Conosce la noia il contemplativo? Non Credo.
L’esperienza della noia viene generata dall’identità e siccome l’identità non è un corpo ma una interpretazione di sé, se quell’interpretazione è stata vista e sviscerata, conosciuta e disidentificata, i suoi frutti non crescono più, o crescono marginalmente, sull’albero delle esperienze.
La persona della via spirituale conosce il racconto su di sé e sulla vita che narra la sua identità; l’esperienza che gli deriva dalla lunga frequentazione l’ha portata a non credere, a non aderire a quel racconto: se la persona non ha più come campo base il narrato identitario, dove mette i picchetti della sua tenda?
Nel sentire di coscienza e da quella postazione osserva l’ampio panorama sottostante.
Contemplazione
La nostra esperienza della vita, di noi, dell’altro. Sguardi senza osservatore.
L’operaio della via interiore conosce il lavoro quotidiano
Quando l’operaio della via si alza il mattino, non ha bisogno che qualcuno gli ricordi l’opera che l’attende: sa che le ore che ha davanti gli presenteranno ciò di cui abbisogna per conoscere, divenire consapevole, comprendere.
E sa che tutto il necessario a lui verrà portato dalla presenza dell’altro: la persona con cui vive, i figli, i colleghi di lavoro, i genitori, gli amici.
L’operaio della via, quando si alza, non pensa già alla sera, quando il suo turno sarà finito e potrà riposarsi; non pensa a domani, non vede domani nel suo orizzonte perché sa, ha compreso, che tutta la realtà è rappresentazione e le basi della rappresentazione di domani si gettano nella presenza di oggi.
L’ecologia della mente nella via spirituale
Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Genesi 3, 9-10
Il “dove sei” non è certo rivolto alla collocazione fisica, la domanda investiga dove l’uomo ha appoggiato la propria attenzione, la consapevolezza e la relazione che intrattiene con sé e il proprio interiore.
“Ho paura e sono nudo”: nudo davanti ai miei limiti, bisogni, desideri, giudizi, aspettative; pieno di paura perché privo di strumenti per governarli e temo di esserne travolto.
I passi dell’unificazione
La funzione di un cammino come il Sentiero è quella di accompagnare incontro a sé: dal processo di conoscenza-consapevolezza-comprensione scaturisce poi l’esperienza dell’unificazione.
Ogni persona incontra il cammino, la via adatta a sé: la coscienza la conduce là dove è bene per essa.
Nel Sentiero non ci occupiamo dei primi passi, normalmente giungono persone che hanno già nel sentire i codici di base della via interiore.
Se una persona non ha le basi della via, se le procura là dove le è possibile e necessario. Per parte nostra offriamo un percorso introduttivo Le basi della conoscenza e della consapevolezza.
Custodire
Cerco di custodire questa distanza siderale dal mondo e la proteggo non come qualcosa che mi rende diverso, ma come una immensa possibilità di conoscenza, consapevolezza e comprensione.
Nella distanza da me come soggetto/mondo, i fatti che accadono sul palcoscenico del divenire divengono chiari e mostrano la loro natura al sentire.
Non alla mente, al sentire. Tutto parla del sentire dell’umano in continua trasformazione e delle mille forme che assume nell’apparire della rappresentazione.
Leggo e incontro con la gioa di leggere e di incontrare; scrivo con la gioa di offrire senza pretesa di me.
La vita assorbita nella contemplazione dell’Assoluto
Come nella storia, ciascuno di noi tocca una parte dell’elefante e dice: “L’elefante è questo!”
Nella realtà, nessuno di noi conosce niente altro che particolari, aspetti dell’elefante /Assoluto.
E’ conoscibile l’Assoluto all’umano? Apparentemente no, per la semplice ragione che solo il sentire assoluto conosce se stesso, il sentire relativo conoscerà i gradi che gli sono accessibili data l’ampiezza delle comprensioni conseguite. Ma la questione non è così semplicemente risolvibile.
Il sentire relativo è tale finché non sente l’unione assoluta. Non finché è immerso nel tempo, perché una volta uscito dalla dimensione del divenire e del tempo, quel sentire sarà ancora relativo.
Quando non coltiviamo più il lamento
Quando non coltiviamo più il lamento, cosa diamo da mangiare alla nostra mente?
Quando la protesta cede il passo alla quieta e piena comprensione che la realtà non è sbagliata, ma è esattamente quella che può essere dati i sentire che la generano, di cosa riempiamo le nostre giornate?
Se non possiamo essere contro qualcuno, o contro qualcosa; a favore di qualcuno, o di qualcosa; neutrali a qualcuno, o a qualcosa, se non possiamo più emettere rifiuto, adesione o neutralità, se semplicemente abbiamo compreso che la vita non si attende che noi si esprima la nostra opinione, il nostro gradimento, che ne sarà di noi?
Sacro è ogni accadere
Quando questa consapevolezza ci pervade, il nostro peregrinare umano è terminato.
L’esperienza della sacralità è l’evidenza dell’unità che si fa sensazione, emozione, cognizione, sentire simultanei.
Una e indivisibile è la Realtà e mai due è divenuta.
Non c’è esperienza possibile della sacralità nell’identificazione con i fatti del divenire: l’Essere è la casa del sacro e lì anche la polvere sui mobili testimonia l’unità di ciò che è.