Doghen, Jinzu (3), Dimentichi di sé

Eihei Doghen Zenji
SHOBOGHENZO

L’AUTONOMO E LIBERO OPERARE ()
(Quale è il senso del vivere ?)

Introduzione e trasposizione
Watanabe Koho Roshi

In un antico testo religioso è scritto quanto segue. I veri uomini della via che hanno preceduto nel tempo Shakyamuni vengono indicati come suoi discepoli, e portano in offerta a Shakyamuni la veste monacale, ed eretto un monumento in suo onore celebrano una cerimonia per lui. In quell’occasione Shakyamuni disse che era straordinario l’operare senza limiti che oltrepassa i confini del tempo e dello spazio dei veri uomini della via (3).
Ciò che questo testo sacro vuol indicare, è che i veri uomini della via, del passato, del presente, del futuro, tutti senza eccezione agiscono e praticano lo straordinario operare senza limiti, come fondamento del proprio vivere. Che cosa è l’operare senza limiti, cosa mai facendo si opera in modo straordinario? Dimentichi di ciò che si sa, lasciando stare la propria conoscenza (non fissandosi ad essa) agire in modo da far risplendere, brillare di luce propria ogni cosa che io ora incontro, nei termini propri dell’ineludibile realtà di quella cosa stessa.

continua..

Il quotidiano, tema dei gruppi e degli intensivi del Sentiero

Settembre 2015 – giugno 2016, tema di fondo dei due gruppi “L’essenziale” e degli “intensivi”: il quotidiano.
Il tema di ogni mese viene affrontato nei due gruppi e approfondito negli intensivi.
Ogni incontro dei gruppi e ogni sessione degli intensivi alternano esperienze ed analisi: ciò che viene affermato, viene anche sperimentato nella stasi e nel movimento, in un processo continuo.

Settembre 2015
Lo spazio tra parola e parola; tra parola ed emozione; tra parola-emozione-azione.

Ottobre 2015
I fatti sfilano. Tutto è fatto e tutto sfila.

Novembre 2015
La ricerca dell’eclatante, la banalità del quotidiano.

Dicembre 2015
Banalità è un’etichetta della mente. Come etichetta, cosa cerca, cosa è importante per la mente.

Gennaio 2016
Tutto naufraga sotto i colpi della routine, anche i rapporti, innanzitutto i rapporti.

Febbraio 2016
Grande – piccolo; importante – irrilevante; degno – indegno.

Marzo 2016
L’attendere.

Aprile 2016
Lo sperare, il desiderare, il divenire artefici oltre speranza e desiderio guidati dalla sola fiducia.

Maggio 2016
Chi conduce chi. La fiducia e l’abbandono come radici e compimento del vivere.

Giugno 2016
Tutto scorre. Tutto è.

Doghen, Jinzu (2), L’agire attimo per attimo

Eihei Doghen Zenji
SHOBOGHENZO

L’AUTONOMO E LIBERO OPERARE (JINZU)
(Quale è il senso del vivere quotidiano?)

Introduzione e trasposizione
Watanabe Koho Roshi

Questo diretto e libero modo di essere, è il modo di funzionare per cui l’occhio riflette un particolare oggetto così come è senza inserire la minima alterazione e l’orecchio recepisce il suono pulito cosi com’è; e ancora, il naso, la lingua, il corpo, la mente, cioè gli organi di senso (che possono essere classificati in sei ambiti) gli strumenti della conoscenza, tutti uno per uno, sono messi in opera e fatti risplendere vivacemente per quello che sono.
Ed inoltre, è anche possibile vedere l’opera della forza vitale che, unica, presiede e controlla quei sei. Ed inoltre, non ci si fissa con pervicacia alle proprie vedute e si può quindi far operare l’illimitato modo di lavorare che fa risplendere al massimo ogni cosa proprio perché è quella cosa.

continua..

