L’alimentazione, Cerchio Ifior

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La fonte

“Come certamente ricorderete, il corpo dell’individuo incarnato non ha una costituzione lasciata al caso o agli eventuali capricci delle leggi naturali, ma si va costruendo sotto l’influsso delle necessità evolutive di ogni individuo che si incarna sul piano fisico.
In altre parole, il corpo fisico (ma anche, in realtà, gli altri corpi dell’incarnato) si forma in maniera tale da permettergli di acquisire esperienza e di offrirgli una gamma di possibili scelte a cui si trova dinnanzi nel corso del suo periodo incarnativo.

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Ignoranza ed illusione

Dice Samuele, con la lucidità che gli è propria: “Il rifugio nella mente rappresenta a volte un vero e proprio anestetico. Rapisce i sensi e ti conduce in una zona franca, anestetizzando la vita”.
Fatti di mente, volgarizzeremmo noi. E’ il gioco comune, feriale, quotidiano di tanti di noi, della gran parte degli umani che vive la vita attraverso il filtro irreale di quello che crede, di quello cui aderisce, di quello che desidera.
Costruiamo fotogrammi di un film fantastico basato sulle nostre proiezioni, giudizi, desideri e legando fotogramma a fotogramma lo facciamo scorrere, lo rendiamo coerente ed infine dichiariamo che è noi, la nostra vita, la realtà.
Niente di tutto questo è reale, ma a noi lo sembra e questo ci basta.
L’altro? E’ come lo vedo io. Quel fatto? E’ come me lo racconto. Se non fosse tragico per le conseguenze che produce, sarebbe ridicolo.

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Dove vai tu? Dove vanno gli altri?

Viene un tempo in cui la direzione è interiorizzata e non hai scelta alcuna: la domanda sul dove vai perde senso perché ogni fatto ti conduce a quel che è, altra possibilità per te non esiste.
I fatti sono il tuo orizzonte, il simbolo che portano ti illumina il cammino, ti dice dove stai imparando e come lo stai facendo.
E’ un lavoro minuto, intimo e discreto, nascosto nella soggettività del tuo percorso, di ciò che impari e che a nessuno può essere rivelato: nessuno sa che cosa tu stai imparando; nessuno può sapere che cosa è per te la realtà; nessuno immagina cosa gli altri portano nella tua vita.
Nel tuo piccolo quotidiano, tu non vai da nessuna parte: ti si presentano fatti, ti plasmano, scompaiono. Niente altro.

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Le domande necessarie

Dice Caterina: Come essere umano ho tanti limiti e non posso decidere gli accadimenti. Farsi troppe domande su quello che ci succede é abbastanza inutile. E comunque é sempre l’accadimento perfetto per noi. La mente fa casino: “Perché è successo? Perché andavo di fretta? Bla bla…” Senza il casino ci sono solo i fatti che accadono. Cos’è il libero arbitrio?
– Il fatto che ciò che accade sia perfetto per noi non significa che non debba interpellarci.
– Certo, se non ci poniamo domande, ci sono solo i fatti, ma è questo un atteggiamento giusto?
– Non ha forse una sua funzione il domandarsi della mente?

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L’accidia, il lutto della mente

L’accidia è quel senso di noia, di fastidio, di disgusto della vita, di torpore spirituale e di scoraggiamento che colpisce al cuore la vita del monaco: tutto ciò che egli è, fa o crede perde improvvisamente significato, tutto diventa ai suoi occhi inutile e vano […] Da Il cammino del monaco, pag 769, Ed. Quiqajon, Bose.

Fino a quando l’identificazione con la vita, il proprio esserci e spendersi, le proprie mansioni, funzioni, ruoli è sostenuta, il pericolo dell’accidia non si presenta.
Quando la pratica meditativa e contemplativa, i processi di disconnessione e di disidentificazione si fanno più profondi; quando le comprensioni conseguite rendono evidente l’effimero accadere degli attaccamenti, dei bisogni, dei giudizi allora bussa prepotente il lutto della mente che storicamente è stato definito con i termini acedia, accidia.

