sono migliore

Sono migliore di te ?

Ho amici complottisti, loro vedono losche trame dietro ogni evento. Ne ho altri che continuamente protestano, con tutte le ragioni, sul malaffare nella politica e nella società in genere.
Per parte mia non so se ci siano ovunque dei conflitti, ne so se tutto sia marcio, anche se ho dei sospetti, penso però che non si possa passare la vita a protestare, ad accusare, a puntare il dito.
Non che protestare non si debba, è importante e qualche volta imperativo, ma non può bastare: debbo essere capace di fare meglio, di fare diversamente, debbo essere diverso da ciò che condanno.
Mi chiedo: come sarei dopo venti anni di politica, o di amministrazione pubblica? Sarei corrotto? Non credo. Sarei logorato, stanco, demotivato, incline al tirare a campare? Forse.
Mi chiedo ancora: sono migliore dei corrotti? Si, senza dubbio. Come faccio ad essere migliore, perché lo sono?
Perché ho conosciuto la corruzione e ne ho compreso la natura. La coscienza che mi genera e mi guida ha acquisito l’esperienza del corrompere e dell’essere corrotti e l’ha integrata, l’ha compresa.
Quando l’ha fatto? In una, o più, delle sue tante rappresentazioni, quelle che noi chiamiamo vite.
Oggi posso dire che la corruzione non mi tocca perché essa è già in me, da essa ho già imparato.
Se questo ho compreso, quando vedo i casi di corruzione nella politica e nella società non posso che condannarli: condanno i fatti, opero perché chi li ha compiuti non possa ripeterli, ma non giudico il corrotto e il corruttore perché conosco il processo dentro al quale si trovano a sperimentare.

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omosessualità

Il Segretario di Stato Vaticano e i matrimoni omosessuali

Certo, come ha detto il vescovo di Dublino, bisogna tenere conto di questa realtà, ma a mio parere, si deve anche rafforzare l’impegno e lo sforzo per evangelizzare. Io credo che si possa parlare non soltanto di una sconfitta dei principi cristiani ma di una sconfitta dell’umanità.

Queste le parole del Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, pronunciate a commento del referendum irlandese sulla regolarizzazione delle unioni omosessuali attraverso l’istituto del matrimonio.
Quel “si deve anche rafforzare l’impegno e lo sforzo per evangelizzare” dice alcune cose:
– l’esperienza omosessuale non corrisponde al disegno della natura;
– è un’esperienza che va accolta, ma non accompagnata e sostenuta, di certo non equiparata alla affettività naturale;
– l’unione omosessuale non può avere la dignità di famiglia.
Tesi conosciute, ma che non cessano di stupire.
Non ci interessa polemizzare, ciascuno coltiva in cuor suo ciò che ritiene vero.
Noi coltiviamo quella che ci appare come realtà:
– ogni persona coltiva la propria vita affettiva assecondando i propri orientamenti esistenziali;
– ogni persona ha diritto al riconoscimento del proprio personale cammino, al rispetto, alla parità di diritti.
L’omosessualità è un cammino esistenziale con la stessa dignità di tutti i cammini e con gli stessi identici diritti e doveri. Anche di adottare?
Credete che un bambino, cresciuto in una coppia omosessuale, sviluppi una affettività condizionata dall’esempio dei suoi genitori?
L’omosessualità è un orientamento esistenziale, così come l’eterosessualità, poco ha a che fare con l’educazione e con il condizionamento.
Non si diviene omosessuali, lo si nasce, dando così manifestazione ad un progetto esistenziale che attraverso le esperienze si dispiegherà e produrrà le comprensioni a ciascuno possibili.

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avanti

Solo passi in avanti

Per quanto ci possa sembrare assurdo, anche quando il nostro limite si mostra evidente e il cadere è rumoroso, prepariamo un passo in avanti, stiamo gettando le basi di una nuova comprensione.
Comprendere è un processo non lineare: nella mente che semplifica, 1+1 fa 2; nella realtà, il due è spesso la risultante di una serie di sottrazioni.
Perché? Perché la comprensione, il fare un passo in avanti riguarda sempre un limite del nostro sentire: manifestandolo, marcandolo lo sperimentiamo, lo “paghiamo”, ne diveniamo consapevoli e avviamo il processo del superarlo.
Molte cadute, dunque, danno luogo ad un passo in avanti.
Mi si osserverà a questo punto che, se tanto il cadere dà luogo ad un avanzamento, perché mai non dovremmo indulgere nel peggio di noi?
Vi rispondo: voi vi divertite a vivere il peggio di voi stessi?
Noi cambiamo solo attraverso le esperienze, accettando di imparare da esse. Conta la volontà di imparare?
Certo, ma se non è associata all’osare, al buttarsi, all’accettare di sbagliare facendo, è solo un imperativo morale improduttivo.