Doghen, Jinzu (1), L’autonomo e libero operare

Eihei Doghen Zenji
SHOBOGHENZO JINZU

L’AUTONOMO E LIBERO OPERARE (JINZU)
(Quale è il senso del vivere quotidiano?)

Introduzione e trasposizione
Watanabe Koho Roshi

La realtà fondamentale che è lo scopo, il significato vero per coloro che mettono in pratica il perseguimento della via di Budda, vale a dire l’autonomo e libero operare, non è la ristagnante ripetitività di gesti della vita di ogni giorno come bere il thè, mangiare i pasti. non è procedere per forza dell’abitudine e di inerzia, bensì agire vivacemente con freschezza.
Quello che a prima vista sono le azioni ed i comportamenti estremamente usuali della vita quotidiana, è l’operare straordinario, l’autonomo e libero lavoro, lo sconfinato funzionamento. Perciò, colui che con sincerità mette davvero in pratica il perseguimento della via di Budda. dedica fino in fondo con impegno tutta la propria energia e capacità a mettere in opera ogni cosa, ogni accadimento, uno per uno, che incontra momento per momento, situazione per situazione, nell’arco di tutta la propria vita di ogni giorno, uniformandosi alla necessità che è suggerita da quella particolare realtà: allora, proprio lì, si sviluppa e si svolge il modo di vivere libero ed autonomo, che non è limitato da alcuna restrizione. (1)

continua..

perdere scomparire

La paura di perdere e i fraintendimenti relativi

Nel linguaggio del Sentiero, i temimi perdere, scomparire, irrilevanza ricorrono di frequente: quando vengono letti, o ascoltati da una identità che li interpreta secondo il loro significato corrente, nascono quasi sempre degli equivoci e, non di rado, un rifiuto.
Eppure in ambito spirituale dovrebbero essere ampiamente sdoganati: è risaputo anche dai neofiti che la libertà, è libertà da sé.
Alcuni vedono in questa libertà da sé quasi la negazione della nostra umanità, del significato stesso del vivere, della sua importanza, della sua sacralità.
Provo un certo imbarazzo a discutere dell’ovvio: chiunque conosca l’esperienza dell’ascolto, dell’osservazione, dello stare, del darsi tempo, del pregare, del meditare, del contemplare dovrebbe aver avuto accesso ad una visione più ampia della realtà in cui ha sperimentato la limitatezza del sé personale.
Avere la consapevolezza che l’umano non è riducibile alla sua incarnazione, non credo significhi negare questa e ciò che essa può portare come esperienza, come possibilità, come dono.
Solo una mente prigioniera della propria dualità, può pensare che l’aprirsi sul non conosciuto, sul non riconducibile ai sensi e a ciò che riteniamo oggettivo, voglia dire negare il conosciuto. Tutti sanno, lo spero, che oltre il mondo dei sensi esiste il mondo che un tempo si chiamava il mondo dello spirito, che è possibile sperimentare, che viene quotidianamente sperimentato da tutti coloro che meditano, che pregano, che hanno consapevolezza del loro essere interiore.
Perché mai debba esserci contraddizione, o addirittura incompatibilità, tra l’esperienza del mondo dei sensi e l’esperienza spirituale, è per me un mistero.
Se si ha conoscenza dei propri processi interiori, si sperimenta che l’accesso ad una percezione più spirituale della realtà, l’aprirsi all’ascolto vero, all’osservazione vera, all’accoglienza vera richiedono un farsi da parte della propria centralità egoica.
Con me al centro, vedo solo me. Con la disponibilità a mettermi da parte, si apre un mondo sconfinato perché quella marginalità di me crea le condizioni di una ricettività, di una accoglienza, di una permeabilità alla realtà che accade, impensabile e inaccessibile finché la consapevolezza è occupata dal mio esserci.
Ecco perché noi parliamo di perdere, di scomparire, di irrilevanza: perché sono le condizioni per allargare il nostro sguardo, ma nulla hanno a che fare con la perdita del nostro essere incarnati, del nostro tragitto personale ed esistenziale.
Certo, comportano la perdita della nostra centralità egoica ed egoistica: sarà per questo che alcuni di noi sobbalzano quando usiamo quei termini?

