Il lavoro 2: essere dediti

Che cosa significa essere dediti al lavoro che si sta compiendo?
Significa riconoscerlo come unico fatto di quel presente, essere consapevoli di tutto quello che la mente aggiunge su quelle operazioni semplici o complesse che stiamo compiendo e lasciarlo andare, non coltivarlo, di qualunque natura sia quell’aggiungere.
La dedizione libera dal condizionamento della mente rende quella operazione fuori dal flusso del divenire, la rende fatto esaustivo in sé.
C’è l’operazione, c’è l’operatore, c’è l’accadere: la dedizione sgombera il campo dal passato e dal futuro, dal lamento e dal giudizio ad esso collegato.
Se c’è dedizione, quell’operazione è tutto il nostro orizzonte esistenziale: dentro quel piccolo fatto si libera il senso stesso dell’essere e dell’esistere.

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Il lavoro 1: trovare un’occupazione è trovare un teatro d’esperienza e d’esistenza

Il lavoro occupa molta parte del nostro quotidiano ma spesso lo viviamo come qualcosa a sé, come fosse l’elemento collaterale e faticoso del nostro esistere quotidiano.
La nostra vita sono le cose che ci piacciono, gli affetti, il tempo libero: non vedendo chiaramente l’attitudine della mente a dividere, a frammentare, non ci rimane semplice leggere la nostra vita in modo unitario.
Qual è l’elemento che rende una e inscindibile la nostra vita? La capacità di divenire persone migliori attraverso le esperienze, tutte le esperienze.
Se si ha chiaro questo, se si è consapevoli che ogni giorno, ogni ora la coscienza sperimenta e amplia il proprio sentire, allora possiamo incominciare a parlare di quel tempo rilevante che ogni giorno trascorriamo fuori casa, insieme a persone che non abbiamo scelto, in situazioni non sempre gratificanti.
Un lavoro occorre innanzitutto trovarlo e di questi tempi non è semplice.
Un lavoro è una possibilità esistenziale: un teatro creato dalla coscienza nel quale avvengono le scene che questa proietta.
Un lavoro, prima di essere un luogo di produzione, è un ambito di esperienza del sentire: se non ci è chiaro questo, non ci sarà chiaro niente del processo del trovarlo, dell’esercitarlo, del perderlo.
Trovare un lavoro dunque è un’esperienza esistenziale: i fattori sociali hanno la loro importanza e, come in questo tempo, possono essere molto ostacolanti, ma la possibilità di impiego dipende in ampia parte da una motivazione interiore, da uno slancio, dalla disponibilità a mettersi in gioco, a spendersi e impastarsi nelle situazioni che si presentano: a portare se stessi fuori dall’ambito del conosciuto, ad andare verso l’ignoto.
Questo ignoto spesso si offre nelle vesti di lavori precari, parziali, non corrispondenti alla propria aspettativa.
Quanta forza creativa, dedizione, volontà sono richiesti ad una persona per creare le scene della propria manifestazione? In una società imbalsamata e vecchia l’impulso creativo fa difficoltà a trovare uno spazio, ma questa è la sfida.
Creare il teatro rappresentativo del proprio esserci nel mondo: osare esserci e proporsi.
Uscire sapendo di avere diritto ad uno spazio d’esistenza; se necessario adattarsi, piegarsi, accogliere le opportunità sapendo che una ne prepara un’altra;
vivere ogni scena come il proprio tirocinio esistenziale, la propria possibilità di conoscersi, divenire consapevoli, comprendere.

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La coppia, post scriptum: cadute e opportunismi

Gli ultimi 12 giorni ho scritto un post al giorno sul tema della coppia: tre di questi post sono dedicati al tema della fedeltà. Può sembrare al lettore che io relativizzi la questione e nella sostanza affermi: “Dal momento che siamo limitati e in continuo apprendimento, se ci permettiamo di venire meno al patto di fedeltà non è un grave problema!”
Non dico questo ma qualcosa di molto diverso: i due procedono assieme e tra loro stabiliscono delle condizioni di base, una piattaforma di onestà cui fanno riferimento e a cui, anche quando possono cadere, fanno ritorno”.
L’espressione “anche quando possono cadere” non significa che si autorizzano a cadere, significa che conoscono sufficientemente la natura umana e sanno che gli assoluti non si confanno ad essa.
Non essere prigionieri della morale, che in sé tende a stabilire un assoluto, non significa autorizzarsi a tutti gli opportunismi, a quello che ci fa comodo nella ricerca delle molte gratificazioni, dimenticando il patto di onestà con l’altro.
Naturalmente dipende qual è questo patto e cosa prevede: i due possono anche avere contemplato il pascolo su diversi prati e, se questo è l’accordo, chi può dire qualcosa?
Se, invece i due si sono promessi coerenza e vicinanza mantenendo stretti i paletti del cammino comune, allora a quella condizione di base si sforzeranno di tornare e di rimanere coerenti.

