La mente come strumento

Chiede Serena: fino a dove l’uso della mente va bene e quando invece si deve andare oltre?

La mente seziona la realtà attraverso il giudizio, la misurazione, la parametrazione di ogni fatto con cui entra in relazione.
La realtà sentita dalla coscienza passa attraverso la meccanicità della mente, si riveste di emozione e infine diviene azione, realtà nel tempo e nello spazio.
Se la coscienza è il proiettore cinematografico dentro cui scorre il film che viene sentito, la mente è la lente del suo obbiettivo, quella che permette al fotogramma sentito di divenire il complesso di raggi di luce che raggiungono lo schermo.
E’ evidente che senza la mente non vi sarebbe la realtà, né sarebbe possibile indagarla e conoscerla. Le esperienze che viviamo e che sono quelle da cui la coscienza estrae i dati che le servono per comprendere, avvengono principalmente attraverso lo strumento della mente.

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Il tasso di dolore nella via spirituale

Chiede Maya: Spesso osservando le persone che non si fanno troppe domande e che sembrano molto inconsapevoli mi sembra che facciano una vita più serena e meno dolorosa della mia. Vanno al lavoro e fanno quello che devono fare e basta. Magari si lamentano, ma sembra un lamento così tanto per fare due chiacchiere. Perché chi cerca invece soffre così tanto? O è il contrario, chi soffre è “costretto” a cercare?

Non sappiamo mai cosa c’è nell’intimo del nostro prossimo, sappiamo invece che nella cosiddetta normalità i rapporti avvengono all’ombra di maschere più o meno velanti.
In ogni persona avvengono processi di conoscenza-consapevolezza-comprensione.
Alcune incarnazioni sono caratterizzate da una maggiore intensità, in genere una incarnazione intensa si alterna ad una meno intensa.
Allo stesso modo ci sono stagioni, in una vita, in cui la macerazione è maggiore: una persona attorno ai 40 anni è certamente immersa in un passaggio esistenziale rilevante.

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Verso la libertà interiore

Le domande di Maya (a partire dalla lettura del libro L’essenziale).

Se non c’è l’agente, non c’è la realtà?

Chi è l’agente? La coscienza? L’identità?
Se non c’è identità – il soggetto che si attribuisce l’accadere – c’è solo l’accadere senza attribuzione, pura neutralità (così come è possibile all’umano). E’ la vita che vive l’iniziato/a, colui/ei che è giunto alla fine del proprio cammino incarnativo. La realtà è presente e si manifesta con le logiche del divenire, ma non c’è un soggetto che dice: “Questo è mio!”
Va notato che finché c’è vita incarnata c’è sempre un tasso di identità, magari molto ridotto, per la ragione molto semplice che essendoci i veicoli mentale, astrale e fisico, comunque questi generano un’immagine di sé. Che l’iniziato/illuminato non abbia alcun grado di identità, è pura illusione e appartiene alla mitologia dello spirituale.

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Il seme della vita nella malattia

Ho incontrato ieri una persona, un poco più giovane di me, con una malattia oncologica e un passaggio esistenziale delicato.
La posta in gioco per quella persona è il poter considerare lo stato di malattia nel quale si trova, come la chance più importante che la vita poteva offrirle.
Indipendentemente da quanti fogli il suo calendario le riservi, una manifestazione oncologica rappresenta un avviso ultimativo:

C’è qualcosa che non va nel sistema, puoi limitarti a considerarti vittima del male o puoi coglierne il valore simbolico, la portata esistenziale e interrogarti su cosa nella tua vita non va, e non va da tempo. Questa interrogazione, e la possibile conseguente revisione di vita, non ti garantiscono né la guarigione, né la sopravvivenza ma di certo daranno ai tuoi giorni un altro senso e un’altra completezza.

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Quando è possibile fare a meno di qualcosa?

“Ci sono giorni in cui penso che sarebbe meglio se non ci fossero le religioni. La conoscenza e la pratica della religione sono state utili, questo è vero per tutte le fedi. Oggi però non bastano più, spesso portano al fanatismo e all’intolleranza e in nome della religione si sono fatte e si fanno guerre.
Nel 21° secolo abbiamo bisogno di una nuova etica che trascenda la religione. La nostra elementare spiritualità, la predisposizione verso l’amore, l’affetto e la gentilezza che tutti abbiamo dentro di noi a prescindere dalle nostre convinzioni sono molto più importanti della fede organizzata. A mio avviso, le persone possono fare a meno della religione, ma non possono stare senza i valori interiori e senza etica.” (Dalai Lama)
E’ questa del Dalai Lama un’opinione per tanti versi condivisibile ma che non mi convince: le parole sono state pronunciate dopo i fatti di Parigi, ma credo che appartengano comunque al suo pensiero.

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La consapevolezza del limite e dell’errore

Quando una coscienza abbandona il corpo fisico e dà luogo all’esperienza della morte, il processo più significativo che l’attende è quello di una revisione della vita appena vissuta.
Questa verrà analizzata nei suoi tanti risvolti: dalle scelte fatte al loro perché; dall’egoismo all’altruismo vissuti e praticati; dalle relazioni intessute con coloro che hanno condiviso le scene della vita, al rispetto o alla sopraffazione dimostrati o patiti.
Una volta usciti dalla grande, e spesso inconsapevole, officina del vivere, si entra nell’officina del riflettere, del divenire consapevoli, del sistemare i dati relativi al compreso e al non compreso.

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La ricerca esistenziale e la sua responsabilità

Una ricerca esistenziale sorge da una duplice spinta:
– quella della coscienza che ha bisogno di dati, di comprensioni;
– quella dell’identità che avverte una mancanza, una frustrazione, una alienazione.
La ricerca può essere consapevole o inconsapevole. Non c’è essere umano che non persegua la via della conoscenza: tutto il vivente sviluppa la consapevolezza di sé e della scomparsa di sé, che lo voglia o no, che ne sia consapevole o no.

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Nel ventre del tempo interiore

Il periodo a cavallo del solstizio d’inverno è il ventre del tempo interiore, dello stare, del risiedere, del contemplare i processi, del divenirne consapevoli e scoprire come il respiro del cosmo sia il nostro respiro.

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Star Wars e la fede-fiducia

Ho letto questo articolo di Mauro Leonardi sull’Huffington Post. L’autore si rammarica che la fede cristiana non abbia lo stesso entusiasmo, la stessa adesione propria dei seguaci della saga di Star Wars.
A me sembra che il cammino della fede-fiducia sia qualcosa di molto diverso e più complesso della adesione emotiva, affettiva, cognitiva ad una serie cinematografica e ai suoi valori: conduce infatti a misurarsi con se stessi, con i propri limiti ed egoismi, con le paure, le resistenze e le reticenze.

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