Mi scrive un amico in merito al senso di lacerazione che a volte lo assale. Qualunque ne sia la causa, che può essere interna alla sfera identitaria, o può generarsi dal conflitto tra identità e coscienza o, verosimilmente, può essere relativa ad entrambe le sfere, la via per superare quella lacerazione è una:
– comprendere le non comprensioni che la generano, e queste sono sempre relative alla sfera del sentire di coscienza e riverberano nei comportamenti e negli atteggiamenti interiori che l’identità sviluppa;
– essere pienamente consapevoli che la riunificazione avviene nel lasciarsi attraversare dal fatto presente.
Consapevolezza
Lo sguardo lucido e presente sul reale che accade attimo dopo attimo.
Le basi della stabilità interiore
Un genitore fornisce ai figli la piattaforma affettiva, educativa, spirituale, sociale ed economica su cui appoggiare durante tutto il periodo dei loro ripetuti tentativi di costruirsi una manifestazione credibile e sostenibile – ai loro e agli altrui occhi – nel mondo.
Lo stesso dovrebbe fare un insegnante con i suoi allievi: essere colui che crea l’ambiente formativo adeguato affinché ciascuno possa esprimere la ricchezza interiore di cui è portatore, colmando, nel contempo, quei limiti che più possono ostacolarlo nel processo di manifestazione e di realizzazione della propria autonomia di individuo.
Dare per scontato il presente
Dare per scontato la presenza dell’altro, la situazione di un figlio, l’acquisizione di un diritto, il contenuto di una lettura, il significato di un’espressione.
Il velo della routine copre lo sguardo e la realtà ci sembra conosciuta, l’attenzione diminuisce, la presunzione di sapere e di conoscere ci inorgoglisce.
È allora che perdiamo il contatto con la realtà, se mai lo abbiamo avuto, nella routine del conosciuto, in quella processione di atteggiamenti interiori che danno per scontato ciò che bussa nel presente.
Ancora su gratuità e responsabilità
In merito al post Gratuità e responsabilità, ho risposto alle questioni poste da Marco nella sezione del sito dedicata alle domande e alle risposte.
Caterina, operare il bene, la gratuità non è mai conseguenza di un’intenzione perfetta: sgomberiamo il campo dalla perfezione, l’umano opera sempre sulla base di spinte complesse e finché c’è incarnazione, c’è un tasso di egoità.
Con il termine egoità non intendo egoismo, ma l’esperienza, ad esempio, del proprio esserci come individuo nel momento in cui la propria esistenza è minacciata.
Il necessario, ogni giorno
Qui, nel Sentiero, affermiamo che ciascuno ha ogni giorno il necessario a sé.
Questa affermazione, considerata alla luce del paradigma ordinario, è una palese idiozia.
Vista alla luce del paradigma che noi usiamo, ha un senso preciso: il povero ha la povertà a lui necessaria; il volontario, il benefattore, il donatore hanno la situazione ugualmente a loro necessaria.
Il povero si confronta con la povertà per ragioni appartenenti al suo cammino evolutivo, alla trasformazione del suo sentire, al processo di conoscenza – consapevolezza – comprensione.
La via della fiducia
Passiamo vite nella morsa che ci stringe tra controllo e preoccupazione.
Cerchiamo di controllare e preordinare il flusso degli eventi; ci preoccupiamo della nostra salute, dei nostri figli, dei nostri partner.
Nelle nostre vite c’è un deficit di fiducia e un eccesso di pretesa: coltivare la fiducia significa riporre la pretesa.
Forse qualche mente adesso pensa che io voglia sostenere l’abbandono al fatalismo, al destino, alla volontà di Dio convenzionalmente e popolarmente intesa.
Esiste una volontà generale di Dio che si esercita nell’uomo, e questo non può essere altrimenti essendo l’umano espressione del sentire divino, ma non esiste il Dio altro da sé che crea e determina i dettagli del nostro quotidiano.
Credere che vivere sia “fare”
Fino ad un certo punto del suo cammino esistenziale, l’umano ha bisogno di misurarsi con il fare, con la manifestazione attiva e preponderante di sé.
Da un certo punto in poi, questa propensione diminuisce e la persona diviene più riflessiva, più attenta alla sostanza e meno identificata con la produzione e la eccitazione, meno desiderosa di collocarsi sul palcoscenico della vita.
Noi ci rivolgiamo a questa seconda categoria di persone, per la prima non abbiamo risposte.
La radice del lamento
Sono passato ieri davanti alla stazione di Marotta, una località turistica della costa, e ho visto che nelle due misere aiuole l’erba era alta un metro e sono rimasto basito.
Ho telefonato a mio fratello, che a Marotta abita e che ha ancora, a differenza di me, alcuni contatti nell’amministrazione comunale, per chiedergli se poteva fare qualcosa.
Avrei potuto brontolare, lamentarmi, ingiuriare gli amministratori disattenti, e forse anche incapaci, e chiuderla lì. Ma non è nella mia natura, se c’è un problema, tendo a farmene carico.
Proteggere le proprie possibilità
Cos’è una possibilità? Ciò che si presenta nel quotidiano, nella ferialità dei giorni, ed anche, ovviamente, nell’eventuale straordinario.
Ciò che viene, che accade, offre una possibilità di esperienza, di consapevolezza, di comprensione, di contemplazione.
Ciò che viene è portato da coloro che abbiamo attorno: il partner, i figli, gli animali di casa, i compagni di viaggio, gli amici, i colleghi di lavoro.
Le stagioni dell’umano e della natura
Se faccio un parallelo tra le stagioni della natura e quelle dell’uomo, mi viene da porre in relazione l’estate con la vecchiaia.
L’estate è dominata dallo stare, dal giungere a compimento di processi la cui genesi è nell’autunno.
L’autunno è l’inizio della vita perché accoglie in sé il frutto maturo, il seme, dell’estate: una vita che finisce deposita il compreso in una vita che inizia.