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atomi dell'assoluto

Compassione, forse

Siamo atomi d’aria nel respiro dell’Assoluto.
Ogni giorno, ad ogni ora proviamo a conoscere, divenire consapevoli, comprendere.
Piccolo o grande che sia l’asino in noi, ciò che esprimiamo è sempre e solo un tentativo, un approccio, un’approssimazione, il segno di un incedere.
Prima di aprire la bocca, dubio di quello che dirò.
Mentre compio un’azione, so che sarà limitata.
Quando mi approssimo a te, so che farò difficoltà a vederti, ad ascoltarti e, a volte, il mio accoglierti è solo maniera.
Vedo l’irrilevanza e l’irrealtà di me e mi fermo, non c’è ragione da dimostrare, qualcosa da aggiungere.
Non c’è tristezza, compassione forse.

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amore

Amare è un atto di volontà?

Dice Enzo Bianchi, e con lui i cristiani in genere: “Che cosa dunque fare come discepoli di Gesù? Credere all’amore (cf. 1Gv 4,16), amare gli altri perché Dio ci ha amati per primo (cf. 1Gv 4,19) e non cedere mai alla tentazione di pensare che amiamo Dio solo desiderandolo o attendendolo: no, lo amiamo se realizziamo il comandamento nuovo dell’amore reciproco, a immagine di quello vissuto da Gesù”.
Dunque sembra che l’amore sia il frutto di un atto di volontà del soggetto che crede nell’amore e ama perché Dio lo ha amato per primo.
Definirei questo amore, l’amore voluto e lo raffronterei con l’esperienza dell’amore che accade, l’amore accaduto.
La mia tesi è molto semplice: l’umano scopre l’amore, non lo impara, non lo può volere, non può indursi, non più di tanto almeno, ad amare se questa spinta non gli sorge dall’intimo.
Scoprire l’amore significa che quando lo vedi, lui era già lì: non è tuo, non l’hai fatto tu, non è un tuo frutto. Lui c’era già, l’hai solo scoperto.
L’amore c’è per tutti e tutti, a loro tempo, lo scoprono.
L’amore accaduto è l’esperienza dell’amare che ti attraversa e che non hai voluta, non l’hai cercata, è accaduta a prescindere da te: attraverso te, ma a prescindere dalla tua volontà.
L’amore frutto della volontà lo chiamerei, più propriamente, il bene voluto, il bene fatto, l’operare il bene: è un’esperienza interiore molto differente dall’amore, dall’essere attraversati dall’amore. Altrettanto importante.
L’esperienza dell’amore conduce l’umano incontro alla pienezza di sé e, naturalmente, non può che divenire vita, azione, relazione.
A me sembra che nella visione cristiana dell’amore e dell’amare ci sia del non chiarito: espressioni come credere all’amore, amare gli altri perché Dio ci ha amati, mi sembrano non significanti, non si ama per queste ragioni, non si ama per nessuna ragione. Per queste ragioni si fa il bene.
Si ama perché l’insieme delle esperienze e delle comprensioni ci hanno condotti, passo passo, oltre il limite dell’egoismo e della cecità interiore, fino a far sorgere in noi quell’esperienza precisa e sconvolgente che chiamiamo amore.
La visione cristiana esercita su noi una costante sottile pressione, quasi a volerci indurre e condurre ad amare: pedagogia pessima, come molte delle pressioni, non si può costringere una pianta a crescere più in fretta, non si può indurre un umano ad amare quando non ha in sé la disposizione a farlo.
Si può educare alla generosità, alla collaborazione, alla condivisione, al rispetto. Si può educare al bene, dunque, certo!
L’amore sorgerà nell’intimo della persona quando essa, lavorata dal non-amore, avrà compreso – non capito – che non c’è nulla da difendere, nulla di nostro, nulla che non sia dell’Assoluto, dentro l’Assoluto.