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La coppia 12: prendersi cura. L’esperienza dell’amore

Il cammino comune dei due giunge, può giungere, ad una maturità: liberato da tutto ciò che le menti dei protagonisti hanno aggiunto sulla natura di esso, su sé, sull’altro può finalmente emergere il tessuto di comprensioni cui il rapporto ha dato luogo.
Quando è divenuto ai due evidente che la loro unione è un processo, ed un fatto, esistenziale, questa consapevolezza che è maturata attraverso le esperienze mostra ora i propri frutti: l’accoglienza, l’accettazione, il non giudizio, la compassione.
Nomi diversi dell’amore.
Diviene chiaro ora, e solo ora, che quello che i due chiamavano amore, era solo innamoramento; quello che chiamavano amore era solo affetto; quello che chiamavano amore era solo sesso.
Ora i due comprendono che c’è qualcosa di molto più vasto che è fiorito in loro e che contiene innamoramento, affetto e sesso e, nel contempo, non sa che farsene di questi perchè, contenendoli, li supera ed è altro da essi.
Come una persona è più del suo corpo, delle sue emozioni e del suo pensiero, così l’amore è più, e radicalmente diverso, da innamoramento, affetto e sesso.
Ora ai due appare chiaro che tutto ciò che avevano in precedenza sperimentato era condizionato dai loro bisogni e dalla necessità di essere confermati come individui e come esistenti.
L’amore non si cura di esistere, è la natura di tutte le cose.
L’amore non è provato da un soggetto: è la natura della realtà che attraversa un soggetto. Non si può affermare: “Io amo”, è un’espressione che contraddice la natura dell’amore. Si può affermare: “C’è amore”.
L’amore non solo non ha un soggetto, ma non ha nemmeno un oggetto; non si può affermare: “Ti amo”, si può invece affermare: “C’è amore”.
L’amore non è un sentimento, non un’emozione, non un pensiero: tutto questo non centra niente con la natura reale dell’amore, semplicemente lo rappresenta, e non sempre, non comunque.
L’amore è uno stato di coscienza, una condizione dell’essere, una comprensione operante.
Certo, nel suo essere esperienza si veste di pensiero e di emozione ma la sua natura non è quella, non bisogna scambiare la forma per la sostanza, la forma è l’abito della sostanza, della comprensione.
L’amore non è rivolto a qualcuno e non è di qualcuno: là dove c’è amore, non c’è possesso.
L’amore conduce alla scomparsa dell’amante e dell’amato e lascia che affiori soltanto l’esserci unitario della realtà.
L’amore, nell’umano, diviene compassione: pieno inchinarsi di fronte alla natura delle persone e dei fatti; piena accoglienza, piena comprensione; piena vicinanza.
Infine, l’amore diviene esperienza così semplice e feriale da divenire non riconoscibile: diviene il semplice “prendersi cura”, piccoli gesti che nulla di eclatante hanno, che nulla chiedono, che nulla si attendono.
L’amore diviene semplice servire.

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La coppia 11: la fedeltà esistenziale

