Il tirocinio nella via spirituale

Quando non conosci, indaghi. Se qualcosa ti preme, cerchi, chiedi, studi, pratichi.
Discorsi di un vecchio e forse di un altro tempo; non so, sono disorientato.
Ho molti ricordi, l’esporli mi fa sentire un po’ patetico. Come i vecchi, appunto.
Quando negli anni ’80 mi sono avvicinato allo zen, andavo agli intensivi a Genova e stavo via tre, quattro giorni; così pure quando andavo a Figline Valdarno: Catia rimaneva da sola con la bambina piccola, nella casa sperduta tra i campi, la stufa da accendere, i cani, l’orto.
Sullo zen hanno scritto in tanti e tanti erano gli insegnanti: la vita mi ha dato dei segni che ho indagato e poi ho conosciuto, approfondito, studiato e praticato senza risparmio.
Dopo lo zen sono venute altre indagini e altre occasioni e sempre lo stesso è stato l’atteggiamento: cogliere i segni, conoscere, approfondire, studiare, praticare, spendersi senza riserva.

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Una ecologia esistenziale

Gettare le basi di una ecologia personale fondata sulla consapevolezza del sentire che ci guida e delle dinamiche dell’identità che ci condizionano: una ecologia esistenziale.
Quali spinte ricevo dalla coscienza? Dove mi conduce attraverso le scene del quotidiano che mi propone, le persone che mi permette di incontrare, i successi e gli insuccessi che mi accompagnano nel quotidiano?
Ho un contatto con il sentire? Se non lo ho, non posso pensare a nessuna ecologia esistenziale, devo costruirlo, devo imparare ad ascoltare ed osservare l’interiore e i simboli attraverso cui si manifesta nel quotidiano.
Questo è il primo passo: divenire attenti, consapevoli, dediti all’osservazione, all’ascolto, alla non aspettativa, al non giudizio.

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La relazione tra sentire di coscienza

Vorrei sviluppare quanto emerso nell’Essenziale di ieri.
Le menti-identità leggono i frammenti della realtà, per loro natura non colgono l’insieme ma il particolare e sono mosse da un bisogno di presenza, di manifestazione, di relazione con le loro pari.
Hanno, giustamente, l’esigenza di calare un impulso, una conoscenza, un assaggio di comprensione nella loro vita, di incarnarli, di trovare il modo per farli divenire vita nel quotidiano.

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Domanda, discepolo, maestro, realtà

E’ il sentire relativo, quello proprio degli umani e degli altri esseri viventi, che crea la realtà.
Quel sentire contiene nel suo dna un programma che lo orienta: “provengo da un sentire più limitato e sono in continuo ampliamento”.
I sentire relativi costituiscono il sentire assoluto il quale non ha quel programma, ma è la realtà compiuta, infinita ed eterna del sentire.
Il sentire assoluto non diviene e non crea, non ha domande, non cerca risposte.
Il sentire relativo, in virtù di quella sua disposizione-programma di fondo, genera il divenire e le domande, cerca le risposte.

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La meditazione senza scopo

Questa riflessione parte da un commento al post sulla meditazione quotidiana.
Quando si inizia a praticare la meditazione esiste sempre uno scopo, un obbiettivo. Dire che questo è nell’ordine delle cose: un bambino desidera divenire grande; un operaio fare lavori più creativi e gratificanti.
Un ricercatore dell’interiore desidera migliorare se stesso, cambiare, magari scomparire ma, comunque, desidera.

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Il mito e la fine della religione

Mi interroga il rapporto delle persone con le tradizioni e con i miti, ne ho parlato in questo post recente.
Riconosco il valore del mito: oltre la lettera rivela una realtà più profonda e significativa per l’umano in genere.
Il mito svela alla mente una realtà vasta che solo in parte da essa può essere indagata.
E’ una specie di segnale direzionale, indica dove va condotta la ricerca ma, questa, va portata avanti con gli strumenti propri della mente (1), o con altri strumenti?

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La ricerca esistenziale e la sua responsabilità

Una ricerca esistenziale sorge da una duplice spinta:
– quella della coscienza che ha bisogno di dati, di comprensioni;
– quella dell’identità che avverte una mancanza, una frustrazione, una alienazione.
La ricerca può essere consapevole o inconsapevole. Non c’è essere umano che non persegua la via della conoscenza: tutto il vivente sviluppa la consapevolezza di sé e della scomparsa di sé, che lo voglia o no, che ne sia consapevole o no.

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La tradizione e la fiducia nel cammino spirituale

Ho letto con interesse questa intervista a Raphael. Ho anche evidenziato delle parti: quelle in cui c’è piena condivisione di sguardo; quelle dove c’è perplessità e infine quelle che mi sono sembrate approssimative.
Ad esempio, trovo approssimativo quello che, in genere, dice in merito al cristianesimo.
Raphael riconosce una funzione insostituibile alla tradizione nella via spirituale: solo conoscendo l’esperienza degli altri sedimentata nel tempo, puoi sapere dove sei ora, dove è l’altro a cui magari ti affidi.

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La dimensione del poco

Considero un gesto appartenente alla dimensione del poco il cenare frugalmente stasera  e coricarsi non tardi.
L’ecologia delle parole, dei pensieri, dei gesti la considero appartenente alla dimensione del poco.
Il non discutere senza sosta di sé, dei propri guai e problemi, appartiene al poco.

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La vita è fatta di niente

Nei gironi della bulimia dei rapporti, delle parole, degli alimenti, delle retoriche si mostra il tentativo dell’umano di riempirsi e di circondarsi di senso.
Non so quale sia il risultato: per chi scrive, in un lontano remoto, era miserevole.
Le scelte ripetute di rottura e di estrazione dalla ritualità hanno, nel tempo, svelato la natura del tentativo bulimico, la sua illusorietà, la sua vacuità.

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