Qui puoi iscriverti alla Newsletter del Sentiero contemplativo
(invieremo 6 mail/anno)

Immagine da https://goo.gl/mnBs8P

amore

Sull’amore che tutto è

Continua la riflessione iniziata nel post precedente.
Molto si parla dell’amore, ma a noi non interessa parlarne, ci interessa trasmetterne l’esperienza ed offrire gli strumenti per conoscerlo e sperimentarlo nelle proprie esistenze.

  • Fornire gli strumenti

Non c’è albero che non produca frutto, non c’è persona che non possa vivere l’amore.
A volte l’albero è ammalato; a volte non piove o piove troppo; a volte non è curato a dovere e allora i frutti sono pochi, ammalati e soggetti a non conservarsi.
Il nostro compito, se abbiamo un compito nella nostra insignificanza, non è offrire frutti, ma mettere a disposizione di chi quei frutti desidera, le possibilità e gli strumenti per la conoscenza, la consapevolezza, la comprensione che da soli condurranno al frutto desiderato.
Non è compito nostro distribuire l’acqua, ma insegnare semmai ad aprire il rubinetto.
Questa è la ragione per cui poco parliamo dei frutti e molto della cura dell’albero.

  • Trasmettere l’esperienza dell’amore

Si può fare in molti modi, quello da noi scelto è il modo da persona a persona, della testimonianza più passiva che attiva, del viverlo e del coprirlo con il velo della discrezione.
In quanti modi potrei declinare l’esperienza dall’amore che ci attraversa? In molti, e potrei declinare l’esperienza parlando di meraviglia, di gioia, di senso incontenibile e senza confine. Ma non andrò oltre, questa è una sfera privata e tale deve rimanere.
Ma, come dicevo, l’esperienza dell’amore si può trasmettere da persona a persona: accade durante gli individuali, durante i gruppi, durante gli intensivi.
Pervade l’ambiente e lo rende saturo del suo essere tutto ciò che è e che c’è.
Possiamo fare l’esperienza dell’amore conoscendo ciò che in noi ci separa da esso, ce lo vela e ce lo nasconde.
Possiamo farla incontrando qualcuno che quella realtà vive nella sua ferialità, qualcuno per cui è norma, quotidiano integrato e ordinario.
Possiamo anche incontrare l’amore nelle parole, anche in quelle del web, o di un libro: è naturale, esse fanno risuonare qualcosa  che in noi già c’è, che ci appartiene ma non è così evidente e lo diventa quando viene risvegliato.
Noi abbiamo fatto la duplice scelta:
– dell’offrire alcuni strumenti per aprire il rubinetto dell’acqua da sé;
– dell’offrire una testimonianza silente di ciò che vive in noi come amore compreso, lasciando che si manifesti come fatto nella relazione, nella presenza, nella vicinanza.

Qui puoi iscriverti alla Newsletter del Sentiero contemplativo
(invieremo 6 mail/anno)