Come abbiamo più volte detto, la coppia è un’officina esistenziale: i due lavorano il non compreso in sé grazie alla presenza dell’altro e allo svelamento che questo produce senza sosta.
La fedeltà esistenziale è il fattore che tiene aperta l’officina: qualunque sia il limite dei due, oltre le proprie cadute e i propri ragli l’officina rimane aperta finchè essi riconoscono il processo esistenziale che li lega.
I rapporti di lunga data sono tenuti assieme da questo, non certamente dal mutuo, dal sesso e non soltanto dall’affetto: quest’ultimo, se non è il frutto dell’attaccamento e della mancanza di autonomia, è l’aspetto visibile del legame esistenziale.
Qualsiasi siano le dinamiche della fedeltà esistenziale e di quella affettiva e sessuale, i due tornano a casa, magari affaticati, magari appesantiti ma tornano a casa, reiterano l’impegno, rinnovano l’officina comune; quando non ci sono più le condizioni per tenerla aperta, e molto spesso è l’identità a stabilire che le condizioni sono venute meno, non la coscienza, allora i due si lasciano e l’officina viene chiusa, il legame esistenziale transitoriamente sospeso.
Il processo interiore dei due, il lavoro sul non compreso, continuerà con altri partners o nella solitudine.
Il rapporto di coppia è un rapporto esistenziale.
Il rapporto con i genitori e i figli è un rapporto esistenziale.
Il rapporto parallelo con un terzo/a è un rapporto esistenziale.
Tutto ciò che un uomo e una donna vivono ha valenza esistenziale perchè tutto trasforma il sentire, tutto ci rende persone diverse, tutto ci aiuta a comprendere.
Il tradire e l’essere traditi ci trasforma, come il conflitto e la quiete, la sincerità e la bugia.
Il vendere il nostro corpo e il comprare il corpo di un’altro/a ci trasforma; l’ipocrisia e l’ignoranza ci trasformano.
Non c’è scampo: là dove la mente vede solo letame noi vediamo possibilità. Solo i bambini dell’interiore possono vivere nell’illusione del giusto e dello sbagliato, la realtà delle persone non è in bianco e nero, estrema è la creatività e la molteplicità delle vie che il sentire genera per comprendere ciò che gli è necessario.
Se i due, nella coppia, hanno compreso la natura esistenziale e trasformativa del loro stare assieme, molto potranno integrare, accogliere, perdonare.
Vi prego di riflettere sull’esperienza e sulla natura del perdonare: questo termine, violato ed abusato, ha un valore molto alto perchè esprime l’esperienza della comprensione avvenuta, la fine di un processo doloroso che non conduce al fiele o all’annichilimento, ma all’inchino al cammino dell’altro.
Concludendo questa serie di tre post sulla fedeltà sono consapevole che le menti di alcuni lettori piegheranno le mie parole ai loro bisogni di comodo alla ricerca di giustificazioni per il proprio operato: ciascuno faccia come crede e si narri la realtà come vuole ma, se può, provi a non nascondersi a se stesso e al processo esistenziale che lo attende.

Foto di Robert Doisneau tratta da: http://www.fotonotiziario.eu/index.php/robert-doisneau/


 

La coppia 10: la fedeltà affettiva e sessuale

Premessa
Chi scrive ha in mente una gerarchia (immaginate un triangolo) della fedeltà che vede alla base la fedeltà affettiva e sessuale; nell’area della mediana rilevanza la fedeltà sostanziale; in quella apicale la fedeltà esistenziale.
Man mano che si sale la fedeltà diviene più coerente: nell’area di base e in quella mediana è soggetta a molte contraddizioni.
Ciò che per sua natura è mutevole e volubile, come le emozioni, gli affetti, i pensieri è soggetto ad una sperimentazione molto vasta, per un lungo tratto di strada esistenziale.
Come sperimenta la coscienza, come comprende? Attraverso le esperienze. Come acquisisce dati? Utilizzando i suoi corpi: la mente, le emozioni, le sensazioni, l’azione per realizzare scene dalle quali estrae le informazioni che le necessitano.
La coscienza non sa tutto, l’Assoluto sa tutto; la coscienza genera le scene del film che chiamiamo vita perchè ha bisogno di comprendere, perchè sente in sé la non comprensione e la spinta a superarla, a completarla.
E’ la coscienza che crea la realtà a seconda delle sue necessità, non l’identità il cui libero arbitrio è un dettaglio.
E’ fondamentale comprendere questo se si vuole smettere di andare in giro giudicando sé e tutti quelli che ci stanno attorno: ciascuno vive ed opera a seconda delle necessità del proprio sentire.
Se questo ci è chiaro allora possiamo guardare alla realtà con gli occhi della compassione e non con quelli del giudizio.
Quando una coscienza ha completato attraverso le esperienze lo spettro del proprio sentire, smette di generare il film, esce dalla necessità di esperire nel tempo e nello spazio, vive il suo cammino incontro alla comprensione della sostanziale unitarietà del tutto senza la necessità di una identità e dei suoi veicoli.
Fino a quando veste una identità è soggetta all’apprendimento e non si apprende con le mani legate dalla morale. Si apprende sperimentando, osando, sbagliando.
In realtà, una coscienza che sperimenta quando non sa, non sbaglia, semplicemente prova. Quand’è che sbaglia? Quando ha già molti dati a disposizione e potrebbe generare scelte differenti ma, essendo soggetta alle necessità che l’identità rivendica, non è in grado di discernere con avvedutezza.
Quindi anche nell’errore c’è un deficit di comprensione di una coscienza. L’identità mette in atto delle spinte ma la gestione di queste competono il sentire.

