C’è un velo tra noi e la realtà ed è rappresentato dalla nostra pretesa di esserci e di contare con i nostri bisogni e le nostre priorità: in una parola, di esserci con la nostra identità.
È per noi così naturale partire da quel che siamo, dal come vediamo i fatti, da quello che ci abbisogna sul piano della soddisfazione e del riconoscimento che non riusciamo a cogliere la concretezza di un’altra possibilità.
Il mondo reale è oltre il nostro orizzonte personale, lontano e ignoto; noi siamo schiantati nella pervicace ricerca ed affermazione di quel che siamo e di quel che vogliamo essere.
Essenziale
L’illusione, la centralità e la dimenticanza di sé
Un’amica mi ha chiesto qualche settimana fa di parlare dell’illusione: ho appuntato allora delle idee e poi ho aspettato per trattare il tema, volevo che parlasse anche ad altre persone allora disorientate da alcuni eventi, oggi forse più orientate.
L’illusione nasce nell’eccesso di centralità di sé
La centralità di sé è centralità del proprio punto di vista, della propria interpretazione, del proprio bisogno.
L’unità non è tra noi e l’Assoluto, è Unità e basta
Vi propongo una riflessione sulla condizione unitaria d’essere: forse vi risulterà un po’ complessa e magari anche astratta, ma vi prego di meditarla accuratamente: meditandola oltre la mente, vi dischiuderà un mondo nuovo che non parla del conosciuto, ma di un possibile sentito.
Qui viene indagata un’esperienza interna alla natura di Colui-che-è, abbandonando ogni visione antropomorfica dell’Assoluto.
La Via del monaco è un cammino per coloro che si sentono pronti per affrontare in modo consapevole il processo di unificazione interiore.
Essere e divenire, eremo e cenobio
In preparazione dell’incontro della Via del monaco del 12 maggio 2018.
Una pratica fondamentale nel Sentiero consiste nel coltivare lo sguardo simultaneo tra Essere e divenire: simultaneamente operare nel mondo e coltivare il pieno allineamento all’Essere.
Risiedere nell’Essere e sperimentare nel mondo.
Vivere la famiglia, il lavoro, le relazioni e le responsabilità e, nel contempo, abitare, incarnare l’archetipo del monaco che ci rende soli di fronte al processo di unificazione.
La Via del monaco nel quotidiano
Il respiro di un’esistenza è governato dal ritmo conoscenza/consapevolezza/comprensione; quello di ogni quotidiano della persona che aderisce alla via del monaco, dal ritmo conoscenza-consapevolezza/analisi-disconnessione/fiducia.
Conoscenza-consapevolezza
Le esperienze producono conoscenza, vengono accolte come possibilità, mai come impedimento, di qualunque natura esse siano.
Lo sguardo che contempla l’Uno: la ricerca e la fine del cercare
Commenta Alessandro al post del CI, L’illuminazione:
Ho passato tanti anni a scalpitare scavando senza fine nel terreno per fare un pozzo che arrivasse alla vena d’acqua, ma nessuno di questi era sufficientemente profondo.
Ora ho lasciato perdere tutto e bevo l’acqua delle pozzanghere.
È una agonia questa sensazione che nulla in fondo vale la pena, e nello stesso tempo non avere questa fusione di cui parlano le guide.
Non potendo uscire da questo limbo, né potendo tornare indietro, mi sento un somaro che non ha più la sua carota davanti e si carica da solo sulla groppa il suo carico sapendo che quello gli tocca.
La contemplazione, i suoi linguaggi e la loro evoluzione
“Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta!
Il tuo desiderio sia vedere Dio, il tuo timore, perderlo, il tuo dolore, non possederlo, la tua gioia sia ciò che può portarti verso di lui e vivrai in una grande pace”
Paolo mi ha condiviso questo brano di Teresa D’Avila, invitandomi a dire qualcosa sull’evoluzione dello spirito e del sentire contemplativo.
Il latte per i bambini, il pane per gli adulti
Oggi i cristiani fanno memoria del Cristo risorto, di Colui che riconoscono come Figlio di Dio anche, e soprattutto, in virtù di questo evento.
Non sanno, i cristiani – avendo fatto macerie di tutta la conoscenza antica che non fosse la loro – che non c’è umano che non risorga in un’altra dimensione di coscienza una volta che il suo veicolo fisico muore.
Essi, per credere in Dio, nell’unità indissolubile del cosmo, nella vita che sopravvive alla morte hanno bisogno di un segno eclatante, segno che a suo tempo, evidentemente, gli è stato dato a misura della miseria della loro fede, affinché aprissero gli occhi su quell’Uomo che era venuto da loro e sull’insegnamento che gli aveva consegnato.
Fratello fuoco, sorella tiepidezza
No, i due non sono fratelli, anzi, spesso si conoscono appena.
Sono fratelli nostri, non tra loro. Fratello fuoco interiore. Sorella tiepidezza che abiti la casa dell’identità che si specchia.
Il fuoco interiore non è uno slancio, è una costante imperitura, una dato costitutivo, una componente del DNA esistenziale.
La tiepidezza è figlia degli innamoramenti dell’identità, di quel suo incendiarsi e poi stemperarsi fino a scomparire e cercare di nuovo l’incendio, l’eccitazione, il senso da conferire all’esistere: lontana anni luce dal fuoco, eppure in esso si specchia e ne è pallido riflesso.
Il processo comunitario, l’isola di sentire, il superamento di sé
Leggo in questi giorni dei materiali trasmessi dal Tibetano attraverso A.A.B. In particolare, nel Discepolato nella nuova era, affronta l’argomento della formazione di gruppi che operino a sostegno dei processi di coscientizzazione e trasformazione interiori dell’umanità.
Insiste sul valore del gruppo perché lo considera il modo di procedere adatto a questo tempo, a questo nuovo tempo che dal dominio della mente condurrà progressivamente, e con verosimile lentezza, all’affermarsi delle logiche del sentire che conducono ad unire là dove le menti dividevano.