karma

Karma, possibilità, compassione

Come occidentali, siamo cresciuti nell’humus cristiano intriso del concetto di colpa e di punizione.
Più o meno inconsciamente, associamo il karma alla punizione e non abbiamo ancora sviluppato né una cultura del karma, né quella di una vita che mai è da vittime meritevoli di essere punite.
E’ ancora acerbo il paradigma delle possibilità: la vita come possibilità di comprensione senza fine; il karma come la legge che governa il cosmo e che apre possibilità di esperienze finalizzate al comprendere.
Siamo ancora lontani da questo e dovremo sviluppare una riflessione più approfondita sulla legge di causa ed effetto: da chi è generata la causa?
Dalle necessità di comprensione della coscienza, che genera le situazioni d’esistenza in relazione al compreso e al non compreso.
Qual’è il fine dell’effetto? Offrire ulteriori scene d’esperienza per permettere il realizzarsi delle comprensioni avviate dalla coscienza.
E’ chiaro che tra causa ed effetto esiste il nesso della responsabilità: “sono responsabile del cammino di comprensione, delle sue dinamiche, del suo svolgersi, del suo evolversi all’interno della dinamica causa-suo effetto”.
Quand’è che sono responsabile, quando si attiva la legge di causa-effetto?
In tutti i casi, o solo quando sono consapevole delle possibilità, quando opero A ma potrei anche operare B?
Solo quando in me esiste la possibilità consapevole di una scelta, ovvero quando le comprensioni acquisite mi offrono la possibilità di più alternative.
Se non ho comprensioni tali da avere alternative, scelte possibili, il mio agire non attiva la legge di causa ed effetto.
Quindi il karma si attiva quando, ad esempio, scelgo B pur avendo la possibilità di scegliere A: se ho scelto B, evidentemente in me c’è ancora una comprensione non giunta a pieno completamento, avendo io anche la possibilità di comprendere A; ecco allora che l’intervento del karma mi offre la possibilità di approfondire, di fare altre esperienze finché la comprensione non sarà completa.
Cosa questo significhi nelle nostre vite, credo che ciascuno di noi lo sappia molto bene: il karma ci induce alla responsabilità, all’accoglienza dei nostri percorsi esistenziali, alla compassione sul nostro e altrui procedere.

Qui puoi iscriverti alla Newsletter del Sentiero contemplativo
(invieremo 6 mail/anno)

Immagine da https://goo.gl/4iMZMa

maestro discepolo

L’insegnante e l’allievo

Tutti noi procediamo sulla base di ciò che ci piace o non ci piace; scegliamo le situazioni a partire da un moto di simpatia, di attrazione, di risonanza.
Tendiamo ad escludere ciò che non ci coinvolge e avvertiamo come lontano o faticoso.
E’ giusto questo procedere? Non lo so; personalmente mi sono confrontato deliberatamente molte volte con ciò che non mi suscitava particolare simpatia e sempre ne ho tratto grande insegnamento. In anni lontani, avendo necessità di comprendere come funzionava il mondo interiore di un cristiano, mi sono dedicato per anni alla pratica della preghiera e alla frequentazione e allo studio dei vangeli e del pensiero esegetico e teologico su di essi.
Non avevo attrazione per quel mondo ma, esistendo ed essendo parte del mio piccolo universo, ho desiderato conoscerlo, divenirne consapevole, comprenderlo.
Era lontano, ed io ero pieno di pregiudizi: alla fine del processo credo di aver compreso quel paradigma interiore, certamente ho superato i pregiudizi e, per quel che è possibile al mio sentire, ritengo di averlo compreso.
Al di là della mia esperienza personale, credo che sia nelle cose il discernimento operato sulla base dei moti di simpatia/antipatia: così opera normalmente l’allievo, colui o colei che si trova nella condizione di dire un si o un no ad un insegnamento, ad una via interiore.
E’ un atteggiamento parziale e limitato che non ci permette di accedere alla realtà delle cose, ma è un fatto che accade nella ferialità delle nostre vite e come tale lo prendo.
L’ottica nella quale si muove un insegnante è molto diversa, non gli è permesso di essere in balia di simpatia/antipatia, deve andare oltre, deve leggere la realtà con gli occhi della compassione che conosce quella antinomia e la supera.
Non solo: un insegnante (altri forse userebbero il termine maestro, ma a me non piace e condivido il monito di Gesù) si muove in una visione unitaria e ciò che dice, propone, insegna avviene come conseguenza di una profonda integrazione degli opposti e sulla base di un tentativo di superamento radicale di quello che è il suo limitato sentire.
Un insegnante cerca la verità dell’essere delle cose, la coglie inevitabilmente con il suo limitato sentire, la lascia decantare per depurarla di ogni aspetto personale e infine, quando avverte un sufficiente grado di neutralità e di verità, la propone.
Il risultato sarà dunque una verità? Non diciamo sciocchezze: sarà la verità parziale a lui/lei accessibile su quel fatto, in quel tempo, a partire dal sentire acquisito e conseguenza del processo descritto.
Quindi sia la verità dell’allievo che quella dell’insegnate sono relative e frutto di un discernimento assolutamente personale? Si.
La differenza sta nel fatto che l’insegnante ha una responsabilità che l’allievo, forse, non ha: ciò che afferma non deve essere condizionato dal pregiudizio e dall’ignoranza, anche se, inevitabilmente , lo è dai limiti della sua comprensione.
L’insegnate ha la responsabilità di ciò che offre, di dove conduce, di come influenza, del piccolo mondo che mette a disposizione di qualcuno che di lui/lei si fida e gli si affida.
Ciò che insegna dovrebbe essere innanzitutto la sua vita, sorretto dalle mille piccole verifiche che solo il quotidiano permette, e dovrebbe essere passato dentro il vaglio della consapevolezza della propria interiore piccolezza, altrimenti chiamata umiltà.