Tesi
Questa lunga premessa per dire delle cose molto semplici:
– la fedeltà affettiva è relativa;
– la fedeltà sessuale è relativa.
La persona, che è unità di coscienza ed identità, sperimenta, conosce, comprende.
Le spinte e le esperienze affettive e sessuali, nella concretezza della vita del quotidiano, prendono forma e accadono nella coppia e fuori di essa.
Questo è un dato di realtà, a poco serve combattere la realtà. E’ giusto che sia così? Non è né giusto, né sbagliato, è così.
Quando la fedeltà di un partner viene meno inevitabilmente sorge un problema: se i due hanno un po’ di sale in zucca evitano di farsi a pezzi e incominciano a interrogarsi sulle rispettive responsabilità, sulla natura di quella esperienza, sul perchè l’altro ha sentito la necessità di viverla.
Se la ferita all’identità, il tradimento della fiducia subito, non prendono il sopravvento ed oscurano la visone della realtà esistenziale che si cela dietro all’accaduto, i due possono imparare molto, possono conoscersi molto.
Le ferite conseguenti ad un deficit di fedeltà sono ferite identitarie: tutto ciò che avvertiamo sia venuto meno è all’interno della lettura, della interpretazione personale della realtà del rapporto, è ferita a noi, alla nostra integrità identitaria,
Ma un rapporto viene vissuto per costruire integrità identitarie o è un processo esistenziale? Un rapporto è l’officina delle coscienze di cui le identità sono manifestazione, o è il mercato del “Mi riconosci/non mi riconosci”?
La non fedeltà è endemica al rapporto, questo non significa che sempre e in tutti i rapporti venga sperimentata, significa che non è un accidente ma un’esperienza che accade, da inserire nell’ampio spettro delle molte esperienze necessarie sulla via della comprensione dell’amore.
I due, nella coppia, proveranno ad essere fedeli l’un l’altra: proveranno e, augurabilmente, ci riusciranno. Proveranno e potrebbero non riuscirci: allora avranno una nuova occasione di confronto, di investigazione, di consapevolezza, di comprensione.
Se non cadranno in balia delle loro rispettive ferite identitarie, potranno imparare molto e il loro rapporto potrà rinnovarsi ed entrambi scoprirsi diversi e cambiati dall’accaduto.

L’immagine è tratta da: http://saracurtney.blogspot.it/


 

