Relazione, sacralità dell’incontro con il “mondo in sé”

[…] La via della Conoscenza afferma che solamente un essere che vive una quiete interiore può riconoscere il mondo in sé.
[…] Colui che si trova immerso in uno stato di quiete interiore vive la propria umanità in modo naturale, cioè è costantemente in contatto col mondo in sé, continuando a provare emozioni, a vivere pensieri ed a manifestare comportamenti.
Nel mondo in sé la relazione è interconnessione: si è immersi in un mondo dove tutti gli esseri sono interconnessi fra di loro senza distinzioni e senza paragoni.

continua..

Vivere nella pienezza è riconoscere ciò che già c’è

[…] Il riconoscimento, però, nasce da un vuoto interiore, cioè dall’essere svuotati e liberati di tutto quello che è contenuto nella vostra mente sotto forma di oggetti psichici che continuate a creare interpretando i fatti che accadono dentro e fuori di voi.
[…] La vostra attività mentale è vivacissima per la quantità, per la varietà e per la confusione con cui pensieri ed emozioni si affollano nella vostra testa.
Questa continua eccitazione non vi permette di incontrare una dimensione che si mostra soltanto ad un placarsi che la via della Conoscenza definisce come stato interiore, in cui il pensiero, l’emozione e l’azione non sono condizionati dalla vostra mente.

continua..

La perdita di sé stessi e l’essere specchio

[…] Quando muoiono gli oggetti psichici che imprigionano l’uomo ancora identificato nella propria mente, cessano le aspettative, cessano le delusioni, cessano i timori ed emerge un fondo di dolcezza per tutto ciò che accade, sfaccettandosi ai suoi occhi.
L’uomo lo vive senza aggiungervi spiegazioni, finalità o etichette; ed è da lì che nasce una nuova tenerezza che è accoglienza per quell’altro da sé – fatti o esseri – che si presenta.
Se stesso e l’altro sono espressione del mondo dell’accadere, che lui può riconoscere perché è morto dentro di lui un mondo tutto suo.
Esiste già quel mondo al di là della vostra consapevolezza, un mondo di cui siete espressione, ma voi non lo riconoscete perché siete abituati a rappresentarvi un mondo duale legato al vostro “io”.

continua..

Il pensiero non è la mente e riconosce “ciò che è”

[…] Il pensiero, libero dalla prigione della mente umana, ha una naturalità che è in sintonia con ciò che c’è e si mantiene fisso sul continuo apparire e scomparire che rende semplice ogni attimo. Mentre il pensiero, assoggettato alla vostra mente, sovrappone all’aprirsi e chiudersi della vita il tempo della continuità e del trascinamento che rende complesso il mondo intorno a voi.
Colui che non trascina con sé, nei pensieri, i fatti e gli esseri che si presentano, incontra una realtà di atti semplici. Quell’uomo diviene libero dal peso che il passato esercitava su di lui, e riconosce il suo essere disconnesso.

continua..

Agire nel non agire: la profondità del presente

[…] Vivere è essere in relazione con ciò che vi circonda, scoprendone una profondità che va al di là della superficie su cui ancora vi attestate.
È un mondo che esiste, ma che voi potete intravedere soltanto attraverso fugaci flash che vi fanno intuire che c’è altro che non è possibile trattenere, e far proprio, perché è irriducibile ad ogni pretesa.
Lo stato interiore di cui parla la via della Conoscenza porta l’uomo a permanere in una immobilità interiore, pur continuando a vivere i suoi tre elementi costitutivi, che sono pensiero, emozione e capacità di azione. In colui che vive questo stato interiore il punto d’osservazione rimane fisso, mentre voi umani siete continuamente sballottati dal modo con cui la vostra mente reagisce ad ogni sollecitazione della vita.

continua..

La vita senza il “dover essere”

Se tolgo all’umano lo sforzo e la tensione creata dal dover essere qualcosa, qualcuno, cosa gli rimane?
Se non siamo più quella corda tesa pronta a scoccare una freccia, a raggiungere un obbiettivo, ad avere uno scopo, a realizzarsi, di cosa si sostanziano il nostro presente e il nostro domani?
Siamo dunque i nostri obbiettivi, i nostri giudizi, le nostre aspettative? Direi di si, siamo quello e, senza quello, ci sembra di non essere.
Eppure c’è un mondo molto vasto che si apre quando usciamo dalla morsa del dover essere, del dover costruire, del dover ricercare senso ed è costituito, intessuto, dall’accadere dei semplici fatti.

continua..

L’illusione di aver compreso la sfida vera e ultima

[…] La vita non è ciò che attraverso gli esseri, o i fatti “vi” insegna, “vi” fa apprendere, “vi” fa accumulare, “vi” fa migliorare, “vi” fa evolvere, oppure “vi” fa contorcere dentro l’apprendimento perché non siete mai adeguati ad essa.
No, la vita è semplicemente una continua sfilata con miriadi di sfilanti, e parla di sé, mai di voi: parla indifferentemente di tutti gli esseri che sono parte integrante dei principi che la compongono.
Se ascoltati, tutti coloro che si presentano e sfilano davanti ai vostri occhi parlano semplicemente della vita in sé. […]

continua..

L’oratio continua, la relazione interiore, la contemplazione

Ai termini “oratio” e “preghiera”, preferisco quello di “relazione interiore” molto meno connotato in senso discorsivo, meno legato alla parola e al parlare.
L’oratio continua, la relazione interiore permanente, è l’orizzonte del monaco dalla notte del tempo e, ad oggi, è l’esperienza di chi lascia emergere la vastissima area dell’esistere oltre sé.
Non emerge una parola, non solo e non necessariamente, comunque: emerge un sentire, uno stato d’essere, una connessione, una fusione, un risiedere.
Emerge come silenzio carico d’Essere.

continua..

Si cerca finché si è divisi nell’interiore

Divisi da chi? Dalla natura di sé: il senza origine e senza fine non coglie l’essenziale e trova interesse solo per i colori del divenire.
Divisi nel compiersi del processo della manifestazione di sé.
Divisi nella consapevolezza di sé e dell’accadere.
Divisi nell’interpretazione dello sperimentare e del suo senso.
L’interiore è lo specchio dove tutto si riflette e lì viviamo e patiamo quella divisione, se ancora è in atto.
Quando quella divisione è superata nel sentire, nel pensare, nel provare e nell’agire, finisce l’esperienza del sentirsi separati e frantumati,

continua..