Depressione e passaggi esistenziali

Dice Marco in riferimento al post di ieri sull’accidia: Non avevo mai pensato all’accidia come lutto della mente. Da sempre vivo momenti di svuotamento di senso ma faccio fatica a metterli in relazione con i processi di disidentificazione profondi di cui parli, dato che erano presenti prima che conoscessi la disconnessione e la disidentifcazione. Parliamo forse di due cose diverse?
La perdita di senso, il venire meno dell’interesse a vivere, l’appassire di quella forza propulsiva che sorge dall’identificazione con i processi ed il quotidiano, tutta quella fenomenologia che comunemente è definita condizione depressiva, o semplicemente depressione, di cosa parlano?
Gli stati della psiche e del corpo sono l’ultima manifestazione di un conflitto più interno che non trova soluzione; in gioco c’è, normalmente, il rapporto con noi stessi, con gli altri, con il lavoro: lì dovrebbe succedere qualcosa, dovrebbe cambiare un atteggiamento, un orientamento, una disposizione, una intenzione e invece non cambia.

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Nulla ci è avverso

Quando la radice della paura è conosciuta e debellata si scopre che nella vita nulla ci è avverso.
La più grande delle paure? Quella di conoscere il proprio limite, di vederlo impietoso davanti a sé, immagine spaventosa di sé.
L’attitudine alla conoscenza e alla consapevolezza svela progressivamente il nostro essere e, in quella progressione, possiamo reggere lo sguardo su quello che siamo.
Se reggiamo lo sguardo su noi stessi, lo possiamo reggere anche sugli altri perché essi non sono peggiori di noi.
Avete dei dubbi dal momento che non vi sembra di aver mai stuprato, mai ucciso, mai violato la dignità altrui?

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Non difendere e fiducia

Dice Natascia: L’accettazione dei propri limiti, il non voler difendere la propria immagine porta ad una grande libertà. A volte sento che non c’è più neanche un immagine da difendere. Questo però non di rado mi fa sentire disorientata, confusa. Sarà che quell’accettazione non è senza riserve!

Non rimanere abbarbicati alla palizzata del fortino.
Non sapere nemmeno se c’è più un fortino da difendere da qualcuno là fuori, unito alla consapevolezza che tutta la visione del reale è soggettiva, che il film di ciascuno è personale conduce semplicemente all’esperienza del non difendere.
Cos’è il non difendere?
Avere la chiara cognizione che non esiste il nemico, né il pericolo, ma solo la possibilità.
Vedere l’altro come colui che svela le nostre paure e ci permette di affrontare il non compreso.
Essere consapevoli di una direzione esistenziale fondata sulla disponibilità ad affrontare la vita e a farsi modellare da essa.

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Il tasso di dolore nella via spirituale

Chiede Maya: Spesso osservando le persone che non si fanno troppe domande e che sembrano molto inconsapevoli mi sembra che facciano una vita più serena e meno dolorosa della mia. Vanno al lavoro e fanno quello che devono fare e basta. Magari si lamentano, ma sembra un lamento così tanto per fare due chiacchiere. Perché chi cerca invece soffre così tanto? O è il contrario, chi soffre è “costretto” a cercare?

Non sappiamo mai cosa c’è nell’intimo del nostro prossimo, sappiamo invece che nella cosiddetta normalità i rapporti avvengono all’ombra di maschere più o meno velanti.
In ogni persona avvengono processi di conoscenza-consapevolezza-comprensione.
Alcune incarnazioni sono caratterizzate da una maggiore intensità, in genere una incarnazione intensa si alterna ad una meno intensa.
Allo stesso modo ci sono stagioni, in una vita, in cui la macerazione è maggiore: una persona attorno ai 40 anni è certamente immersa in un passaggio esistenziale rilevante.

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Verso la libertà interiore

Le domande di Maya (a partire dalla lettura del libro L’essenziale).

Se non c’è l’agente, non c’è la realtà?

Chi è l’agente? La coscienza? L’identità?
Se non c’è identità – il soggetto che si attribuisce l’accadere – c’è solo l’accadere senza attribuzione, pura neutralità (così come è possibile all’umano). E’ la vita che vive l’iniziato/a, colui/ei che è giunto alla fine del proprio cammino incarnativo. La realtà è presente e si manifesta con le logiche del divenire, ma non c’è un soggetto che dice: “Questo è mio!”
Va notato che finché c’è vita incarnata c’è sempre un tasso di identità, magari molto ridotto, per la ragione molto semplice che essendoci i veicoli mentale, astrale e fisico, comunque questi generano un’immagine di sé. Che l’iniziato/illuminato non abbia alcun grado di identità, è pura illusione e appartiene alla mitologia dello spirituale.

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Il seme della vita nella malattia

Ho incontrato ieri una persona, un poco più giovane di me, con una malattia oncologica e un passaggio esistenziale delicato.
La posta in gioco per quella persona è il poter considerare lo stato di malattia nel quale si trova, come la chance più importante che la vita poteva offrirle.
Indipendentemente da quanti fogli il suo calendario le riservi, una manifestazione oncologica rappresenta un avviso ultimativo:

C’è qualcosa che non va nel sistema, puoi limitarti a considerarti vittima del male o puoi coglierne il valore simbolico, la portata esistenziale e interrogarti su cosa nella tua vita non va, e non va da tempo. Questa interrogazione, e la possibile conseguente revisione di vita, non ti garantiscono né la guarigione, né la sopravvivenza ma di certo daranno ai tuoi giorni un altro senso e un’altra completezza.

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Non fermarsi al conosciuto, al rassicurante

Non ho corso in questa vita il rischio del rimanere seduto, dell’aspettare, dell’omologarmi.
Il rito sociale, consolatorio e rassicurante, dell’intruppamento non mi ha contagiato. Non ho fatto niente per essere contro a priori, ma il consentire al punto di vista generale non mi ha mai attratto. Perché?

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L’inaspettato, la tensione, l’osare

Il vivere ha sempre un grado di imprevedibilità, non c’è giorno che non porti scene inaspettate, impreviste, fuori dalla possibilità del nostro controllo.
L’impossibilità di controllo e l’essere in balia del non previsto, sempre generano una tensione interiore di vario grado.
Non sappiamo se saremo in grado di affrontare la situazione e, molto spesso, un senso sottile e profondo di inadeguatezza mai risolto definitivamente, riaffiora.

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