Intensivo di meditazione, contemplazione, silenzio, formazione 9-11 maggio 2014

Il tema dell’intensivo al Monastero camaldolese di Fonte Avellana:

Vivere è il cammino da ego ad amore

Venerdì pomeriggio: il limite dell’identità apre tutte le possibilità perché è attraverso il non compreso che la persona impara l’alfabeto della libertà
Sabato pomeriggio: ogni esperienza prepara la fine di tutte le esperienze, l’amore
Domenica mattina: l’amore non ha soggetto, né oggetto; l’identità scompare quando l’amore è presente

Sabato mattina:
Lectio Divina del Priore di Fonte Avellana, Gianni Giacomelli
“La lettura simbolica della bibbia”, analisi di alcuni brani coerenti con il tema dell’intensivo

Tre giorni nella pratica della meditazione, della contemplazione, del silenzio, del semplice stare.
Un clima di fraternità e di semplicità.

Per iscriversi

Non voglio essere io ad amare, mi dispongo affinché l’amore sia

C’è un protagonista nell’esperienza dell’amore?
Un soggetto che ama? Un oggetto dell’amore? Se si, non stiamo parlando dell’amore ma di altro, forse di un innamoramento, di una infatuazione, di un racconto della mente.
L’amore non contempla né l’amato né l’amante: proviene dal deserto di sé, dalla scomparsa del proprio esserci e sfocia nell’essere senza attribuzione.
Nella condizione d’essere, nella pienezza della neutralità affiorano le molte declinazioni dell’amore: l’accoglienza, la gratuità, la semplicità, la giocosità, la compassione, l’unitarietà di visione.
Questo affiorare non è frutto della volontà, non c’è un soggetto che può dire: “Voglio amare!”.
Sorge come un vento e non risponde ad alcuno della sua direzione.
L’amore è, non diviene, non conosce il tempo né le leggi della mente.
Lo si incontra lì, un passo oltre il proprio esserci, oltre la declinazione di sé.
Nell’assenza della propria presenza, nella marginalità del proprio nome, nell’irrilevanza del proprio punto di vista, oltre le emozioni, oltre i pensieri.
L’amore non è un’emozione, non è il pensiero sull’amore, è l’essere che canta l’Essere, non altro.

Immagine da: http://goo.gl/ERfU7Q


Un giorno nuovo

Coloro che vivono una malattia che mina le basi della loro esistenza sanno che cos’è un giorno nuovo.
Noi sembra che non lo sappiamo, mi verrebbe da dire che lo abbiamo dimenticato ma è un’espressione inappropriata: non lo abbiamo ancora imparato, scoperto.
Vivendo noi non nella vita ma nel racconto di essa, molte cose non abbiamo ancora sperimentato.
Il giorno nuovo che viene non è una opportunità, una possibilità: finchè è questo, sono io il centro dell’accadere e quel giorno mi porta qualcosa che mi renderà diverso.
Questo modo di guardare alla vita ha senso fino ad un certo punto del nostro cammino, in seguito altro si presenta: il giorno che viene è un accadere, un fatto.
Come tutti i fatti non è per me, né per te: accade e può essere usato per i fini del proprio processo esistenziale, ma può anche essere solo contemplato.
Contemplarlo significa lasciarlo lì, non ricondurlo a sé, liberarlo di tutto ciò che la mente può aggiungervi:
un giorno nuovo è un giorno nuovo.

Immagine tratta da:http://www.linkiesta.it/donne-festa


 

L’esperienza della poesia coi ragazzi a scuola

C’è un momento in classe in cui i ragazzi rispondono in un certo modo, un modo inaspettato e inesplorato.
Succede quando, con davvero poco, li porti all’interno di sé, basta un respiro a volte.
E’ quello che mi è successo sempre come insegnante, toccare con mano la differenza tra il far lezione e lo stare invece insieme a rendere palpabile qualcosa di semplice e speciale.
E’ successo anche stamattina, in una prima media, dove abbiamo sperimentato un primo approccio alla poesia.
Abbiamo iniziato con alcuni minuti di silenzio scandito dal respiro, seduti correttamente sulla stessa seggiola dove di solito stanno stravaccati.
Era la prima volta. Hanno collaborato, nessuno ha riso o si è mosso.
Subito dopo hanno osservato come l’ambiente fosse impregnato di silenzio e di calma.
A metà lezione l’esperienza si è ripetuta per ritrovare il giusto ritmo tra il fare e lo stare.
Così i ragazzi hanno definito il silenzio:
calma
pace
tranquillità
vuoto
concentrazione
positività
libertà
respiro.
Il silenzio è innocuo,
sereno,
prezioso,
libera la mente.
Dopo aver letto il seguente Haiku abbiamo provato insieme a trasporlo

