Allinearsi al sentire

Come sapete, l’umano non manifesta nel corso dell’incarnazione il sentire effettivamente conseguito, ma solo una porzione di esso, quella necessaria a sostenere le esperienze che deve affrontare.
Allinearsi al sentire significa essere in connessione con il realmente compreso, con il sentire che costituisce e struttura il corpo della coscienza aldilà delle contingenze della incarnazione corrente.
L’allineamento al sentire è possibile con un basso tasso di identificazione: questa è la prima condizione.

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Il tentativo di piegare l’altro a sé

Il tentativo di piegare l’altro a sé: le varie forme di seduzione operano questo. Molta parte del sistema educativo e della stessa formazione spirituale e religiosa, manipola l’altro con l’intento di condurlo nel nostro mondo, là dove siamo a nostro agio e riteniamo sia giusto essere per noi e magari anche per l’altro. Perché, di certo, dove siamo noi è giusto essere.
Accade nel rapporto di coppia, nella relazione con i figli: direi che accade sempre fino a quando non abbiamo compreso la sottigliezza del meccanismo, i suoi mille travestimenti, la natura profonda del nostro condizionamento che riverberiamo sull’altro.

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La vita assorbita nella contemplazione dell’Assoluto

Come nella storia, ciascuno di noi tocca una parte dell’elefante e dice: “L’elefante è questo!”
Nella realtà, nessuno di noi conosce niente altro che particolari, aspetti dell’elefante /Assoluto.
E’ conoscibile l’Assoluto all’umano? Apparentemente no, per la semplice ragione che solo il sentire assoluto conosce se stesso, il sentire relativo conoscerà i gradi che gli sono accessibili data l’ampiezza delle comprensioni conseguite. Ma la questione non è così semplicemente risolvibile.
Il sentire relativo è tale finché non sente l’unione assoluta. Non finché è immerso nel tempo, perché una volta uscito dalla dimensione del divenire e del tempo, quel sentire sarà ancora relativo.

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L’inesistenza del soggetto e l’Assoluto come unica realtà

Pone alcune questioni rilevanti Massimo nel suo commento al post Gradi sentire e libero arbitrio: Supponiamo che il grado 90 sia sufficientemente caratterizzato da altruismo e da una ampia consapevolezza. La navigazione attraverso queste più ampie possibilità, nel percorso che porta al grado 91, è semplicemente meno prevedibile (nel senso che ci sono, per struttura, più percorsi possibili) e quindi sembra più autonoma ma ugualmente “non liberamente scelta”, oppure vi è veramente una libera scelta (1) all’interno delle possibilità disponibili? (5) La generazione di karma è veramente evitabile sulla base di una “nostra” scelta nell’agire?

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Samadhi e unione: tutto è relativo e tutti imparano

Si legge che maestri o yogi sperimentano nel cosiddetto “samadhi” lo stato di coscienza cosmica: è vero? e come accade?
I vari livelli di sentire che si raggiungono solo quando si ha l’evoluzione necessaria – e che possono saltuariamente essere sperimentati mediante una disciplina che ponga la mente in stato di quiete e lo stesso corpo astrale in stato di equilibrio – sono così belli a sentirsi, a sperimentarsi, danno una tale benedizione che sono scambiati dal soggetto che li sperimenta per lo stato massimo di coscienza cosmica, mentre così non è.

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Lasciare che ognuno impari dalla propria condizione

Il Papa ha dato voce a quell’interrogativo sul silenzio di Dio che aveva tenuto nel cuore durante la visita di questa mattina ad Auschwitz-Birkenau. “Dov’è Dio? Dov’è Dio se nel mondo c’è il male, se ci sono uomini affamati, assetati, senzatetto, profughi, rifugiati? Dov’è Dio, quando persone innocenti muoiono a causa della violenza, del terrorismo, delle guerre? Dov’è Dio, quando malattie spietate rompono legami di vita e di affetto? O quando i bambini vengono sfruttati, umiliati, e anch’essi soffrono a causa di gravi patologie? Dov’è Dio, di fronte all’inquietudine dei dubbiosi e degli afflitti dell’anima?”, ha detto papa Bergoglio dopo aver letto il versetto del Vangelo di Matteo in cui Gesù dice: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.

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Il mito di “ciò che già siamo” e del ritorno all’origine

Pare che l’umano disponga di una natura originaria, di una condizione che gli appartiene ma che non conosce perché immerso nell’illusione e nell’ignoranza.
Vivere sarebbe liberare quella natura dal condizionamento e portarla a manifestazione: l’illuminazione sarebbe l’affermazione dello stato originario, non contaminato e non condizionato.
Come sempre, possiamo guardare alla questione dal punto di vista del divenire e da quello dell’essere, qui mi occuperò del primo.
Nell’ottica del divenire esiste un essere umano portatore di un nome, di una identità: quella identità non è un corpo, ma è la risultante della relazione tra i corpi costitutivi dell’umano, il corpo della coscienza e i suoi tre veicoli transitori (mentale, astrale, fisico).

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Sacro è ogni accadere

Quando questa consapevolezza ci pervade, il nostro peregrinare umano è terminato.
L’esperienza della sacralità è l’evidenza dell’unità che si fa sensazione, emozione, cognizione, sentire simultanei.
Una e indivisibile è la Realtà e mai due è divenuta.
Non c’è esperienza possibile della sacralità nell’identificazione con i fatti del divenire: l’Essere è la casa del sacro e lì anche la polvere sui mobili testimonia l’unità di ciò che è.

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Il desiderio di libertà interiore

Se non avessimo un sano e radicato desiderio di libertà interiore, cosa ci sospingerebbe avanti, ci indurrebbe a ricercare, a metterci in discussione e a voler andare oltre noi stessi?
Molte possono essere le ragioni per desiderare la libertà interiore, qui ne indagherò una sola, l’ultima: la comprensione che fino a quando permane l’ingombro della propria egoità, la libertà è sempre condizionata.
L’immagine di sé e l’identificazione con essa, non si spazza via come le foglie dal marciapiede, è un processo fondato sulla conoscenza, sulla consapevolezza, sulla comprensione.

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