La coppia 9: la fedeltà sostanziale

I due hanno preso degli impegni, quello della fedeltà reciproca è uno dei più importanti, in gran parte dei rapporti è la condizione di base perchè si sviluppi quel clima di fiducia che permette di procedere assieme.
Noi parliamo di almeno tre livelli di fedeltà: la fedeltà sostanziale, la fedeltà sessuale ed affettiva, la fedeltà esistenziale.
Ognuno di questi tre livelli è un processo, qualcosa che prende forma nel tempo e attraverso le esperienze: all’inizio di un rapporto la fedeltà è facile, con l’avvento della routine può divenire più complicata.
Ci sono persone che mai nella loro vita valicheranno il confine dato; ce ne sono altre che invece lo valicano spinte da una inquietudine, da una necessità, da una curiosità.
Quando la mattina si esce di casa e si lascia alle spalle la rappresentazione che chiamiamo “coppia”, si entra in un’altra rappresentazione che chiamiamo “lavoro”: ogni teatro tende ad avere le sue regole e i suoi confini, non è detto che sul lavoro la persona abbia gli stessi atteggiamenti che ha a casa.
Quante “persone” coesistono in noi? Una? Quale ingenuità.
Nella molteplicità delle spinte e dei bisogni, delle paure e degli slanci che caratterizzano quella persona che chiamiamo con il nostro nome, che crediamo unitaria e che tutto è tranne che unitaria, vengono generate scene diverse a seconda dei diversi teatri in cui opera.
La persona si trova ad affrontare nel quotidiano molti aspetti del suo non compreso e lo fa grazie alla presenza dei suoi colleghi di lavoro: quel collega, quella collega che si presentano e suscitano in me un mondo di emozioni, di fascinazione o di fastidio, di attrazione o di repulsione, di seduzione e di coinvolgimento o di indifferenza e lontananza.
A seconda di ciò che in me non è risolto e compreso, grazie alla presenza di coloro che dividono con me tanto tempo e tanta relazione, posso conoscere le mie spinte, lavorarle, comprenderne la natura.
Vi rammento che la persona comprende attraverso le esperienze: prevalentemente attraverso le esperienze. Se non sperimentiamo non comprendiamo.
Grazie a coloro che mi stanno attorno posso vedere e lavorare ciò che nell’ecologia della coppia non viene alla luce: la frequentazione di un’altro da me che non è la mia compagna o il mio compagno, svela aspetti del mio interiore altrimenti sopiti, inconsci, conosciuti solo come spinta non definita.
Quando siamo esposti al mondo, lontano dalla protezione della coppia, della casa – di quella rappresentazione domestica – veniamo svelati dall’altro che si presenta e solleva in noi un mondo ancora non ben conosciuto, compreso ed integrato.
La fedeltà sostanziale è l’attraversare questo percorso del quotidiano in un equilibrio instabile, nella fragilità evidente, nel dubbio su di se e sul rapporto consolidato senza superare il confine.
La fedeltà sostanziale è tornare la sera a casa, fatto non scontato; è guardare il proprio partner e dire si, va bene, con te.
La fedeltà sostanziale è quella che ogni giorno trova la possibilità di conferma, che tutti i giorni si rinnova: questo rinnovamento non è un dato a priori, è qualcosa che ci sfida e ci interroga ogni volta che andiamo nel mondo e da esso torniamo.

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La coppia 8: la relatività del rapporto

Nel tempo il rapporto si trasforma da assoluto in relativo; tutto, con il trascorrere delle esperienze, si trasforma da assoluto in relativo:
Il sacro fuoco diviene semplicemente un fuoco; l’altro, su cui avevamo confidato tanto, diviene semplicemente l’altro.
Certo, non un altro qualsiasi, non sto parlando di questo, ma non è più colei o colui che conferisce senso alla nostra vita: nell’innamoramento così ci era sembrato che fosse.
L’altro viene vissuto e percepito nella sua complessità e nel suo limite; noi impariamo a viverci nella nostra complessità e nel nostro limite: una quantità quasi infinita di cose cambiano diventando grandi, quando in noi matura uno sguardo adulto.
Il rapporto non è più il totem, diviene un fatto importante, fondante, ma un fatto.
Nel perdersi e ritrovarsi ciclico, nella fascinazione e nel rifiuto, nell’avvicinarsi e nel bisogno di distanza prende forma un rapporto non fondato sull’attaccamento e sulla dipendenza: come è evidente, attaccamento e dipendenza procedono assieme ma le molte sberle, quando non la comprensione spontanea, ci inducono al superamento di entrambe.
Per un po’ ci sembra di scollarci, di allontanarci e di perderci irrimediabilmente, poi cominciamo a comprendere che sta nascendo altro, qualcosa di molto importante; il rapporto sta germogliando in ciò che è, nella sua natura più profonda: le emozioni, gli affetti, il pensiero di noi sono relativi, limitati, transitori, in continua mutazione; ciò che dura, e pian piano si svela, è ciò che precede questi, l’esperienza esistenziale, la trasformazione del sentire, il cambiamento in profondità.
Il rapporto viene percepito allora come relativo dalla mente/identità, officina insostituibile dalla coscienza: se appoggiamo lo sguardo sulle valutazioni e sulle considerazioni della mente ci perderemo; se ascoltiamo il sentire che in noi svela il livello più profondo, entreremo nella vera natura dello stare insieme.

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