Vedendo la luna                                                    Osservando la luna
riflessa sul mare                                                   rispecchiata sul mare
dalla sacra montagna                                           dall’alta collina
le isole sembrano buchi                                      gli scogli sembrano ombre
in una distesa di ghiaccio                                   sopra una distesa argentata.
Saigyo                                                                                                 I ragazzi

Abbiamo poi provato con l’esperienza che i ragazzi avevano della luna, e dalla frase di uno di loro è stato elaborato insieme il seguente testo:

Tuffandomi nel mare
di sera
ho notato 
onde di luna
cavalcare l’acqua

E’ stato solo un primo approccio, ma significativo, su come sia possibile portare i ragazzi a porre l’attenzione su cose semplici che possono, però, diventare straordinarie: basta saper creare il giusto clima per insegnare a guardarle e scoprire parole adatte per raccontarle.

Immagine tratta da: http://goo.gl/d6d830


 

Vivere ciò che fonda un’esistenza

Abbiamo camminato a lungo ieri con P. discutendo di tutto ciò che fonda e conferisce senso ad un’esistenza.
E’ piovuto molto in questi giorni, la strada è piena di pozzanghere e in qualche punto è sceso del fango dai campi.
I nostri passi scorrevano tra i campi di grano verde intenso e le querce ancora spoglie che bordano le strade.
Vivo queste scene da venti anni, sempre c’è stato qualcuno con cui camminare, sempre si è potuto parlare, o tacere, della vita e del modo di viverla senza essere racchiusi in uno scafandro, o immedesimati in una commedia.
Qui, nell’eremo, lontani esistenze dal mondo, i gesti e le parole, gli incontri e i passi respirano ciò che non subisce l’usura del tempo, non viene rosicchiato dai tarli, non ammuffisce, non è divorato dall’ingordigia delle menti.
Non è merito nostro, è accaduto e continua ad accadere grazie a coloro che, spinti da una domanda, vengono e permettono che la vita senza condizionamento accada.

Immagine tratta da: http://goo.gl/9n7RRA


 

Fare spazio dentro di sé

Semplicemente osservando l’affollamento di emozioni e pensieri.
Basta osservare? No, se c’è identificazione con il contenuto dell’affollamento non succede niente.
E’ necessario aver compreso che le emozioni e i pensieri sono vento che va, non sono né noi, né la nostra esistenza.
Se si ritiene di essere quel pensiero, quello persiste; se ci riscalda quella emozione, quella permane.
Per fare spazio dentro di sé è necessario essere abbastanza stanchi di sé, perlomeno di quel sé che in modo piacevole o spiacevole occupa tutto lo spazio.
E’ facile stancarsi delle proprie pesantezze, ma delle cose piacevoli non ci si stanca e qui cade l’asino: bisogna lasciare andare tutto, senza distinzione.
Lasciar andare significa, osservare, essere consapevoli, non curarsi del vento che va, di ciò che attraversa i corpi dell’essere.
Da questo “non curarsi” sorge lo spazio, silenzi tra parola e parola, emozione ed emozione, azione ed azione.
Silenzi, spazi, stare non condizionato.

L’immagine è tratta da: http://www.panoramio.com/photo/70519925


 

La via del perdere

Per sua natura la mente/identità edifica situazioni, elabora arabeschi di pensiero ed emozione e vi aderisce.
Per sua natura il sentire sperimenta la realtà e la contempla.
Là dove l’identità crea e vede complessità, il sentire coglie l’essenziale.
La mente aggiunge, il sentire toglie.
Il Sentiero è la via del perdere e lascia affiorare ciò che la mente/identità seppellisce sotto il suo bisogno di esserci.
Vivere è il gesto del togliere, del divenire consapevoli dell’inutile che vela l’essenziale.
Conoscere se stessi è aprire gli occhi sui meccanismi di velamento e svelamento.
Contemplare è risiedere nell’essenziale, in ciò che è.
Una mente che ama nutrire se stessa troverà l’ambiente del Sentiero un luogo arido e inospitale.

