione, possiamo reggere lo sguardo su quello che siamo.
Se reggiamo lo sguardo su noi stessi, lo possiamo reggere anche sugli altri perché essi non sono peggiori di noi.
Avete dei dubbi dal momento che non vi sembra di aver mai stuprato, mai ucciso, mai violato la dignità altrui?

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Non difendere e fiducia

Dice Natascia: L’accettazione dei propri limiti, il non voler difendere la propria immagine porta ad una grande libertà. A volte sento che non c’è più neanche un immagine da difendere. Questo però non di rado mi fa sentire disorientata, confusa. Sarà che quell’accettazione non è senza riserve!

Non rimanere abbarbicati alla palizzata del fortino.
Non sapere nemmeno se c’è più un fortino da difendere da qualcuno là fuori, unito alla consapevolezza che tutta la visione del reale è soggettiva, che il film di ciascuno è personale conduce semplicemente all’esperienza del non difendere.
Cos’è il non difendere?
Avere la chiara cognizione che non esiste il nemico, né il pericolo, ma solo la possibilità.
Vedere l’altro come colui che svela le nostre paure e ci permette di affrontare il non compreso.
Essere consapevoli di una direzione esistenziale fondata sulla disponibilità ad affrontare la vita e a farsi modellare da essa.

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Il tasso di dolore nella via spirituale

Chiede Maya: Spesso osservando le persone che non si fanno troppe domande e che sembrano molto inconsapevoli mi sembra che facciano una vita più serena e meno dolorosa della mia. Vanno al lavoro e fanno quello che devono fare e basta. Magari si lamentano, ma sembra un lamento così tanto per fare due chiacchiere. Perché chi cerca invece soffre così tanto? O è il contrario, chi soffre è “costretto” a cercare?

Non sappiamo mai cosa c’è nell’intimo del nostro prossimo, sappiamo invece che nella cosiddetta normalità i rapporti avvengono all’ombra di maschere più o meno velanti.
In ogni persona avvengono processi di conoscenza-consapevolezza-comprensione.
Alcune incarnazioni sono caratterizzate da una maggiore intensità, in genere una incarnazione intensa si alterna ad una meno intensa.
Allo stesso modo ci sono stagioni, in una vita, in cui la macerazione è maggiore: una persona attorno ai 40 anni è certamente immersa in un passaggio esistenziale rilevante.

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