La profondità di ogni presente

Scrivo pensando alle amiche e agli amici che hanno problemi di salute, persone concrete che ho bene a mente e risiedono nel mio cuore.
Consiglio la lettura della prima parte di questo testo, sull’importanza dell’effetto placebo nelle terapie.
Le persone che hanno un problema di salute divengono, per necessità e per scelta, più riflessive e introversive: vanno a monitorare il loro stato, le possibili cause, le auspicabili soluzioni.
Si caricano la vita sulle spalle e sanno che il tempo del fuggire, del divagare, dell’inconsapevolezza, dell’onnipotenza adolescenziale è finito.

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Il limite della comunicazione cognitiva

Mi è accaduto più volte, nella mia attività, di trovarmi nella situazione in cui i miei interlocutori si sono eccessivamente focalizzati sulla dimensione cognitiva della nostra relazione, o di una questione in ballo, ed io sempre ho reagito dicendo che non era quella la via e, in seguito, mi sono ritratto dal confronto.
Questo mio comportamento ha provocato sconcerto nei miei interlocutori e, non di rado, è stato motivo di allontanamento.
Mi risulta insopportabile la predominanza della mente nella relazione: mi sento prigioniero in una stanza chiusa e e senz’aria con l’altro che parla e parla attorcigliandosi nei suoi pensieri.

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La ricerca di senso e quel che abbiamo

Scrive Alessandro nel commento al post L’abbandono di sé senza sforzo: Il gesto, l’azione radicale, svolgono su di me una certa attrattiva.
Poi mi ritrovo tutt’altro, a svolgere cioè una vita che radicale non è, dove non c’è un gesto o un’azione che risolvono tutto, ma tanti piccoli tentativi e vie di mezzo. Non vivo quell’unità nel quotidiano e mi ritrovo spesso o con la guardia alta, o a incassare un colpo perché un attimo l’ho abbassata, questo è il mondo che vivo oggi negli affari.
Una dimensione più protetta dove potermi ritirare da tutto questo dispiega su di me la sua attrattiva, il gesto radicale di un eremitaggio per un periodo di tempo per poi tornare.

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L’abbandono di sé senza sforzo

Dio o Mammona, è questa la morsa dentro cui è stretto l’umano? C’è un modo naturale e privo di sforzo volitivo per andare oltre di sé, per intraprendere il lento cammino dell’abbandono delle identificazioni, dei bisogni, dei condizionamenti e addentrarsi nel processo dell’unificazione che da sempre opera in noi, e che da un certo punto in poi diviene più pressante?
Vi riporto un passo di Enzo Bianchi tratto da questo commento al vangelo domenicale: “Vi è un altro a cui Gesù dice: “Seguimi”, ma si sente rispondere: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Richiesta legittima, fondata sul comandamento che richiede di onorare il padre e la madre (cf. Es 20,12; Dt 5,16). Gesù però chiede che, seguendo lui, si interrompa il legame con l’ordine familiare e con la religione della legge, dei doveri: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”.

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La porta dell’unificazione consapevole

Mi scrive un amico in merito al senso di lacerazione che a volte lo assale. Qualunque ne sia la causa, che può essere interna alla sfera identitaria, o può generarsi dal conflitto tra identità e coscienza o, verosimilmente, può essere relativa ad entrambe le sfere, la via per superare quella lacerazione è una:
– comprendere le non comprensioni che la generano, e queste sono sempre relative alla sfera del sentire di coscienza e riverberano nei comportamenti e negli atteggiamenti interiori che l’identità sviluppa;
– essere pienamente consapevoli che la riunificazione avviene nel lasciarsi attraversare dal fatto presente.

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Il vivere conduce all’unità

Dice Leonardo nel suo commento al Lunedì nel Sentiero: Non l’annullamento dell’io, la sua cancellazione: il suo venire meno significherebbe il venire meno del limite, ciò con cui continuamente siamo chiamati a conciliarci, in quanto porta dell’Assoluto. Piuttosto comprendere la vera natura e funzione del soggetto (del Divenire) nella sua danza con l’Essere.
Nel Sentiero non c’è la lotta, comune a tanti cammini spirituali, all’ego, all’io, all’identità: anzi, noi diciamo che una sana visione, interpretazione, manifestazione di sé è una condizione dalla quale non si può prescindere.

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“Guidati dallo Spirito”

Prendo lo spunto da questo articolo di Eugenio Scalfari apparso oggi su La Repubblica. Scalfari fa riferimento alle parole di Papa Francesco: “Lo Spirito Santo è quello che muove la Chiesa, è quello che lavora nella Chiesa, nei nostri cuori; è quello che fa di ogni cristiano una persona diversa dall’altra ma da tutti insieme fa l’unità. Dunque lo Spirito Santo è quello che porta avanti, spalanca le porte e ti invia a dare testimonianza di Gesù”.
Nella mia ignoranza, non so se i cristiani ritengano che anche noi non cristiani beneficiamo della guida dello Spirito Santo, o se è una loro prerogativa.
Provo ad immaginare che essi possano affermare che lo Spirito opera in tutti coloro che alla sua influenza si aprono.

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Speranza e fede

Chiede Paolo nella sezione Domande e risposte: Nel paradigma del Sentiero, c’è differenza fra speranza e fede?
Si può rispondere a questa domanda in veramente molti modi, ma lo farò nell’unico modo per me vero adesso: qual è la mia esperienza della speranza e della fede?
Se esiste un soggetto questo può sperare qualcosa nella vita, o per l’oltrevita.
Se esiste un soggetto, può avere fede in un Dio, può confidare, può coltivare la ricerca, l’approccio, la connessione.
Ma se non esiste soggetto? Siamo così abituati a ragionare postulando che un soggetto esista sempre ma, come spesso ci accade, teniamo conto solo di una quantità irrilevante di fattori nell’analisi di realtà complesse.

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Il necessario, ogni giorno

Qui, nel Sentiero, affermiamo che ciascuno ha ogni giorno il necessario a sé.
Questa affermazione, considerata alla luce del paradigma ordinario, è una palese idiozia.
Vista alla luce del paradigma che noi usiamo, ha un senso preciso: il povero ha la povertà a lui necessaria; il volontario, il benefattore, il donatore hanno la situazione ugualmente a loro necessaria.
Il povero si confronta con la povertà per ragioni appartenenti al suo cammino evolutivo, alla trasformazione del suo sentire, al processo di conoscenza – consapevolezza – comprensione.

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Gratuità e responsabilità

Mi appresto a scrivere questo post stimolato da una discussione nella comunità: il tema che affronto è scontato per tanti versi, ancora da indagare per altri ed è con l’intenzione di indagare che scrivo.
Quando parliamo di gratuità intendiamo l’operare mosso da una intenzione libera da ogni tornaconto personale e da ogni connotazione egoica: chi opera nella gratuità è libero da se stesso ma, il suo operare, non necessariamente è uno spargere semi al vento, quasi sempre è inserito all’interno di una progettualità e quindi ha una direzione realizzativa.

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