Immagine tratta da: http://www.testesso.com/2010/08/13/lasciar-andare/

Che cosa è la contemplazione, Thomas Merton

Pubblichiamo il primo capitolo del libro di Thomas Merton “Semi di contemplazione”, Garzanti. Sebbene il linguaggio e i riferimenti simbolici siano piuttosto lontani dai nostri, l’esperienza di cui Merton parla è la stessa: la contemplazione è sguardo radicalmente nuovo sulla realtà non condizionato dall’identità. Il lettore che fosse interessato alla nostra visione può leggere questo breve testo.
Formato A4 per la stampa
La contemplazione è l’espressione più alta della vita intellettuale e spirituale dell’uomo. È quella vita stessa, pienamente cosciente, pienamente attiva, pienamente consapevole di essere vita. È prodigio spirituale. È timore riverente, spontaneo, di fronte al carattere sacro della vita, dell’essere. È gratitudine per il dono della vita, della consapevolezza, dell’essere. È chiaro intendimento che la vita e l’essere, in noi, derivano da una Fonte invisibile, trascendente e infinitamente ricca.
La contemplazione è soprattutto consapevolezza della realtà di questa Fonte. Essa conosce questa Fonte in modo oscuro, inesplicabile, ma con una certezza che trascende sia la ragione, sia la semplice fede.
La contemplazione infatti è un genere di visione spirituale alla quale aspirano, per la loro stessa natura, la ragione e la fede, poiché senza di essa sono destinate a restare sempre incomplete. Tuttavia la contemplazione non è visione, perché vede «senza vedere» e conosce «senza conoscere». È fede che penetra più in profondità, conoscenza troppo profonda per poter essere afferrata in immagini, in parole, o anche in concetti chiari. Essa può venire suggerita da parole, da simboli; ma nel momento stesso in cui tenta di descrivere ciò che conosce, la mente contemplativa ritratta ciò che ha detto e nega ciò che ha affermato. Perché nella contemplazione noi conosciamo, per mezzo della «non conoscenza», o meglio conosciamo al di là di ogni conoscenza o «non conoscenza».
La poesia, la musica e l’arte hanno qualcosa in comune con l’esperienza contemplativa. Ma la contemplazione va oltre l’intuizione estetica, l’arte e la poesia. Anzi, va anche oltre la filosofia e la teologia speculativa. Essa le riassume, le trascende e le completa tutte, eppure, nel medesimo tempo, sembra in un certo senso, soppiantarle e negarle tutte.
La contemplazione va sempre oltre la nostra conoscenza, i nostri lumi, oltre ogni sistema, ogni spiegazione, ogni discorso, ogni dialogo, oltre il nostro stesso essere.
Per entrare nel regno della contemplazione è necessario, in un certo senso, morire; ma questa morte è, in realtà, l’accesso a una vita più alta. E un morire per vivere; un morire che lascia dietro di sé tutto ciò che conosciamo e che teniamo in gran conto, come il vivere, il pensare, l’esperimentare, il gioire, l’essere.
E così la contemplazione sembra soppiantare e scartare ogni altra forma di intuizione e di esperienza, sia nell’arte, sia nella filosofia, nella teologia, nella liturgia, sia anche nella fede e nell’amore a livello ordinario. Questo ripudio, però, non è che apparente.
La contemplazione è e dev’essere compatibile con tutte queste cose poiché ne è il compimento più alto. Ma, nell’esperienza effettiva della contemplazione, tutte le altre esperienze vengono momentaneamente perdute. Esse «muoiono», per rinascere ad un livello di vita più elevato.
In altre parole, la contemplazione si estende dovunque fino alla conoscenza e persino all’esperienza del Dio trascendente e inesprimibile. Essa. conosce Dio quasi venisse a contatto con Lui. O meglio, Lo conosce come se avesse ricevuto il Suo tocco invisibile… il tocco di Colui che non ha mani, ma che è pura Realtà ed è la fonte di tutto ciò che è reale!
Perciò la contemplazione è dono improvviso di consapevolezza, è un risveglio al Reale entro tutto ciò che è reale. È un prender viva coscienza dell’Essere infinito che sta alla radice del nostro essere limitato. Una consapevolezza della nostra realtà contingente come. ricevuta, come dono di Dio, come un gratuito dono d’amore.
Proprio questo è quel contatto vitale di cui parliamo quando usiamo la metafora «toccato da Dio».
La contemplazione è pure risposta a un appello: un appello di Colui che non ha voce, ma che tuttavia parla in ogni cosa che esiste e che, soprattutto, parla nel profondo del nostro essere, poiché noi stessi siamo Sue parole. Siamo parole intese a corrisponderGli, a risponderGli, ad echeggiarLo e anche, in un certo modo, a contenerLo e a manifestarLo.
La contemplazione è questa eco. È una profonda risonanza nel nucleo più intimo del nostro spirito, dove la nostra stessa vita perde la sua voce individuale per vibrare della maestà e della misericordia del Nascosto e del Vivente. Egli risponde a Se stesso in noi, e questa risposta è vita divina, è potenza creatrice divina che rinnova ogni cosa. E noi diventiamo Sua eco, Sua risposta.
È come se, creandoci, Dio avesse posto una domanda; e, ridestandoci alla contemplazione, Egli rispondesse a questa domanda. Così l’anima contemplativa è al tempo stesso domanda e risposta.
La vita contemplativa implica due gradi di consapevolezza: primo, consapevolezza della domanda; secondo, consapevolezza della risposta. Benché questi due gradi siano distinti e immensamente diversi tra loro, pure sono coscienza di un’identica realtà.
La domanda è, essa stessa, la risposta. E noi siamo ambedue le cose. Ma non possiamo saperlo finché non ci siamo portati al grado superiore; ci ridestiamo non per trovare una risposta nettamente diversa dalla domanda, ma per renderci conto che la domanda è risposta a se stessa. E tutto ciò si riassume in un’unica consapevolezza: non un’affermazione, ma una esperienza: «Io sono».
La contemplazione di cui sto parlando non è filosofica. Non è la conoscenza statica di essenze metafisiche percepite come oggetti spirituali, immutabili ed eterni. Non è la contemplazione di idee astratte. È la percezione religiosa di Dio, attraverso la nostra vita in Dio, o attraverso la nostra condizione di figli di Dio, come dice il Nuovo Testamento. «Poiché coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio… lo Spirito stesso rende testimonianza al nostro stesso spirito che noi siamo figli di Dio».
«Ma a quanti Lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio…».
E così la contemplazione di cui parlo è un dono religioso e trascendente. Non è qualche cosa che possiamo raggiungere da soli mediante uno sforzo intellettuale o perfezionando i nostri poteri naturali. Non è una forma di autoipnosi che scaturisce dal concentrarsi sul nostro intimo essere spirituale. Non è frutto dei nostri sforzi. È dono di Dio che, nella sua misericordia, completa in noi l’opera nascosta e misteriosa della creazione, illuminando le nostre menti e i nostri cuori, destando in noi la consapevolezza che siamo parole dette nel Suo Unico Verbo, e che lo Spirito Creatore (Creator Spiritus) abita in noi e noi in Lui; che noi siamo «in Cristo» e che Cristo vive in noi; che la vita naturale in noi è stata completata, elevata, trasformata e portata a compimento in Cristo per mezzo dello Spirito Santo.
La contemplazione è consapevolezza, è coscienza e, in un certo senso, esperienza di ciò che ogni cristiano oscuramente crede: «Ora non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me». Perciò la contemplazione è qualcosa di più che una semplice considerazione di verità astratte che riguardano Dio, è qualcosa di più della meditazione affettiva sulle cose che crediamo. È un risveglio, un’illuminazione, è comprensione meravigliosamente intuitiva, per mezzo della quale l’amore acquista la certezza dell’intervento creativo e dinamico di Dio nella nostra vita quotidiana.
La contemplazione quindi non «scopre» soltanto un’idea chiara di Dio, per confinarlo entro i limiti di questa idea e trattenervelo come un prigioniero al quale essa può sempre tornare. Al contrario, la contemplazione è da Dio trasportata nel Suo regno, nel Suo mistero, nella Sua libertà. È una conoscenza pura, verginale, povera di concetti, più povera ancora di ragionamenti ma capace, proprio in virtù della sua povertà e della sua purezza, di seguire il Verbo «ovunque Egli vada».

