caino

Parigi: il cammino di Caino e di Abele

Dice un’amica: “ Ieri sera, vedendo quelle immagini di Parigi, il mio pensiero è andato ai “carnefici” a chi erano e al fatto che pur di dare la morte sono andati incontro alla loro morte; in quale ambiente sono cresciuti e condizionati, chi e cosa li ha convinti ad agire così, erano tutti giovani..”.
Il mito pone il gesto di sopraffazione di Caino su suo fratello Abele, all’inizio della storia dell’umanità a ricordarci che il gesto dell’uccidere non è un accidente, ma un passo di un lungo cammino.

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la vita è un film

Tutta la realtà è una proiezione della coscienza

Qui trovate un compendio dell’escatologia cristiana: a noi sembra che, non avendo l’autore dell’omelia altro paradigma che quello della propria fede, mostri una difficoltà nel scendere nella profondità del simbolo che le stesse scritture a lui sacre gli aprono.
Tutta la realtà è simbolo e tutta parla dei processi dell’interiore: personali, individuali, collettivi.

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Si muove la foglia, non la terra

La quiete di sé, di quel bisogno d’esserci, si accompagna con il silenzio profondo della mente; alcune volte, quando la sollecitazione dell’ambiente si fa pressante, la mente si alza e si agita per tornare a posarsi poco più in là: si muove la foglia, ma non la terra.

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La forma e la sostanza della vita

Continuo ad approfondire il tema del “Vivere fino in fondo”.
Ho più volte detto che l’umano confonde il vivere fino in fondo con l’identificazione con i pensieri, le emozioni, le azioni.
Commette qui lo stesso errore di quando si alimenta: cerca e compra cibi più per la loro forma che per la loro sostanza.
Direte che non è vero, che siamo attenti alla sostanza. A quale?

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amore

Sull’amore che tutto è

Continua la riflessione iniziata nel post precedente.
Molto si parla dell’amore, ma a noi non interessa parlarne, ci interessa trasmetterne l’esperienza ed offrire gli strumenti per conoscerlo e sperimentarlo nelle proprie esistenze.

  • Fornire gli strumenti

Non c’è albero che non produca frutto, non c’è persona che non possa vivere l’amore.
A volte l’albero è ammalato; a volte non piove o piove troppo; a volte non è curato a dovere e allora i frutti sono pochi, ammalati e soggetti a non conservarsi.
Il nostro compito, se abbiamo un compito nella nostra insignificanza, non è offrire frutti, ma mettere a disposizione di chi quei frutti desidera, le possibilità e gli strumenti per la conoscenza, la consapevolezza, la comprensione che da soli condurranno al frutto desiderato.
Non è compito nostro distribuire l’acqua, ma insegnare semmai ad aprire il rubinetto.
Questa è la ragione per cui poco parliamo dei frutti e molto della cura dell’albero.

  • Trasmettere l’esperienza dell’amore

Si può fare in molti modi, quello da noi scelto è il modo da persona a persona, della testimonianza più passiva che attiva, del viverlo e del coprirlo con il velo della discrezione.
In quanti modi potrei declinare l’esperienza dall’amore che ci attraversa? In molti, e potrei declinare l’esperienza parlando di meraviglia, di gioia, di senso incontenibile e senza confine. Ma non andrò oltre, questa è una sfera privata e tale deve rimanere.
Ma, come dicevo, l’esperienza dell’amore si può trasmettere da persona a persona: accade durante gli individuali, durante i gruppi, durante gli intensivi.
Pervade l’ambiente e lo rende saturo del suo essere tutto ciò che è e che c’è.
Possiamo fare l’esperienza dell’amore conoscendo ciò che in noi ci separa da esso, ce lo vela e ce lo nasconde.
Possiamo farla incontrando qualcuno che quella realtà vive nella sua ferialità, qualcuno per cui è norma, quotidiano integrato e ordinario.
Possiamo anche incontrare l’amore nelle parole, anche in quelle del web, o di un libro: è naturale, esse fanno risuonare qualcosa  che in noi già c’è, che ci appartiene ma non è così evidente e lo diventa quando viene risvegliato.
Noi abbiamo fatto la duplice scelta:
– dell’offrire alcuni strumenti per aprire il rubinetto dell’acqua da sé;
– dell’offrire una testimonianza silente di ciò che vive in noi come amore compreso, lasciando che si manifesti come fatto nella relazione, nella presenza, nella vicinanza.