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domande esistenziali

I laici e le religioni

[…] L’opinione laica sembra infatti ben disposta a interloquire su tematiche filosofiche o persino spirituali, concedendo una patente di credibilità dialogica a riflessioni sulla vita, la morte, l’al di là, i valori universali… mentre appare refrattaria, distratta, non reattiva quando il papa affronta tematiche molto più “laiche”, come il sistema economico-finanziario disumano, la dignità di ogni persona a cominciare dai poveri, i migranti, i profughi, il commercio delle armi, le strutture e gli assetti politici e sociali che alimentano ingiustizie: i silenzi che hanno accolto i suoi appelli contro la terza guerra mondiale in atto o contro la persecuzione delle minoranze, cristiane o meno, sono sintomi preoccupanti di un dialogo che ha timore di affrontare frontalmente questioni imbarazzanti per i rapporti di forza esistenti nel mondo. Ma il dialogo autentico non ha come finalità i massimi sistemi: da quelli prende le mosse per chinarsi sul bene più prezioso che ci è dato di possedere e che a tutti va garantito, la vita umana.[…] Enzo Bianchi, Avvenire, 28 aprile 2015.
Credo che i laici abbiano una domanda esistenziale che non trova risposta e per questo indagano, interloquiscono, chiedono a chi, presumono, a quella domanda dovrebbe aver trovato risposta.
Non è questa la funzione delle religioni? Proporre all’umano un cammino di unificazione interiore, di senso, di ancoramento ai valori fondamentali, all’essenziale?
Credo altresì che i laici vogliano riservare a sé e ai processi politici, economici, sociali il superamento delle spaventose diseguaglianze e ingiustizie che attraversano il pianeta.
Mi sembra che nella coscienza laica ci sia sufficiente consapevolezza di una divisione dei ruoli che affida alla religione la vita interiore, e alla politica quella di relazione.
Questa consapevolezza laica marca, probabilmente, un limite: la non chiara comprensione che ogni mutamento esteriore trae origine da un cambiamento interiore. Se i laici avessero ben compreso questo, la politica che essi esprimono avrebbe ben altra natura.
Questa lucidità di sguardo c’è invece nelle religioni in genere, che pongono al centro di ogni processo il cambiamento del “cuore” dell’uomo.
Rimane da vedere e da chiarire se e in che misura, le religioni rispondono alla fame esistenziale delle persone: a mio parere in una misura molto scarsa.
Il cattolicesimo, in particolare, sembra prigioniero di se stesso, della propria tradizione, della propria teologia, del verso consolidato dal quale ha guardato e guarda all’evento che l’ha generato: la vita, la morte, la resurrezione di Gesù, il Cristo.
Credo che il mondo interiore dei laici chieda ai cattolici la capacità di rigenerare il paradigma cristiano, di trovare gli alfabeti nuovi di una interpretazione simbolica ed esistenziale dell’archetipo del Cristo che parli alle loro menti e ai loro cuori in maniera, per loro, credibile ed efficace.

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Il narcisismo, la discrezione, la riservatezza

Che bisogno aveva la Comunità monastica di Bose di promuovere, per il settantesimo compleanno del suo fondatore, Enzo Bianchi, un volume di 760 pagine contenente gli omaggi di 130 autori?
Non lo so. Che bisogno hanno di mostrare nel loro sito le immagini di tutti gli ospiti illustri che visitano la loro comunità?
La leggera brezza del narcisismo attraversa Bose? Non lo so e, in fondo, non mi riguarda.
Potrei allargare lo sguardo sulle magnificenze delle liturgie cattoliche così narranti sé, non certo il divino, o il rapporto con esso.
Ma anche questo, in fondo, non mi interessa.
Allora perché ne parlo? Per evidenziare il valore della discrezione, della riservatezza, del nascondimento anche.
Per interrogarmi sul quando e sul dove, forse, anche noi indugiamo nel mostrare, piuttosto che nell’essere.
Fare un passo indietro, tacere, osservare, ascoltare, servire nel silenzio di sé, pregare nella discrezione protetti dallo sguardo di chi ad altro è intento, meditare nella propria stanza quando ancora gli altri dormono.
Il rapporto con l’Assoluto è rapporto feriale e intimo, sia per la persona che per la comunità, ed ha bisogno di un sguardo interiore non preoccupato del mondano, dell’effimero, di tutto ciò che è vanità delle menti.

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karma

Le cose fatte bene e quelle fatte male

Non conta quante volte hai fatto bene, conta quando il tuo raglio si sente da costa a costa.
Perché? Perché è dal raglio che impari, è lui che ti rende migliore se ne comprendi l’origine e la manifestazione.
Allora le cose fatte bene che fine fanno? Finiscono nella “contabilità generale”, in quello che viene definito il karma positivo.
Le cose fatte male muovono quello che chiamerei il karma produttivo, quello che genera opportunità nuove di apprendimento.
Ciò che è venuto male per un difetto di comprensione, si ripresenta e si ripresenta fino a quando non viene fatto bene.

Come nasce il Karma, C.Ifior, pdf.

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coscienza

La coscienza crea la realtà

Per quanto ci sembri irreale, non siamo noi, piccoli portatori di nome, a creare la realtà.
Noi stessi siamo creati attimo dopo attimo, fotogramma dopo fotogramma, dal sentire di coscienza.
Tutte le scene che viviamo, tutti gli affetti, tutti i progetti, tutte le mansioni sono generate dal sentire.
Quale realtà crea la coscienza? Quella possibile, compatibilmente con le comprensioni acquisite e con quelle da acquisire.
Siamo dunque solo burattini? No, se comprendiamo che identità e coscienza sono unità inscindibile.

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