[…] Il saggio, per definizione, vede le cose come le vede Dio stesso perché, penetrando in sé, è immerso in Dio. Al fondo della sua contingenza, ha scoperto l’essere; al fondo della sua distinzione, l’unità indivisibile; al fondo del tempo, l’eternità stessa. Egli è passato sul piano della vita eterna, è penetrato nel regno di Dio.
Ma come spiegare meglio? E’ diventato un solo spirito con Dio. E’ affondato in Dio, il suo pensiero è affondato, il suo volere è affondato, il suo io non esiste più. E’ entrato nel suo Io divino […] Henry Le Saux, Diario spirituale, pag. 154, Mondadori.
Ciò che Henry dice è ampiamente condiviso da uno stuolo di discepoli e di maestri sparsi nel tempo.
A me mette solo disagio: perché?
Essenziale
Identità, gestione e depotenziamento
Dice Samuele nel suo commento a Raggiungere la liberazione: Essere naturale quindi inteso come non essere condizionati dalla propria identità. Però è l’identità stessa che ci permette di vivere le esperienze. Se la coscienza ha scelto una determinata identità per fare le sue esperienze ed accrescere il proprio sentire, non sembrerebbe giusto lasciare che quella identità sia libera di ingombrare la scena e fare la sua parte? Non appare coerente rinunciare o soffocare l’identità; forse è solo questione di non essere in balia della stessa, ma come puoi riuscire al contempo ad assecondarla e a non esserne in balia?
Questa espressione è la chiave: “Però è l’identità stessa che ci permette di vivere le esperienze”. L’identità non è un corpo, non è un veicolo, la coscienza non edifica una identità e poi se ne serve.
La coscienza crea i suoi corpi transitori che le permettono di proiettare e dispiegare il compreso e il non compreso nel tempo e nello spazio, nella vita.
Il letamaio, il monachesimo nuovo
Le menti sono organismi che si adattano, se vivono in un letamaio alla fine non ne sentono più l’odore.
Vi racconto un fatto, vero e semplice: due bambini, fratelli, si stanno azzuffando per gioco. La nonna interviene per separarli, il più grande dice: “Nonna, lasciaci liberi!”. La nonna: “Da grandi sarete liberi!”. Allora interviene il più piccolo, 5 anni: “Bella libertà la vostra, lavorate sempre!”.
All’inizio della mia vita, quando ero un ragazzo, mi era chiaro che non volevo vivere in batteria, come un pollo, stretto nella morsa dei ritmi del lavoro e dei bisogni da ignorante e inconsapevole, costretto ad una normalità abbruttente fatta di valori che per me non significavano niente.
Appena dopo pochi anni comincia la militanza politica, non a caso nell’anarchismo che si era configurato ai miei occhi come il primo orizzonte non condizionato dai miti del lavoro, della famiglia, della normalità.
La via, la pratica, il monaco
Dicevamo nel post di ieri che nessuno si libera da sé, il vivere ci libera. Se così è, e dal nostro punto di vista di questo non dubitiamo, la via interiore e le sue pratiche hanno la funzione di accompagnarci nel cammino quotidiano incontro a noi stessi, che avviene nelle molte officine esistenziali di cui il mondo è costituito e in alcune delle quali siamo immersi.
Se la prima ed ultima maestra è la vita; se ogni comprensione viene generata grazie alla relazione con l’altro da sé, allora sorge un problema di non poco conto:
che senso hanno i radicalismi di non poche vie interiori, le meditazioni estenuanti, i voti di vario genere, le molte discipline interiori cui si dedicano i praticanti?
Ho in mente le comunità monastiche cristiane dove uomini e donne sperimentano e vivono in comunità separate e dedicano non poche delle loro risorse alla gestione e al contenimento delle loro nature.
Raggiungere la liberazione
Così potremmo dirvi semplicemente, come unico insegnamento: “La sola cosa che dovete fare per raggiungere la liberazione del continuo incarnarsi è quella di essere sempre e totalmente naturali in ogni vostra manifestazione”.
Ma ciò, pur essendo vero, può anche essere frainteso e male interpretato: gli animali sono naturali quanto l’uomo – in genere – non riesce ad essere, eppure sono appena all’inizio del loro ciclo evolutivo e ancora molte e molte incarnazioni dovranno avere nel piano fisico prima di uscire dal giro della ruota. Allora, essere naturali come? Cos’è che fa diventare naturale o innaturale un comportamento, un modo di agre o di non agire? Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, vol.4, pag. 100, Edizione privata.