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karma

Karma, possibilità, compassione

Come occidentali, siamo cresciuti nell’humus cristiano intriso del concetto di colpa e di punizione.
Più o meno inconsciamente, associamo il karma alla punizione e non abbiamo ancora sviluppato né una cultura del karma, né quella di una vita che mai è da vittime meritevoli di essere punite.
E’ ancora acerbo il paradigma delle possibilità: la vita come possibilità di comprensione senza fine; il karma come la legge che governa il cosmo e che apre possibilità di esperienze finalizzate al comprendere.
Siamo ancora lontani da questo e dovremo sviluppare una riflessione più approfondita sulla legge di causa ed effetto: da chi è generata la causa?
Dalle necessità di comprensione della coscienza, che genera le situazioni d’esistenza in relazione al compreso e al non compreso.
Qual’è il fine dell’effetto? Offrire ulteriori scene d’esperienza per permettere il realizzarsi delle comprensioni avviate dalla coscienza.
E’ chiaro che tra causa ed effetto esiste il nesso della responsabilità: “sono responsabile del cammino di comprensione, delle sue dinamiche, del suo svolgersi, del suo evolversi all’interno della dinamica causa-suo effetto”.
Quand’è che sono responsabile, quando si attiva la legge di causa-effetto?
In tutti i casi, o solo quando sono consapevole delle possibilità, quando opero A ma potrei anche operare B?
Solo quando in me esiste la possibilità consapevole di una scelta, ovvero quando le comprensioni acquisite mi offrono la possibilità di più alternative.
Se non ho comprensioni tali da avere alternative, scelte possibili, il mio agire non attiva la legge di causa ed effetto.
Quindi il karma si attiva quando, ad esempio, scelgo B pur avendo la possibilità di scegliere A: se ho scelto B, evidentemente in me c’è ancora una comprensione non giunta a pieno completamento, avendo io anche la possibilità di comprendere A; ecco allora che l’intervento del karma mi offre la possibilità di approfondire, di fare altre esperienze finché la comprensione non sarà completa.
Cosa questo significhi nelle nostre vite, credo che ciascuno di noi lo sappia molto bene: il karma ci induce alla responsabilità, all’accoglienza dei nostri percorsi esistenziali, alla compassione sul nostro e altrui procedere.

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Immagine da https://goo.gl/4iMZMa

contemplazione

Evolve chi?

Prendo lo spunto da questo bel post di U. Ridi.
Ad una percezione ordinaria, sembra che tutto sia conseguenza di qualcosa e dia origine a qualcos’altro.
Sembra che il divenire del tempo, delle condizioni ambientali, sociali, esistenziali, sia la norma.
Questa sembra essere la realtà, ma lo è? E’ reale questa percezione, o è un’illusione?
Come appare la realtà dall’interno dell’esperienza contemplativa dove la presenza del soggetto si stempera fino a scomparire?
Appare come accadere di fatti.
Fatti che non si susseguono, ma che sono.
Fatti senza tempo e senza qualità.
Fatti senza scopo.
C’è una dimensione d’esistere e d’essere che poco ha a che fare con il divenire, molto con l’assenza di sé, l’irrilevanza, l’essere senza connotazione.
Conduce questa esperienza ad un alienazione dal reale? Viene meno il nostro compito incarnativo, l’imparare sporcandosi le mani? Diveniamo come funghi, infine?
Domande ascoltate mille volte, proprie delle menti che non riescono a concepire la realtà che per opposti: o l’incarnazione, o la contemplazione!
Poveri noi.

