Se un fatto non è visto e dall’impatto con esso non si lascia che sorga sensazione, emozione, pensiero, quel fatto non esiste o non ha consistenza.
È cioè necessario che un fatto, che in sé altro non è che sentire, possa attraversare i vari corpi e piani del percepente e trovare una esecuzione, ovvero dar luogo ad una reazione/azione: allora il ciclo si chiude e il processo del conoscere, divenire consapevoli, comprendere ha compito il suo corso.
Questo è ciò che ad ogni attimo viviamo, la sostanza profonda che qualifica ogni sequenza di fotogrammi che riconosciamo come la nostra vita, il nostro presente.
Se il fatto è visto e ci attraversa, allo stesso modo ci abbandona: davanti all’obbiettivo fotografico tutto scorre, tutto viene registrato e suscita impressione, e tutto viene abbandonato.
Contemplazione
La nostra esperienza della vita, di noi, dell’altro. Sguardi senza osservatore.
Amando l’impermanenza della vita “in sé”
[…] Vivere, amando l’impermanenza, significa appassionarsi a ciò che varia in continuazione, ma rimanendo effimero, e questo porta ad essere in armonia con la variabilità e quindi col nascere e scomparire di tutti gli aspetti che l’alterità mostra dentro le relazioni. Mentre voi umani siete fissi nella pretesa di costanza e di solidità che cercate di costruire e di mantenere nei rapporti che vi interessano.
Ricordatevi che l’impermanenza, vissuta nelle relazioni, non può che entrare in conflitto con la pretesa di cambiamento dell’altro in base alle vostre aspettative – cioè “per voi” – oppure col mantenimento della relazione secondo le vostre esigenze – ancora una volta “per voi” -.
Divenire ed essere, operare e contemplare
[…] la vastità è pervasività del già preformato. Ed è proprio con questa visione della realtà che si scontra l’uomo che percorre quella via cosiddetta evolutiva (la via del migliorarsi e trasformarsi, ndr), perché non è abituato a mettere in discussione la sua voglia ed il suo sforzo tesi verso la costruzione di un obiettivo di crescita comune, di aiuto all’altro e di miglioramento di ciò che lo circonda, che però parlano principalmente di lui in un mondo “per lui”.
E quando sente questo suo assunto venir messo in crisi da una visione dell’esistenza in cui ciascun essere è inserito in una rete di incontri che è solo da riconoscere, quell’uomo ha difficoltà a decostruire ciò che ha edificato sulla vita e perciò a togliere via quei veli – i suoi concetti – che nascondono che tutto è già. (1)
Finché ci manca qualcosa e la vita nell’essere
Ad un giovane senza lavoro manca di certo qualcosa, come ad una persona alla ricerca di un affetto.
C’è una parte della vita dedicata all’edificazione delle condizioni di base necessarie per realizzare il proprio cammino esistenziale.
Saggezza vorrebbe che una società fosse ordinata in modo tale da facilitare a tutti i suoi membri l’accesso alle condizioni di base per potersi avviare nella vita, ma da questo siamo ben lontani e non a caso, ma per puro e semplice egoismo di molti.
Comunque, nelle vite meno tormentate, viene un giorno in cui quelle condizioni sono realizzate e la persona ha una stabilità di fondo.
Un continuo nascere e scomparire
[…] Siamo partiti da un presupposto, che è il quietarsi degli aspetti che caratterizzano interiormente l’uomo, e siamo giunti all’imporsi di uno stato di immobilità interiore. È lì che sorge l’amore per l’impermanenza ed il riconoscimento di un mondo fino a quel momento inesplorato.
È un mondo che si disvela quando l’attenzione dell’uomo viene attratta unicamente da un quotidiano fatto di piccole cose – un piccolo quotidiano – in quanto muore in lui il bisogno di circondarsi di cose che continuamente rende grandi o importanti perché le riferisce ad un mondo per sé.
Il tempo vissuto da quell’uomo pare restringersi, poiché il suo sguardo si fissa su ogni frammento di tempo che si sussegue ad altri, e così la sua attenzione coglie di ogni momento il bussare, il variare e lo sparire.
La ricerca del fuoco, del senso e il prendere atto
Il solo porre la questione dell’essere mette in risalto il condizionamento dentro al quale quotidianamente viviamo: senza sosta cerchiamo senso.
Per noi vivere non è prendere atto: è provare, è conquistare, è dover essere.
Siamo dei cercatori di fuoco, di qualcosa che ci scaldi e non ci faccia sentire l’angoscia di fondo della separazione e della solitudine.
Nessuno è fino in fondo pronto per l’essere, perché tutti abbiamo qualcosa da perdere e questo comporta difficoltà e resistenze inevitabili e naturali.
Bisogna guardare il contesto in cui la vita, la nostra coscienza, ci ha collocati: perché ci ha posto la sfida dell’essere? Perché ci chiede di tenere assieme essere e divenire?
Relazione, sacralità dell’incontro con il “mondo in sé”
[…] La via della Conoscenza afferma che solamente un essere che vive una quiete interiore può riconoscere il mondo in sé.
[…] Colui che si trova immerso in uno stato di quiete interiore vive la propria umanità in modo naturale, cioè è costantemente in contatto col mondo in sé, continuando a provare emozioni, a vivere pensieri ed a manifestare comportamenti.
Nel mondo in sé la relazione è interconnessione: si è immersi in un mondo dove tutti gli esseri sono interconnessi fra di loro senza distinzioni e senza paragoni.
Vivere nella pienezza è riconoscere ciò che già c’è
[…] Il riconoscimento, però, nasce da un vuoto interiore, cioè dall’essere svuotati e liberati di tutto quello che è contenuto nella vostra mente sotto forma di oggetti psichici che continuate a creare interpretando i fatti che accadono dentro e fuori di voi.
[…] La vostra attività mentale è vivacissima per la quantità, per la varietà e per la confusione con cui pensieri ed emozioni si affollano nella vostra testa.
Questa continua eccitazione non vi permette di incontrare una dimensione che si mostra soltanto ad un placarsi che la via della Conoscenza definisce come stato interiore, in cui il pensiero, l’emozione e l’azione non sono condizionati dalla vostra mente.
La perdita di sé stessi e l’essere specchio
[…] Quando muoiono gli oggetti psichici che imprigionano l’uomo ancora identificato nella propria mente, cessano le aspettative, cessano le delusioni, cessano i timori ed emerge un fondo di dolcezza per tutto ciò che accade, sfaccettandosi ai suoi occhi.
L’uomo lo vive senza aggiungervi spiegazioni, finalità o etichette; ed è da lì che nasce una nuova tenerezza che è accoglienza per quell’altro da sé – fatti o esseri – che si presenta.
Se stesso e l’altro sono espressione del mondo dell’accadere, che lui può riconoscere perché è morto dentro di lui un mondo tutto suo.
Esiste già quel mondo al di là della vostra consapevolezza, un mondo di cui siete espressione, ma voi non lo riconoscete perché siete abituati a rappresentarvi un mondo duale legato al vostro “io”.