Fermarsi e tacere

Il sabato molti non lavorano, la domenica quasi nessuno. Se non ci sono necessità urgenti, possono essere due giorni di raccoglimento, di gesti misurati e di poche parole.
Di ridotta frequentazione, di tempo per stare in solitudine: osservando, ascoltando, tacendo.
Affrontare la giornata sentendosi compenetrati da un silenzio che ci attraversa e ci pervade: il silenzio di noi, dei nostri bisogni, dei nostri lamenti.

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Certo di Te

In qualunque posto Tu risieda,
dovunque Tu sia,
qualunque cielo Tu possa occupare,
qualunque dimensione Ti appartenga,
io a Te dedico la mia gioia,
io a Te dedico la mia allegria,
io a Te dedico le mie passioni,
io a Te dedico i miei desideri,
io a Te dedico la mia sofferenza,

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Finire in pace

Scrive una lettrice che qui chiameremo Ina:
“Anni fa ho avuto la sensazione netta della chiamata, una forza irresistibile che mi ha dirottata dalla vita solita, ho frequentato gruppi spirituali, fatto ritiri. […] col tempo ho lasciato i gruppi […] non c’è più nessuno con cui rapportarmi […] andrebbe bene anche così se ogni tanto non pensassi (come dici tu) di essermi persa […] vuoto..quello sì, la chiamata non la sento più, sono tornata a una realtà insipida […] non ho una pratica spirituale, meno che mai ne vedo il senso, i miei compagni di pratica sono i canti dei merli, i cespuglietti d’erba […] potrei dire che vivo di questo e in questo trovo gioia […] le paure […] mi hanno lasciata da lungo tempo […] ci sono per tutti ma così lontana da tutti […] è un po’ quello che ho sempre desiderato, l’eremitaggio.. e ora ci sono per davvero nell’eremo, rabbrividisco solo al pensiero di tornare in un gruppo di pratica, non amo i ritiri e le letture si sono ridotte..non c’è più ricerca […] È qui che si arriva? Distacco dal mondo, isolamento? Sì, c’è pace….e poi

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L’obbedienza profonda

C’è un momento in cui la vita chiama e la risposta giunge senza esitazione, senza riflessione, senza discernimento alcuno: semplicemente accade d’obbedire, sorge nell’intimo un sì come moto di pura gratuità.
Per qualunque ragione chiami la vita, in qualsiasi ambito, la reazione è pronta: il soggetto, libero dall’ingombro di se stesso, dei propri bisogni, aspettative e giudizi, non discute, non pone condizioni, non sottolinea la propria disponibilità, è semplicemente pronto.
La chiamata della vita è occasione per il sì incondizionato, come per la freccia la volontà dell’arciere.
Non essendoci alcun fondo di resistenza, alcuna pigrizia, alcuna indolenza, obbedire è facile.

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Quando vediamo l’altro

In assenza di mente l’altro compare, solo allora lo vediamo per quello che è.
Prima, in presenza di mente, non abbiamo visto lui, ma il nostro racconto su di lui.
Quando la mente tace, l’altro compare e noi non possiamo dire di conoscerlo allora, perché quella è una pretesa della mente: in assenza di mente non c’è conoscere o non conoscere, c’è solo la realtà.

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Ciò che accade e niente altro

Una cosa alla volta accade e una cosa alla volta riconosciamo come la nostra vita.
Quell’accadere è il determinante: ciò che insegna, ciò che è.
Ogni fatto ci insegna, ci cambia e, anche se a noi non sembra, ci rende migliori.
Ogni fatto accade e, da un punto di vista più ampio di quello appena descritto, è quel che è, accadere senza tempo e senza senso, pura gratuità.
Ogni fatto lo riconosciamo e ci disponiamo ad imparare fino in fondo la lezione che porta.

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Imparare e contemplare

Imparare e contemplare sono due livelli differenti di esperienza: il primo apre la porta al secondo.
Imparare significa essere disposti a vivere ciò che viene, a sviluppare ed alimentare conoscenza, consapevolezza, comprensione.
Il vivere, lo sperimentare produce senza sosta l’acquisizione di tasselli di comprensione, di atomi di sentire: il processo dell’imparare non ha fine ed ogni passo amplia il sentire e struttura la comprensione propria del corpo della coscienza.
Mentre questo accade, nel ventre dell’accadere se la persona ha la giusta disposizione ed è sorretta dalle comprensioni necessarie, si può aprire la porta ad uno sperimentare nuovo e più profondo: l’azione che insegna nella sua profondità diviene l’azione che è.

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Un gesto, una vita

Se tutto inizia e finisce in un gesto?
Può essere il semplice sbucciare un’arancia l’alfa e l’omega?
Può il semplice camminare saturare di senso il presente?
Può la vita essere semplice fatto, priva di un soggetto che immagini di generarla con la propria volontà?
Può l’esperienza del presente essere tanto vasta da non poter essere contenuta dalla comprensione?

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