Un accadere sacro

Infinite processioni di formiche
in movimento, senza sosta,
in tutte le direzioni.
Se ti alzi in piedi e osservi,
non puoi comprenderne il disegno
ma ti coglie un profondo rispetto.
Il senso di un accadere sacro.
Aspetti dell’umano.
ll perdersi.
L’arrancare.
Lunghi passi faticosi.
Il film della vita scorre lento,
tu cammini e osservi muto.

Nessuno è abbandonato

I nostri figli,
le persone con cui stiamo,
tutti coloro che abbiamo attorno
sono in cammino.
La vita di ciascuno è, da un lato,
esplicitazione di questo cammino, dall’altro,
successione di fotogrammi di un Eterno Presente.
In questa luce,
che cosa diventano la nostra ansia,
la nostra preoccupazione,
il nostro darci da fare?
Manifestazioni del nostro cammino.
Possiamo agitarci o stare fermi
comunque le persone che abbiamo a fianco
andranno per la loro strada, la troveranno.
Siamo lì, piccoli esseri
nelle mani della vita:
se vuole ci utilizza,
altrimenti usa altri
per realizzare i suoi scopi.
Ma nessuno è abbandonato
e se non ci siamo noi,
dio mio, come farà?
Noi siamo interpellati
e provocati dal bisogno dell’altro,
siamo chiamati a vederlo
e riconoscerlo, ma da questo
a pensare di essere determinanti..
Determinante è la Vita
che tiene ciascuno nel palmo della propria mano.

Flettersi

Sento il rumore dei passi,
quelli compiuti, quelli da compiere
lungo questo sentiero infinito
dell’imparare a flettersi, ad inchinarsi:
osservando, tacendo,
sprofondando in un silenzio
che è un abisso
di non significanza di sé.
Aiutami a piegarmi.

Pensiero oggettivo e soggettivo

Ozh-en, il  filosofo, seduto nel suo giardino, guardava in alto, verso una finestra al quinto piano, dove un gatto dalle origini incerte, accanto a un magnifico vaso di papaveri multicolori, cercava di afferrare con la zampa le corolle dei fiori che si muovevano dolcemente sotto la brezza di un alito di vento primaverile, e intanto meditava, con un certo compiacimento interiore, sulla Verità e sulla Realtà.
Con un guizzo di entusiasmo il gatto diede un colpo più deciso al vaso che, dopo aver traballato un attimo, cadde dal davanzale.
Ozh-en lo vide precipitare verso di lui osservando l’avvenimento secondo le cose che sapeva.
“In realtà il movimento non esiste, è solo un’illusione: nell’Assoluto, di cui io stesso faccio parte, tutto è immobile, e non può essere altrimenti” disse a se stesso.
“Io stesso sono un’illusione e il vaso che precipita è semplicemente la mia percezione continua di fotogrammi della Realtà in cui il vaso è posizionato sempre più vicino a me ma, in ogni fotogramma, il vaso è fermo… Come un cartone animato – meditò, un po’ fiero con se stesso per l’originalità dell’esempio – dove una serie di disegni leggermente diversi uno dall’altro, fatti scorrere in sequenza, danno la sensazione del movimento!”
La sua fierezza si spense nel dolore quando il vaso lo colpì, fortunatamente solo di striscio, cosicchè ebbe il tempo, successivamente, per porsi la domanda su quando fosse utile pensare oggettivamente e quando soggettivamente.
Dal volume X de “l’Uno e i molti”, Cerchio Ifior, pag.136

Un insieme

Nei piccoli insignificanti gesti
di ogni attimo,
la consapevolezza
di una irrilevanza,
di un essere veramente piccoli.
Aspetto di un insieme,
dove il centro è l’insieme.

Occhi nuovi

Occhi nuovi
aperti sull’evidente.
Sono lì,
si può assecondare
quel moto ad aprirli.
Sono già lì,
si può fare.

Zucche

Una zucca vuota
risuona se la batti.

Tutto ti colpisce

E’ come se non potessi più legarti al particolare:
lo osservi, lo comprendi
e poi lo sguardo si sposta altrove.
Tutto ti colpisce
ma tu non trattieni niente,
ogni immagine scorre,
ogni vita.
Fotogrammi di un film,
scorrono senza lasciare traccia.
Non c’è indifferenza,
ogni incontro è avvolto
di tenerezza.

L’ambiente parla di noi

“E ricordate che, comunque sia, anche se voi poteste non essere disponibili, l’ambiente esterno è sempre e comunque disponibile, non soltanto ma è lì, fatto su misura per voi, affinchè voi possiate comprendere; quindi, se non volete guardare dentro di voi, se proprio vi legate e vi tappate gli occhi per non guardare voi stessi, basta che guardiate all’esterno di voi stessi e, comunque sia, ciò che vedete vi parlerà di voi e, in un modo diverso di cui voi magari non vi rendete conto, entrerà dentro di voi e vi aiuterà a risolvere il problema.”
(Cerchio Ifior, decimo volume de: L’Uno e i molti” pag. 94)