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maestro discepolo

L’insegnante e l’allievo

Tutti noi procediamo sulla base di ciò che ci piace o non ci piace; scegliamo le situazioni a partire da un moto di simpatia, di attrazione, di risonanza.
Tendiamo ad escludere ciò che non ci coinvolge e avvertiamo come lontano o faticoso.
E’ giusto questo procedere? Non lo so; personalmente mi sono confrontato deliberatamente molte volte con ciò che non mi suscitava particolare simpatia e sempre ne ho tratto grande insegnamento. In anni lontani, avendo necessità di comprendere come funzionava il mondo interiore di un cristiano, mi sono dedicato per anni alla pratica della preghiera e alla frequentazione e allo studio dei vangeli e del pensiero esegetico e teologico su di essi.
Non avevo attrazione per quel mondo ma, esistendo ed essendo parte del mio piccolo universo, ho desiderato conoscerlo, divenirne consapevole, comprenderlo.
Era lontano, ed io ero pieno di pregiudizi: alla fine del processo credo di aver compreso quel paradigma interiore, certamente ho superato i pregiudizi e, per quel che è possibile al mio sentire, ritengo di averlo compreso.
Al di là della mia esperienza personale, credo che sia nelle cose il discernimento operato sulla base dei moti di simpatia/antipatia: così opera normalmente l’allievo, colui o colei che si trova nella condizione di dire un si o un no ad un insegnamento, ad una via interiore.
E’ un atteggiamento parziale e limitato che non ci permette di accedere alla realtà delle cose, ma è un fatto che accade nella ferialità delle nostre vite e come tale lo prendo.
L’ottica nella quale si muove un insegnante è molto diversa, non gli è permesso di essere in balia di simpatia/antipatia, deve andare oltre, deve leggere la realtà con gli occhi della compassione che conosce quella antinomia e la supera.
Non solo: un insegnante (altri forse userebbero il termine maestro, ma a me non piace e condivido il monito di Gesù) si muove in una visione unitaria e ciò che dice, propone, insegna avviene come conseguenza di una profonda integrazione degli opposti e sulla base di un tentativo di superamento radicale di quello che è il suo limitato sentire.
Un insegnante cerca la verità dell’essere delle cose, la coglie inevitabilmente con il suo limitato sentire, la lascia decantare per depurarla di ogni aspetto personale e infine, quando avverte un sufficiente grado di neutralità e di verità, la propone.
Il risultato sarà dunque una verità? Non diciamo sciocchezze: sarà la verità parziale a lui/lei accessibile su quel fatto, in quel tempo, a partire dal sentire acquisito e conseguenza del processo descritto.
Quindi sia la verità dell’allievo che quella dell’insegnate sono relative e frutto di un discernimento assolutamente personale? Si.
La differenza sta nel fatto che l’insegnante ha una responsabilità che l’allievo, forse, non ha: ciò che afferma non deve essere condizionato dal pregiudizio e dall’ignoranza, anche se, inevitabilmente , lo è dai limiti della sua comprensione.
L’insegnate ha la responsabilità di ciò che offre, di dove conduce, di come influenza, del piccolo mondo che mette a disposizione di qualcuno che di lui/lei si fida e gli si affida.
Ciò che insegna dovrebbe essere innanzitutto la sua vita, sorretto dalle mille piccole verifiche che solo il quotidiano permette, e dovrebbe essere passato dentro il vaglio della consapevolezza della propria interiore piccolezza, altrimenti chiamata umiltà.

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compassione

Vedere la realtà con gli occhi della compassione

Si può vedere e partecipare la realtà con gli occhi della mente che tutto fraziona, tutto giudica, tutto attribuisce.
Si può vedere e partecipare avvolti nel manto delle emozioni e delle affettività che tutto colorano creando trasporto e partecipazione.
Si può infine vedere e partecipare la realtà con l’ampiezza del sentire che tutto abbraccia e nulla discrimina, che tiene insieme le parti e considera il processo più che il singolo fatto, che comprende la realtà sempre in termini unitari.
All’interno del sentire, può sorgere come dono il fiore della compassione che di tutto si avvede, a tutto provvede nella discrezione, con tutto procede nella vicinanza, nella comprensione e nel sostegno, sempre un passo indietro consapevole della propria irrilevanza.
Si può insegnare la compassione? Dubito, anche se ci si può disporre, di certo si può vivere per quel che ci è dato.
Si può coltivare assieme? Si, può essere il piccolo germoglio che la coppia, la famiglia, la comunità, il gruppo di colleghi coltivano a tutte le ore, senza sforzo, semplicemente avendola presente allo sguardo.
Può un cammino come il Sentiero fare della compassione la propria essenza? Lo ha già fatto, nel momento in cui ha edificato le fondamenta del proprio procedere sul limite considerandolo il primo tra tutti gli insegnanti.

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atomi dell'assoluto

Compassione, forse

Siamo atomi d’aria nel respiro dell’Assoluto.
Ogni giorno, ad ogni ora proviamo a conoscere, divenire consapevoli, comprendere.
Piccolo o grande che sia l’asino in noi, ciò che esprimiamo è sempre e solo un tentativo, un approccio, un’approssimazione, il segno di un incedere.
Prima di aprire la bocca, dubio di quello che dirò.
Mentre compio un’azione, so che sarà limitata.
Quando mi approssimo a te, so che farò difficoltà a vederti, ad ascoltarti e, a volte, il mio accoglierti è solo maniera.
Vedo l’irrilevanza e l’irrealtà di me e mi fermo, non c’è ragione da dimostrare, qualcosa da aggiungere.
Non c’è tristezza, compassione forse.

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