Qui puoi iscriverti alla Newsletter del Sentiero contemplativo
(invieremo 6 mail/anno)

Immagine da http://goo.gl/EC6RC0

compassione

Vedere la realtà con gli occhi della compassione

Si può vedere e partecipare la realtà con gli occhi della mente che tutto fraziona, tutto giudica, tutto attribuisce.
Si può vedere e partecipare avvolti nel manto delle emozioni e delle affettività che tutto colorano creando trasporto e partecipazione.
Si può infine vedere e partecipare la realtà con l’ampiezza del sentire che tutto abbraccia e nulla discrimina, che tiene insieme le parti e considera il processo più che il singolo fatto, che comprende la realtà sempre in termini unitari.
All’interno del sentire, può sorgere come dono il fiore della compassione che di tutto si avvede, a tutto provvede nella discrezione, con tutto procede nella vicinanza, nella comprensione e nel sostegno, sempre un passo indietro consapevole della propria irrilevanza.
Si può insegnare la compassione? Dubito, anche se ci si può disporre, di certo si può vivere per quel che ci è dato.
Si può coltivare assieme? Si, può essere il piccolo germoglio che la coppia, la famiglia, la comunità, il gruppo di colleghi coltivano a tutte le ore, senza sforzo, semplicemente avendola presente allo sguardo.
Può un cammino come il Sentiero fare della compassione la propria essenza? Lo ha già fatto, nel momento in cui ha edificato le fondamenta del proprio procedere sul limite considerandolo il primo tra tutti gli insegnanti.

Qui puoi iscriverti alla Newsletter del Sentiero contemplativo
(invieremo 6 mail/anno)

Immagine da http://goo.gl/xWiyB8

atomi dell'assoluto

Compassione, forse

Siamo atomi d’aria nel respiro dell’Assoluto.
Ogni giorno, ad ogni ora proviamo a conoscere, divenire consapevoli, comprendere.
Piccolo o grande che sia l’asino in noi, ciò che esprimiamo è sempre e solo un tentativo, un approccio, un’approssimazione, il segno di un incedere.
Prima di aprire la bocca, dubio di quello che dirò.
Mentre compio un’azione, so che sarà limitata.
Quando mi approssimo a te, so che farò difficoltà a vederti, ad ascoltarti e, a volte, il mio accoglierti è solo maniera.
Vedo l’irrilevanza e l’irrealtà di me e mi fermo, non c’è ragione da dimostrare, qualcosa da aggiungere.
Non c’è tristezza, compassione forse.

Qui puoi iscriverti alla Newsletter del Sentiero contemplativo
(invieremo 6 mail/anno)