L’immagine è tratta dal sito dell’associazione italiana Thomas Merton

La meditazione e la contemplazione come pratiche quotidiane

Nei due appuntamenti mensili del Sentiero contemplativo
-Gruppo del sabato
-Pratica del Sentiero contemplativo
viene proposta la pratica della meditazione nell’ottica propria del Sentiero contemplativo: consapevolezza simultanea delle sensazioni, emozioni, pensieri e sentire di coscienza; questa consapevolezza genera la percezione unitaria di sé, dell’altro, dell’ambiente conducendo al superamento del diaframma che separa la persona dalla realtà e che è all’origine della frustrazione e della mancanza di senso.
Dalla consapevolezza unitaria sorge come frutto la contemplazione della realtà, quel processo dove il soggetto scompare e lascia spazio al semplice essere.
Questi incontri si rivolgono alle persone che provengono dalle zone di Pesaro, Fano, Marotta, Senigallia, Ancona; appuntamenti più lunghi che durano diversi giorni si svolgono al monastero camaldolese di Fonte Avellana (PU) e a questi partecipano persone che provengono da diverse parti del paese e in particolare da Milano, da Siena, da Arezzo, da Como.
Le esperienze di meditazione e contemplazione si svolgono all’Eremo dal silenzio, a San Costanzo, a 15 chilometri da Fano e da Senigallia.