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La condizione del risiedere

Vi propongo questa comunicazione di Soggetto invitandovi a leggerla e rileggerla perché contiene in sé molti spunti di riflessione ed apre lo sguardo sulla profondità dell’accadere.
Sono temi che abbiamo approfondito tante volte ma su cui non bisogna mai stancarsi di indagare perché la realtà è nascosta nelle pieghe del banale, di ciò che la mente considera banale. L’apparente contiene in sé il significante.
Il linguaggio di Soggetto non è dei più scorrevoli, per facilitare la lettura ho evidenziato le parti più rilevanti.

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La bellezza del tacere

Una parola in meno, un silenzio in più.
Alcuni di noi hanno la necessità di dire e di fare e quando questa è un’esigenza di completamento della propria rappresentazione, del proprio personale diritto a dire “io” non c’è nulla da eccepire.
La stagione della propria centralità non dura per sempre e, quando si è dei buoni osservatori, si comprende quando la propria è finita, o volge al termine.
Allora in casa, in ufficio, nelle amicizie possiamo cominciare a coltivare una discrezione e a limitare l’esposizione del nostro esserci.

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La necessità delle esperienze

Si chiede Caterina: “La coscienza ha bisogno di attingere ai dati che le servono. Può aver bisogno di attingere da un’adozione, da un bambino di zero giorni, o dalla vendita di organi. Se regolamentiamo qualcosa possiamo cambiare i dati che servono alla coscienza di qualcuno? A quella coscienza servono i discorsi su cosa è giusto? Nel divenire un venditore di organi può attingere dati dai discorsi di qualcuno e cambiare idea? Anche sì, anche no. Quindi non si può far nulla. All’infuori che rispettare tutte le esperienze che servono alla coscienza. E aspettare che le esperienze si esauriscano?”
Una coscienza è spinta dalla necessità di acquisire comprensioni e in questo suo tentativo non è la morale a trattenerla.

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Produrre crisi

La crisi è il frutto della relazione tra coscienza ed identità all’interno dei processi del vivere.
Quando l’identità resiste e cerca di imporre una sua direzione, prima o poi sopraggiunge una crisi, un attrito, un rompersi dell’equilibrio deviato: questa crisi evolve spesso nel dolore e nella fatica.
Quando coscienza ed identità sono sufficientemente allineate, la crisi è continua, l’equilibrio raggiunto viene sistematicamente scalzato: questo processo può provocare disorientamento, ma non necessariamente dolore e fatica.
Sempre la crisi rompe un equilibrio, o un pseudo equilibrio; sempre ciò che era credibile non lo è più, ciò che era stabile vacilla.
Che si tratti di affetti, di lavoro o della via spirituale poco importa: tutti sperimentano la crisi, ma quasi nessuno ne possiede il paradigma, o la sa maneggiare, eppure la vita delle persone, dei paesi, del pianeta è una crisi senza fine, è l’esperienza più prossima a ciascuno di noi, più quotidiana e feriale.

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Il tasso di dolore nella via spirituale

Chiede Maya: Spesso osservando le persone che non si fanno troppe domande e che sembrano molto inconsapevoli mi sembra che facciano una vita più serena e meno dolorosa della mia. Vanno al lavoro e fanno quello che devono fare e basta. Magari si lamentano, ma sembra un lamento così tanto per fare due chiacchiere. Perché chi cerca invece soffre così tanto? O è il contrario, chi soffre è “costretto” a cercare?

Non sappiamo mai cosa c’è nell’intimo del nostro prossimo, sappiamo invece che nella cosiddetta normalità i rapporti avvengono all’ombra di maschere più o meno velanti.
In ogni persona avvengono processi di conoscenza-consapevolezza-comprensione.
Alcune incarnazioni sono caratterizzate da una maggiore intensità, in genere una incarnazione intensa si alterna ad una meno intensa.
Allo stesso modo ci sono stagioni, in una vita, in cui la macerazione è maggiore: una persona attorno ai 40 anni è certamente immersa in un passaggio esistenziale rilevante.

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