La sola cosa che dovete fare è quella di essere sempre e totalmente naturali! Quante volte abbiamo letto e ascoltato questa frase da maestri di ogni risma!
E l’abbiamo accolta, con un dubbio nel cuore: ma come si fa?
Oltre identità/coscienza
Chiede Marco: “Mi sembra che quello che dici nel post ‘Fin quando tutto parla di noi?’ abbia a che fare con il tema dell’ultimo Essenziale, che era, come tu stesso hai detto, uno stimolo ad andare ancora più in profondità.
Il riconoscere ciò che si presenta come qualcosa che parla di noi è già un passo avanti rispetto al lamentarsi e all’attribuire agli altri le nostre reazioni, ma evidentemente non ci si può fermare lì.
Finché siamo noi il punto di arrivo di tutto, l’ego comunque trova pane per i suoi denti.
All’Essenziale ci hai fatto notare come facilmente l’ego possa nascondersi anche dietro i gesti, almeno apparentemente, più altruistici.
Il protagonismo, l’essere comunque al centro di una realtà sentita come propria è sempre dietro l’angolo.
Quando vediamo l’altro
In assenza di mente l’altro compare, solo allora lo vediamo per quello che è.
Prima, in presenza di mente, non abbiamo visto lui, ma il nostro racconto su di lui.
Quando la mente tace, l’altro compare e noi non possiamo dire di conoscerlo allora, perché quella è una pretesa della mente: in assenza di mente non c’è conoscere o non conoscere, c’è solo la realtà.
Dai bisogni al servizio
Nella via interiore è come nella vita: le persone sono piene di bisogni e di domande.
Man mano che sperimentano e comprendono, le domande si diradano e i bisogni divengono più sottili e discreti.
Infine viene una stagione in cui le domande smettono di sorgere e i bisogni sono prossimi allo zero.
Allora possono accadere tre cose piuttosto diverse tra loro:
– la persona si distacca dal cammino fino ad allora percorso, per dedicarsi al piccolo quotidiano, alle piccole cose che oramai riconosce come l’unica realtà che accade nel presente;
– la persona abbandona il cammino seguito e in poco tempo si inserisce in un altro, essendo in lei rimaste domande e bisogni non superati;
– la persona non più mossa da una motivazione propria, vede dentro di sé sorgere la possibilità di servire il cammino altrui.
Ignoranza ed illusione
Dice Samuele, con la lucidità che gli è propria: “Il rifugio nella mente rappresenta a volte un vero e proprio anestetico. Rapisce i sensi e ti conduce in una zona franca, anestetizzando la vita”.
Fatti di mente, volgarizzeremmo noi. E’ il gioco comune, feriale, quotidiano di tanti di noi, della gran parte degli umani che vive la vita attraverso il filtro irreale di quello che crede, di quello cui aderisce, di quello che desidera.
Costruiamo fotogrammi di un film fantastico basato sulle nostre proiezioni, giudizi, desideri e legando fotogramma a fotogramma lo facciamo scorrere, lo rendiamo coerente ed infine dichiariamo che è noi, la nostra vita, la realtà.
Niente di tutto questo è reale, ma a noi lo sembra e questo ci basta.
L’altro? E’ come lo vedo io. Quel fatto? E’ come me lo racconto. Se non fosse tragico per le conseguenze che produce, sarebbe ridicolo.
Imparare e contemplare
Imparare e contemplare sono due livelli differenti di esperienza: il primo apre la porta al secondo.
Imparare significa essere disposti a vivere ciò che viene, a sviluppare ed alimentare conoscenza, consapevolezza, comprensione.
Il vivere, lo sperimentare produce senza sosta l’acquisizione di tasselli di comprensione, di atomi di sentire: il processo dell’imparare non ha fine ed ogni passo amplia il sentire e struttura la comprensione propria del corpo della coscienza.
Mentre questo accade, nel ventre dell’accadere se la persona ha la giusta disposizione ed è sorretta dalle comprensioni necessarie, si può aprire la porta ad uno sperimentare nuovo e più profondo: l’azione che insegna nella sua profondità diviene l’azione che è.