La scuola, la frustrazione, la responsabilità personale

Amiche di questo Sentiero, hanno figlie che si approssimano all’esperienza del liceo: chiedono e si informano su chi, precedentemente, ha frequentato quella scuola, ha avuto quell’insegnante.
Spesso sono preoccupate le madri e intimorite le figlie: si va incontro ad una incognita e i genitori temono per i loro figli cinque anni in salita.
So di cosa parlano, abbiamo avuto una figlia a scuola, conosco la salita e le difficoltà durante e in cima.
Voglio riflettere brevemente su due aspetti della scuola.
1- L’organismo è composto dagli insegnanti, dagli allievi, dai dirigenti scolastici, dal ministero, dai genitori.

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Il totem della competizione

Di fronte al rito dei rigori, ieri sera durante Italia-Germania, ho visto il non senso.
La legge della competizione vuole che qualcuno vinca e, siccome è legge partorita in una visione ristretta, vince chi fa più goal.
E’ la stessa ristrettezza di visione cui facevo riferimento qualche giorno fa in merito all’istituto del referendum: si o no; un goal in più di te, uno in meno a me.
“Fammi le cose semplici sennò mi confondo”, questo sembra il mantra dominante, o forse è solo il risultato di non comprensioni molto vaste e di una mancanza di alternative impossibili perché nemmeno si riesce ad immaginarle.

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La paura e le basi per il cambiamento

Un video Unicef pone la questione dello nostre reazioni di fronte ad una persona bisognosa: nello specifico vengono registrate le reazioni di fronte ad una bambina sola per strada, ma ben vestita e curata, e di fronte alla stessa bambina truccata da povera. La prima bambina viene accudita, la seconda ignorata.
Perdonate, ma in sé il video non dimostra niente se non che abbiamo paura e diffidenza rispetto a tutto ciò che può comportare un problema, o un’aggiunta di complicazione nella nostra vita.
Di fronte ad una bambina sola, ma curata e ben vestita, noi sappiamo che la soluzione non sarà complessa; stessa certezza non abbiamo di fronte alla bambina sola e in cattive condizioni: qui si può spalancare un mondo che non consociamo, che possiamo avere difficoltà nel gestire, che ci richiederebbe forze che non abbiamo, o che non vogliamo mettere in campo. Poi, magari, non sarebbe così e la gestione del primo caso e del secondo richiederebbero, alla prova dei fatti, lo stesso impegno, ma noi abbiamo paura della situazione che si configura come più complessa e meno gestibile.

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Quando non abbiamo più un progetto

Prendo le mosse da questo manifesto europeista lanciato da Nicola Zingaretti che vi invito anche a sottoscrivere.
L’umano senza progetto muore: finisce la sua creatività, finisce la sua socialità, finiscono la sua cultura e la sua vita interiore.
Muore interiormente perché, essenzialmente, quello che noi chiamiamo umano altro non è che la rappresentazione di un processo del sentire che si mostra in divenire nel tempo: il processo che da ego conduce ad amore, quello è l’umano che viene rappresentato ogni giorno, ad ogni latitudine.

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I tempi e le necessità della crescita interiore

Prima scena. L’altro giorno Caterina mi ha mandato un video di suo figlio adolescente mentre annaffia l’orto e canta una canzone popolare. Il ragazzo, come i suoi due fratelli, è stato educato in casa, niente scuola: la madre si è caricata sulle spalle la consapevolezza dell’inadeguatezza della scuola e ha detto: “Li crescerò tra le capre e i libri, tra l’orto e il computer, tra le storie della campagna e la città, tra l’interiore e l’esteriore, secondo i loro tempi e il loro modi”.
Seconda scena. Primi anni ’70, con un amico accompagniamo al porto di Venezia una ragazza tedesca nostra coetanea, conosciuta sul treno durante il viaggio che dalla Germania ci portava in Italia. La ragazza, ventenne, andava in Israele a vivere in un kibbuz.

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La porta dell’unificazione consapevole

Mi scrive un amico in merito al senso di lacerazione che a volte lo assale. Qualunque ne sia la causa, che può essere interna alla sfera identitaria, o può generarsi dal conflitto tra identità e coscienza o, verosimilmente, può essere relativa ad entrambe le sfere, la via per superare quella lacerazione è una:
– comprendere le non comprensioni che la generano, e queste sono sempre relative alla sfera del sentire di coscienza e riverberano nei comportamenti e negli atteggiamenti interiori che l’identità sviluppa;
– essere pienamente consapevoli che la riunificazione avviene nel lasciarsi attraversare dal fatto presente.

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Le basi della stabilità interiore

Un genitore fornisce ai figli la piattaforma affettiva, educativa, spirituale, sociale ed economica su cui appoggiare durante tutto il periodo dei loro ripetuti tentativi di costruirsi una manifestazione credibile e sostenibile – ai loro e agli altrui occhi – nel mondo.
Lo stesso dovrebbe fare un insegnante con i suoi allievi: essere colui che crea l’ambiente formativo adeguato affinché ciascuno possa esprimere la ricchezza interiore di cui è portatore, colmando, nel contempo, quei limiti che più possono ostacolarlo nel processo di manifestazione e di realizzazione della propria autonomia di individuo.

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Dare per scontato il presente

Dare per scontato la presenza dell’altro, la situazione di un figlio, l’acquisizione di un diritto, il contenuto di una lettura, il significato di un’espressione.
Il velo della routine copre lo sguardo e la realtà ci sembra conosciuta, l’attenzione diminuisce, la presunzione di sapere e di conoscere ci inorgoglisce.
È allora che perdiamo il contatto con la realtà, se mai lo abbiamo avuto, nella routine del conosciuto, in quella processione di atteggiamenti interiori che danno per scontato ciò che bussa nel presente.

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Ancora su gratuità e responsabilità

In merito al post Gratuità e responsabilità, ho risposto alle questioni poste da Marco nella sezione del sito dedicata alle domande e alle risposte.
Caterina, operare il bene, la gratuità non è mai conseguenza di un’intenzione perfetta: sgomberiamo il campo dalla perfezione, l’umano opera sempre sulla base di spinte complesse e finché c’è incarnazione, c’è un tasso di egoità.
Con il termine egoità non intendo egoismo, ma l’esperienza, ad esempio, del proprio esserci come individuo nel momento in cui la propria esistenza è minacciata.

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