Dice un’amica in merito al post Coltiviamo l’illusione senza sosta: Se quando abbiamo fame mangiamo e quando fa caldo ci sventoliamo, anche quando c’è il languore sensuale facciamo sesso. Cosa c’è di diverso?
C’è di diverso che non sempre, non per tutta la durata del cicli incarnativi di una coscienza, facciamo lo stesso uso delle energie: a volte è preponderante un piano, a volte un altro.
Abbiamo incarnazioni con preponderanza sensoriale, altre con preminenza emotiva, altre ancora con dominanza concettuale.
Conoscenza di sé
Il fondamento di ogni passo: tutto ci svela, ci narra di noi e ci chiede una resa.
L’illusione di una mente intossicata
Dice Luciana nel commento al post Sentire, mente, emozioni: “Se la mente non è più prevalente”, ma quando ti rendi conto che è lei che fa la parte del leone e ti porta dove vuole, e nonostante la ricerca della sensazione fisica, del riportare l’attenzione sul corpo, riesce sempre a farla franca? Perseverare, certo, ma mi viene il dubbio che io non stia agendo nel giusto modo…
Quando la mente non si ferma e continua a cercare, a proiettarsi, a coltivare desiderio, a generare scene e possibilità più o meno reali, significa che non si è ancora ben compresa l’illusorietà del suo operare e ad essa si rimane ancora aderenti.
Tra sentire e condizionamento
Dice Antonella: “La vera obbedienza non è verso gli altri ma verso la propria coscienza”.
Questa frase mi fa pensare: obbedisco sempre alla mia coscienza o a volte, rimanendo succube dell’identificazione, finisco per obbedire all’altro?
E’ poi quel senso di insoddisfazione che mi fa capire di aver obbedito all’altro..
Cosa è bene per me? In questa situazione, mentre l’altro dice e si manifesta in un certo modo, io mi ascolto?
Oppure opera in me quell’automatismo che mi porta ad essere stretto nella morsa accettazione/rifiuto, adeguatezza/inadeguatezza?
Sono consapevole di essere stretto in quella morsa? Perché se sono nella morsa e non sono consapevole di esservi, non posso disconnettere il condizionamento e se non lo disconnetto non può sorgere alcun ascolto.
Il lungo cammino incontro a sé
Ogni volte che c’è un gruppo, ho l’occasione di vedere lo stato dell’arte dei processi di comprensione che avvengono nelle persone.
Ogni volta che qualcuno viene, oppure va, si dischiudono orizzonti, resistenze, chiusure, disponibilità.
Il cammino incontro a sé è lungo e il neofita, se non è dotato di un buon grado di umiltà, di questo non si rende conto e si racconta cose che non hanno fondamento.
Il cammino è lungo anche per la persona che lo percorre da tempo e, per questa, il dono dell’umiltà è ancora più necessario.
1- Cambiare il paradigma in uso e attraverso il quale si interpreta la realtà personale e quella sociale, richiede tempo, studio, esercizio, frequentazione di persone che il nuovo paradigma usano ferialmente.
Oltre identità/coscienza
Chiede Marco: “Mi sembra che quello che dici nel post ‘Fin quando tutto parla di noi?’ abbia a che fare con il tema dell’ultimo Essenziale, che era, come tu stesso hai detto, uno stimolo ad andare ancora più in profondità.
Il riconoscere ciò che si presenta come qualcosa che parla di noi è già un passo avanti rispetto al lamentarsi e all’attribuire agli altri le nostre reazioni, ma evidentemente non ci si può fermare lì.
Finché siamo noi il punto di arrivo di tutto, l’ego comunque trova pane per i suoi denti.
All’Essenziale ci hai fatto notare come facilmente l’ego possa nascondersi anche dietro i gesti, almeno apparentemente, più altruistici.
Il protagonismo, l’essere comunque al centro di una realtà sentita come propria è sempre dietro l’angolo.
Identificazione e gioco
Chiede Gianluca: “Entro quali limiti l’indagine speculativa e il confronto dialettico agevolano un reale processo di disidentificazione dall’ego?
E’ forse opportuno che la comunicazione verbale sia anch’essa contenuta all’essenziale, affinché sia percepita come un mero accessorio (strumentale e conseguente) alla pratica meditativa?”
E’ un problema di misura: puoi parlare e filosofare, puoi emozionarti e provare sensazioni di vario genere; puoi agire e operare e tutto questo può essere pervaso di essere, con un tasso di identificazione al minimo, con un’alta consapevolezza che mai ti abbandona.
Il problema centrale è quello dell’identificazione: molte parole manifestano molto desiderio di comunicare e molta partecipazione, ma significano anche molta identificazione? Non necessariamente.
Il limite nostro che libera l’altro
Viviamo i rapporti e le persone come fossero cosa nostra. Interpretiamo il nostro e l’altrui limite come un ostacolo, un accidente che si insinua e compromette i rapporti.
Se le persone e i rapporti non sono nostri, ma occasioni di esperienza, consapevolezza, comprensione che la vita ci mette a disposizione, allora il limite che noi e l’altro portiamo non è un accidente, ma una possibilità.
Per che cosa?
Per generare chiarezza, per facilitare il discernimento: sono qui davanti a te e non ti porto una maschera e non recito pantomime, ti porto il compreso e il non compreso nell’immediatezza e nella semplicità di cui sono capace.
Il mito della natura incondizionata
Un amica ci invia questo link relativo alla formazione dei nostri figli e all’educazione in genere.
Le tesi sostenute, comuni a tanto pensiero libertario, a mio parere non rispondono a molte domande.
Esiste una natura incondizionata dell’essere umano? Quella che determinate correnti spirituali chiamano il Sè corrisponde certamente a quella natura, ma l’umano, nel suo cammino incarnativo, con quali dimensioni ha a che fare?
Quale struttura antropologica ne governa la manifestazione?
Noi diciamo, seguendo l’insegnamento del Cerchio Firenze 77 e del Cerchio Ifior, che l’incarnazione umana è momento funzionale alla edificazione del corpo della coscienza: una coscienza genera una sequenza di molte decine di rappresentazioni/vite attraverso le quali acquisisce i dati/comprensioni e gli atomi di sentire che ne vanno a costituire il corpo.